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sala d'attesa Freud

Dalle riunioni del mercoledì alla società psicoanalitica viennese

Dalle riunioni del mercoledì alla società psicoanalitica viennese

Freudiana

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Sopra: sala d’attesa di casa Freud, dove avvenivano le riunioni del mercoledì.

Per molto tempo la psicoanalisi fu solo Sigmund Freud, il quale aveva, come unico interlocutore delle scoperte che andava facendo, il suo amico Wilhelm Fliess.

I primi medici viennesi che manifestarono interesse per la nuova disciplina furono Max Kahane e Rudolf Reiter. Reitler fu praticamente il primo a praticare la psicoanalisi, dopo Freud. Kahane invece lavorava presso una clinica per psiconevrosi, interessandosi soprattutto all’impiego dell’elettricità nella cura delle patologie mentali.

Nell’autunno del 1902 Freud spedì una cartolina a quattro colleghi, Adler, Kahane, Reitler e Stekel, invitandoli a casa sua per discutere del suo lavoro.

Tra questi psicoanalisti della prima ora, che costituirono la prima cellula psicoanalitica vi furono poi Max Graf, Hugo Heller, (futuro editore di Freud), Alfred Meisl. Nel 1903 si aggiunse Paul Federn, nel 1905 Eduard Hitschmann, nel 1906 Otto Rank e Isidor Sadger, nel 1907 Guido Brecher, Maximilian Steiner e Fritz Wittes, nel 1908 Sándor Ferenczi, Oscar Rie, Rudolf Urbantschitsch e molti altri.

Del gruppo, per un certo periodo, fece parte anche il Dr. Weiss, che poi introdusse la psicoanalisi in Italia. Poiché questi incontri di norma si tenevano tutti i mercoledì sera, presero il nome, scherzoso, di “riunioni del mercoledì sera“, e continuarono sino alla costituzione nel 1907 a Vienna della prima Societa psicoanalitica ufficiale, che ebbe Freud come primo presidente.

In seguito aderirono anche Federn e psicologi non medici, tra cui Viktor Tausch, H. Sachs, H. Silberer.

Dr. Giuliana Proietti Tel 347 0375949
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I primi aderenti stranieri che furono invitati dalla Società furono Carl Gustav Jung e Ludwig Binswanger (due psichiatri allora sconosciuti che lavoravano presso il prestigioso Burgholzli, istituto manicomiale di Zurigo, diretto da Eugene Bleuler); Karl Abraham tedesco, che temporaneamente lavorava nello stesso istituto psichiatrico dei colleghi Jung e Binswanger insieme al collega Brill (USA) ed Ernest Jones inglese.

Le riunioni erano incentrate sui vari temi d’interesse psicoanalitico e sfociavano non di rado in discussioni, anche accese. Freud ascoltava tutti con la massima attenzione; a lui spettava, ovviamente, la parola definitiva. A partire dal 1906, tutti i dibattiti furono verbalizzati da Otto Rank. I manoscritti furono pubblicati, tradotti in Inglese, in America, tra il 1962 e il 1975, e quindi tra il 1976 e il 1981 in Germania. (In italiano: Palinsesti freudiani. Arte letteratura e linguaggio nei verbali della società psicoanalitica di Vienna 1906-1918, a cura e con prefazione di Mario Lavagetto Bollati Boringhieri, pagg. 295)

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Nella primavera del 1908 la Società istituì una biblioteca, che fu poi distrutta nel 1938 dai nazisti. Il 15 aprile del 1908 la “Società Psicologica del mercoledì” divenne la “Società Psicoanalitica di Vienna”.

Nella lettera datata “Roma, 22 settembre 1907” Freud così scrive ai Soci:

“Desidero informarLa che all’inizio di questo nuovo anno di lavoro propongo di sciogliere la piccola Società che era solita riunirsi ogni mercoledì in casa mia, per ridarle vita subito dopo. Un breve cenno da inviarsi prima del 1° ottobre al nostro segretario, Otto Rank, sarà sufficiente a confermare il rinnovo della Sua adesione. Se per quella data non avremo ricevuto nulla, dovremo dedurne che non desidera rinnovarla.

Non ho bisogno di ripeterLe quanto piacere mi farebbe la Sua riconferma. Mi permetta di spiegarLe le ragioni di questo passo che potrebbe sembrarLe superfluo. Basta rendersi conto dei naturali cambiamenti delle relazioni umane, per affermare che per qualche membro del nostro gruppo l’adesione non significa più ciò che essa significava qualche anno fa, sia perché i suoi interessi in questo campo sono venuti meno, sia perché il suo tempo libero e le sue abitudini non sono più compatibili con la frequenza della Società, sia infine perché impegni personali minacciano di tenerlo lontano. Forse egli si riconfermerebbe solo per il timore che le sue dimissioni potessero venir considerate come un atto poco amichevole.

Per tutte queste eventualità, lo scioglimento e la riorganizzazione della Società hanno lo scopo di ristabilire la libertà personale di ciascuno e di permettergli di separarsi dalla Società senza turbare in nessun modo i suoi rapporti con il resto dei soci .

Va anche tenuto presente che con il passare degli anni abbiamo contratto obblighi (finanziari) che non erano inizialmente in programma, come per esempio l’assunzione di un segretario.

Se dopo questa spiegazione Lei é d’accordo sulla decisione di ricostituire la Società su una base diversa, forse approverà anche che ciò si ripeta ad intervalli regolari, per esempio ogni tre anni.”

Nell’aprile del 1910, i soci della Società psicoanalitica viennese erano diventati così numerosi da rendere indispensabile il trasferimento delle riunioni dalla sala di aspetto dello studio di Freud al Doktoren Collegium, al numero 19 della Rothenturmstrasse, per poi trasferirsi, nel 1911, al Franz Josefs Quai.

In questi anni Freud fu molto prolifico: scrisse l’opuscolo“Sui sogni” (1901) il libro “Psicopatologia della vita quotidiana” (1904) “I motti di spirito ed i loro rapporti con l’inconscio” (1905) e successivamente “I tre saggi sulla teoria della sessualità” .

 

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
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Fonti:
Ernest Jones, Vita e opere di Freud, il Saggiatore

Siti consultati:

Wikipedia
Scienza e Psicoanalisi
SWIF

Psicolinea 20+anni di attività

Giuliana Proietti
Dr. Giuliana Proietti

Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
TERAPIE INDIVIDUALI E DI COPPIA
ONLINE

La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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  • 27 Nov 2007
  • Dr. Giuliana Proietti
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1893 Freud e La comunicazione preliminare

1893 Freud e La comunicazione preliminare

1893 Freud e La comunicazione preliminare

Freudiana

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Nella Comunicazione Preliminare, Freud e Breuer estesero il concetto di isteria traumatica di Charcot all’isteria in generale. I sintomi isterici – essi dissero in questo scritto – sono connessi, talvolta chiaramente, talvolta in veste simbolica, ad un determinato trauma psichico.

Tale trauma può essersi verificato durante uno stato di leggera autoipnosi, oppure per il suo carattere penoso fu escluso dalla coscienza.

In entrambi i casi non fu seguito da una reazione sufficiente (ad esempio urla o atti di vendetta) e scomparve dalla coscienza.

Sotto ipnosi però il ricordo del trauma è tanto vivido quanto lo fu l’episodio reale.

La psicoterapia cura i sintomi isterici portando il trauma alla coscienza e scaricandolo attraverso l’affetto, le parole, o l’associazione correttiva.

Fonte: Ellenberger, La scoperta dell’inconscio, Boringhieri

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Ecco il testo originale della Comunicazione Preliminare:

1. Comunicazione preliminare. Meccanismo psichico dei fenomeni isterici.

Osservazioni occasionali ci hanno condotto, nel corso di molti anni, a studiare un gran numero di forme e sintomi differenti di isteria, con l’intento di scoprirne la causa scatenante, ossia quell’evento che ha provocato la prima comparsa del fenomeno in questione, spesse volte parecchi anni prima. Nella gran maggioranza dei casi non è possibile stabilire il momento di origine mediante il semplice interrogatorio del paziente, per quanto esauriente questo possa essere. Ciò si deve in parte al fatto che molte volte il fenomeno in questione è rappresentato da qualche esperienza di cui il paziente non ama parlare. Ma la cagione fondamentale è che il paziente è sinceramente incapace di rammentarlo e spesse volte nemmeno sospetta l’esistenza di un nesso causale tra l’evento scatenante ed i fenomeni patologici. Di regola è necessario ipnotizzare il paziente onde rievocare, sotto ipnosi, i ricordi relativi al tempo in cui i sintomi fecero la loro prima comparsa. Così facendo, è possibile mettere in luce questo nesso nel modo più chiaro e convincente.

Questo metodo in un gran numero di casi ha dato risultati che ci paiono validi sia da un punto di vista teorico che da un punto di vista pratico.

Essi sono teoricamente importanti perché ci hanno insegnato che gli eventi esterni determinano la patologia dell’isteria in proporzione molto maggiore di quanto è attualmente conosciuto e ammesso. Naturalmente è ovvio che, in casi di isteria «traumatica», è l’incidente quello che provoca i sintomi. Il nesso causale è parimenti evidente negli attacchi isterici quando sia possibile ottenere dal paziente la prova che egli, in occasione di ogni accesso, ha la rappresentazione allucinatoria dello stesso evento che scatenò il primo attacco.

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Nel caso di fenomeni di ordine differente la situazione è più oscura.

Però le nostre esperienze ci hanno dimostrato che i sintomi più diversi, che sono prodotti evidentemente spontanei e, si può dire, idiopatici dell’isterìa, sono tanto strettamente correlati col trauma precipitante quanto lo sono i fenomeni, cui abbiamo or ora accennato, la cui connessione col trauma è ben chiara. Tra i sintomi, il decorso dei quali abbiamo potuto risalire fino ai fattori precipitanti, si trovano nevralgie ed anestesie di natura quanto mai varia, molte delle quali sono perdurate per anni, spasmi e paralisi, attacchi isterici e convulsioni epilettoidi, che qualsiasi osservatore scambierebbe per vera epilessia, piccolo male e disturbi del tipo del tic, vomito abituale ed anoressia, fino al rifiuto totale di ogni nutrimento, varie forme di turbe visive, allucinazioni visive ricorrenti in modo costante, ecc. Ciò che ormai siamo abituati ad osservare invariabilmente nelle nevrosi traumatiche è la sproporzione tra la pluriennale durata della sintomatologia isterica e l’unicità del fatto che l’ha provocata. Assai spesso è qualche evento dell’infanzia quello che ha provocato un sintomo più o meno grave che persiste negli anni seguenti.

Il nesso è spesso talmente chiaro che è perfettamente evidente come l’evento scatenante abbia prodotto un dato fenomeno anziché un altro qualsiasi. In tal caso il sintomo è stato molto chiaramente determinato dalla causa scatenante. Possiamo citare, come un esempio molto comune, il caso di un’emozione penosa insorta durante un pasto, ma rimossa in quel momento, e la nausea e vomito conseguenti, che persistono per mesi sotto forma di vomito isterico. Una ragazza, che vegliava al capezzale di un malato in un tormentoso stato di ansia, cadde in uno stato crepuscolare ed ebbe un’allucinazione terrificante, mentre le si intorpidiva il braccio destro, che poggiava sullo schienale della sedia; da ciò si sviluppò una paresi di questo braccio con contrattura e anestesia. Cercò di pregare ma non trovò le parole; alla fine riuscì a ripetere una preghiera infantile in inglese. In seguito, allorché le si manifestò una grave isteria con serie complicazioni ella sapeva parlare, scrivere e capire soltanto l’inglese, mentre la sua lingua materna le rimase inintelligibile per diciotto mesi. La madre di una bambina molto malata, che si era finalmente addormentata, concentrò tutta la propria volontà sul fatto di rimanere silenziosa per non destarla. Proprio a causa di questa sua intenzione ella fece uno «schiocco» con la lingua (un esempio di «controvolontà isterica»). Questo rumore fu ripetuto in una successiva occasione, nella quale ella intendeva mantenersi perfettamente silenziosa; da ciò prese origine un tic, sotto forma di schiocco della lingua, che si manifestò-per lunghi anni ogni volta che ella si sentiva eccitata. Un uomo molto intelligente, mentre il fratello era sottoposto, sotto anestesia, all’estensione di un’articolazione dell’anca anchilosata, nell’istante in cui l’articolazione cedette con un rumore di scatto, percepì un violento dolore all’anca, persistito per quasi un anno. Si potrebbero citare altri esempi.

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In altri casi il nesso non è così semplice. Esso è rappresentato solamente da ciò che potrebbe essere definito come un rapporto «simbolico» tra causa scatenante e fenomeno patologico, un rapporto, quindi, del genere di quelli che gli individui sani istituiscono nei sogni. Per esempio, ad una sofferenza psichica o a un vomito derivato da una sensazione di disgusto morale, può seguire una nevralgia. Noi abbiamo studiato dei pazienti in cui questo tipo di simbolizzazione era quanto mai abbondante. In altri casi ancora non è possibile comprendere a prima vista come i sintomi si possano essere stabiliti nel modo che abbiamo suggerito. Sono proprio i sintomi tipici dell’isteria che rientrano in questa classe, come la emianestesia, il restringimento del campo visivo, le convulsioni epilettiformi, e così via. Rimandiamo una spiegazione delle nostre opinioni su questo gruppo ad una più estesa trattazione dell’argomento.

Ci sembra che osservazioni di questo genere vengano a stabilire un’analogia tra la patogenesi dell’isteria comune e quella delle nevrosi traumatiche, tale da giustificare un’estensione del concetto di isteria traumatica. Nelle nevrosi traumatiche la causa efficiente della malattia non è l’insignificante lesione fisica, ma l’effetto della paura: il trauma psichico. Analogamente, le nostre ricerche rivelano che le cause scatenanti di molti sintomi isterici, se non della maggior parte di essi, non possono essere descritte altrimenti che come traumi psichici. Qualsiasi esperienza che susciti una situazione emotiva penosa – quale la paura, l’ansia, la vergogna o il dolore fisico – può agire da trauma di questo genere e che ciò si verifichi effettivamente dipende, abbastanza naturalmente, dalla suscettibilità della persona colpita (come pure da altre condizioni di cui faremo cenno più avanti). Nel caso dell’isteria comune capita sovente di trovare numerosi traumi parziali, che costituiscono un gruppo di cause scatenanti, in luogo di un singolo trauma importante. Detti traumi sono stati in grado di esercitare il loro effetto soltanto per via di sommazione e hanno in comune il fatto di essere le componenti parziali di una serie di disturbi riuniti in una stessa anamnesi. Vi sono altri casi in cui una circostanza evidentemente banale viene a combinarsi con l’evento causale effettivo, o si verifica durante un periodo di particolare reattività agli stimoli, assurgendo in tal maniera alla dignità di un trauma, che altrimenti non avrebbe posseduto, e mantenendola da quel momento.

Ma il rapporto causale tra il trauma psichico determinante e il fenomeno isterico non è di un genere tale da comportare che il trauma agisca semplicemente da agente provocatore nello scatenare il sintomo, che in seguito viene a possedere un’esistenza indipendente. Dobbiamo presupporre che il trauma psichico – o, più esattamente, il ricordo del trauma – agisca come un corpo estraneo che, anche molto tempo dopo la sua penetrazione, deve seguitare ad essere considerato come un agente ancora attivo. Una prova di ciò noi la troviamo in un fenomeno assai degno di rilievo, che, nel contempo, comporta un notevole interesse pratico per le nostre osservazioni.

Infatti abbiamo scoperto, inizialmente con grande stupore, che ogni singolo sintomo isterico scompariva immediatamente e permanentemente nel caso in cui fossimo riusciti a riportare chiaramente alla luce il ricordo dell’accaduto, dal quale esso era stato provocato, e a suscitare lo stato affettivo che ad esso si accompagnava, purché il paziente descrivesse quell’accaduto il più particolareggiatamente possibile e accompagnasse le parole con il corrispondente stato emotivo. Il ricordo senza emozione non produce quasi mai alcun effetto. Il processo psichico originariamente verificatosi deve essere ricostruito nel modo più vivo possibile; deve essere riportato al suo status trascendi e quindi espresso con parole.

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Nei casi in cui si ha a che fare con fenomeni comportanti stimolazioni (spasmi, nevralgie, allucinazioni) essi ricompaiono una volta ancora col massimo di intensità e poi svaniscono per sempre. Deficit funzionali, quali paresi e anestesie, scompaiono nello stesso modo, naturalmente senza che si possa evidenziare un aumento transitorio di intensità ‘.

È comprensibile che si pensi che in questi casi entri in gioco la suggestione inconscia: il paziente si aspetta da questo procedimento un sollievo alle sue sofferenze, ed è la sua aspettativa, e non già il resoconto verbale, il fattore operante. Però le cose non stanno così. Il primo caso del genere che cadde sotto la nostra osservazione risale al 1881, vale a dire all’epoca «pre-suggestione». Analizzammo con questa metodica un caso assai complesso di isteria ed eliminammo separatamente i sintomi, i quali traevano origine da cause separate. Tale osservazione fu resa possibile grazie ad un’auto-ipnosi spontanea del paziente, e fu causa di grande sorpresa per l’osservatore.

Potremmo invertire il detto cessante causa cessai effectus (col cessare della causa cessa l’effetto) e concludere, in base a queste osservazioni, che il processo causale continua a essere operante, in qualche modo, per anni – non indirettamente, attraverso una catena di anelli causali intermedi, ma a guisa di causa scatenante diretta – proprio come un dolore psichico, che venga ricordato in stato di coscienza vigile, provoca una secrezione lacrimale ancora per molto tempo dopo l’accaduto. Gli isterici soffrono principalmente di reminiscenze 2.

Note

1 La possibilità di un procedimento terapeutico di questo genere è stata chiaramente riconosciuta da Delbeuf e Binet, come è dimostrato dalle seguenti citazioni: «On s’expliquerait dès lors comment le magnétiseur aide à la guérison. Il remet le sujet dans l’état où le mal s’est manifeste et combat par la parole le mème mal, mais renaissant».

(«Potremo ora spiegare come l’ipnotizzatore contribuisca alla guarigione. Egli riporta il soggetto nello stato in cui si trovava allorché il disturbo si è manifestato e combatte mediante parole questo stesso disturbo che ora torna a manifestarsi») (Delbeuf, Le magnétisme animai, Parigi 1889) – «… peut-ètre verra-t-on qu’en reportant le malade par un artifice mental au moment mème où le symtome a appara pour la première fois, on rend ce malade plus docile à une suggestion curative.» (… forse si scoprirà che, riportando il malato, mercé un artificio mentale, all’istante stesso in cui il sintomo fece la sua prima comparsa, si può rendere il malato più ricettivo ad una suggestione terapeutica) (Binet, Les altérations de la personnalité, Parigi 1892, p. 243)

Nell’interessante studio di Janet sull’automatismo mentale (1889) si trova un resoconto della cura di una giovane isterica condotta con un metodo simile al nostro.

2  In questa comunicazione preliminare non ci è possibile far distinzione fra ciò che è nuovo e ciò che è stato detto da altri autori, come Moebius e Strumpell che hanno espresso delle opinioni sulla isteria simili alle nostre. La massima approssimazione a quanto dobbiamo dire degli aspetti teorici e terapeutici della questione, si trova in talune note di Benedikt, pubblicate saltuariamente. Ne tratteremo altrove.

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2.

A prima vista sembra straordinario che eventi vissuti tanto tempo prima debbano seguitare ad agire così intensamente, che il loro ricordo non vada incontro a quel processo di estinzione cui sono, in fin dei conti, sottoposti tutti i nostri ricordi. Il fatto sarà forse reso un po’ meglio comprensibile dalle considerazioni che seguono.

L’estinguersi di un ricordo o la perdita della sua carica affettiva dipendono da diversi fattori, il più importante dei quali è il fatto se vi sia o non vi sia stata un’intensa reazione all’accaduto che determina un’emozione. In questo caso, per reazione intendiamo l’intera gamma di riflessi volontari ed involontari – dalle lacrime agli atti di rivolta – nei quali, come l’esperienza ci insegna, si scaricano gli stati emotivi. Se tale reazione si manifesta in grado sufficiente, si ha il risultato che gran parte dello stato emotivo scompare. Il linguaggio parlato dà una dimostrazione di questo fatto, osservabile quotidianamente, con espressioni come «sfogarsi nel pianto» (sich ausweinen) o «scaricare» (sich austoben, letteralmente «gettar fuori la rabbia»). Se la reazione è repressa, lo stato emotivo rimane impresso nella memoria. Un’offesa che sia stata vendicata, se non altro almeno a parole, viene ricordata molto diversamente da una che si sia dovuta sopportare. Anche il linguaggio riconosce questa distinzione nelle sue conseguenze mentali e fisiche; esso definisce, molto caratteristicamente, un’offesa sopportata in silenzio come una «mortificazione» (Krànkung, lett. «rendere ammalato» ). La reazione al trauma della persona offesa esercita un effetto «catartico», totale se è una reazione adeguata, come, per esempio, la vendetta. Ma il linguaggio serve da succedaneo della azione; grazie ad esso uno stato emotivo può subire una «abreazione» quasi altrettanto efficace. In altri casi l’espressione verbale rappresenta di per sé un riflesso efficace, come quando, per esempio, si esprimono delle lamentele o si rivela un segreto tormentoso, per esempio con una confessione. Se tale reazione manca, sia essa di fatti o di parole, o nei casi più leggeri, di lacrime, ogni ricordo dell’accaduto mantiene il tono affettivo che si manifestò la prima volta.

Però l’«abreazione» non è l’unica maniera possibile di affrontare la situazione per una persona normale che abbia provato un trauma psichico. Un ricordo di questo trauma, persino se non vi è stata ì’abreazione, entra nel grande complesso di associazioni, viene in contatto con altre esperienze, che possono contraddirlo, ed è sottoposto ad una rettificazione da parte di altre idee. Per esempio, dopo un incidente, il ricordo del pericolo e il ripetersi (attenuato) dello stato di paura, vengono ad associarsi con il ricordo di quanto è accaduto dopo: il salvataggio e la consapevolezza dell’attuale sicurezza. Ancora: il ricordo che un individuo ha di un’umiliazione viene corretto collocando i fatti nella loro giusta luce, considerando la propria superiorità, ecc. In tal modo un individuo normale è in grado di realizzare, mediante il processo di associazione, la scomparsa della concomitante reazione affettiva.

Dobbiamo aggiungere a ciò la generica estinzione delle impressioni, quello svanire di ricordi che chiamiamo «oblio» e che allontana in Particolare quelle idee che non sono più operanti dal punto di vista affettivo.

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D’altro canto le nostre osservazioni hanno dimostrato che i ricordi che sono divenuti fattori determinanti dei fenomeni isterici, persistono a lungo con stupefacente freschezza e con tutta la loro coloritura affettiva. Dobbiamo, però, accennare a un altro fatto degno di nota, di cui più avanti potremo rendere ragione, vale a dire che questi a differenza di altri ricordi della vita trascorsa, non sono disponibili per i pazienti. Al contrario, queste esperienze sono completamente assenti dalla memoria dei pazienti, quando essi si trovano in una condizione psichica normale, oppure sono presenti solamente in una forma quanto mai sommaria. Questi ricordi non riemergeranno, con l’intatta vivacità di un avvenimento recente, se non quando saranno evocati sotto ipnosi.

Per esempio una delle nostre pazienti riprodusse per sei interi mesi, sotto ipnosi, con allucinante vividezza, tutto ciò che l’aveva eccitata nello stesso giorno dell’anno precedente, durante un attacco di isteria acuta. Un diario, tenuto dalla madre della paziente a insaputa di questa, confermò la completezza della riproduzione. Un’altra paziente, in parte sotto ipnosi e in parte nel corso di accessi spontanei, riviveva con allucinante chiarezza tutti gli eventi di una psicosi isterica che aveva in massima parte dimenticato fino al momento in cui riemergeva. Inoltre, certi ricordi, aventi importanza etiologica, che risalivano a quindici-venti anni prima, risultarono meravigliosamente conservati e dotati di una notevole intensità affettiva, si che, quando ritornavano, agivano con tutta la potenza emotiva delle esperienze nuove.

Si può dare una spiegazione di ciò supponendo che questi ricordi rappresentino un’eccezione nei confronti del processo di estinzione di cui si è detto sopra. Vale a dire che risulta che tali memorie corrispondono a traumi per i quali l’abreazione non è stata sufficiente, e se esaminiamo più a fondo le ragioni che l’hanno impedita, troviamo almeno due serie di condizioni in occasione delle quali la reazione al trauma manca di realizzarsi.

Nel primo gruppo vi sono quei casi in cui i pazienti non hanno reagito a un trauma psichico in quanto la natura del trauma escludeva una reazione, come nel caso della perdita, evidentemente irreparabile, di una persona amata, o nel caso in cui circostanze di ordine sociale rendevano impossibile la reazione o perché si trattava di cose che il paziente voleva dimenticare e che, quindi, furono intenzionalmente represse dal suo pensiero cosciente, e poi inibite ed eliminate. Sono proprio dei fatti dolorosi di questo genere che noi troviamo, mediante l’ipnosi, alla base dei fenomeni isterici (p. es. deliri isterici di santi e di monache, di donne che praticano la continenza e di ragazzi bene educati).

Il secondo gruppo di condizioni è determinato non dal contenuto dei ricordi ma dagli stati psichici in cui si trovava il paziente quando subì le esperienze in questione. Infatti noi, sotto ipnosi, scopriamo, tra le cause dei sintomi isterici, delle idee che non sono significative di per se stesse, ma la cui persistenza è dovuta al fatto che nacquero mentre erano in atto stati emotivi fortemente inibenti, quali lo stato crepuscolare semi-ipnotico del sogno a occhi aperti, l’auto-ipnosi, e così via. In tali casi è la natura stessa di questi stati che rende impossibile una reazione di fronte all’evento.

Entrambi i tipi di condizioni possono, naturalmente, essere contemporaneamente presenti, e questo, di fatto, si verifica di frequente.

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Si dà questo caso quando un trauma, di per sé efficace, si verifica mentre è in atto uno stato emotivo fortemente inibente ovvero durante uno stato di alterazione della coscienza. Però sembra anche che in molti individui sia il trauma psichico a provocare uno di questi stati anormali, ciò che rende impossibile una reazione all’evento. Però, entrambi i gruppi di condizioni hanno in comune il fatto che i traumi psichici che non sono stati superati da una reazione non possono nemmeno essere superati mediante l’associazione. Nel primo gruppo, il paziente è deciso a dimenticare le esperienze penose e quindi le esclude per quanto possibile dall’associazione, mentre, nel secondo gruppo, il lavorio associativo non avviene perché manca un collegamento associativo sufficentemente esteso tra lo stato normale di coscienza e gli stati patologici durante i quali le idee fecero la loro comparsa. Avremo immediata occasione di approfondire l’argomento.

Pertanto si può affermare che le idee che sono divenute patologiche, persistono con tale freschezza e potenza affettiva perché non hanno subito il normale processo di cancellazione ottenibile mediante l’abreazione e la riproduzione in stati di associazione non inibita.


Ipnosi Clinica

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3.

Abbiamo descritto le condizioni alle quali, come ci insegna la nostra esperienza, è imputabile il manifestarsi di fenomeni isterici da trauma psichico. Nel fare ciò siamo già stati costretti a parlare di stati di coscienza abnormi, in cui tali idee patogene insorgono, e a ribadire il concetto che il ricordo del trauma psichico causale non si può ritrovare nella memoria normale del paziente ma nella sua memoria quando è ipnotizzato. Quanto più ci siamo occupati di questi fenomeni, tanto più ci siamo venuti convincendo che quello sdoppiamento della coscienza, tanto evidente nei ben conosciuti e classici casi noti come doublé conscience3, si ha in grado rudimentale anche in tutte le forme di isteria, e che una tendenza a tale dissociazione, e, concomitante con essa, la comparsa di stati abnormi della coscienza (che riuniremo sotto il termine di ipnoidi) sono i fenomeni fondamentali di questa nevrosi. In questo modo di vedere noi concordiamo con Binet e con i due Janet4, pur non disponendo noi di osservazioni tanto interessanti quali quelle fatte da essi su pazienti in anestesia.

Vorremmo contrapporre alla tesi corrente, secondo la quale l’ipnosi è un’isteria artificiale, un’altra tesi: base e condizione sine qua non dell’isteria è l’esistenza di stati ipnoidi. Questi stati ipnoidi hanno in comune, tra di loro e con l’ipnosi – sebbene possano essere differenti sotto molti altri aspetti – una caratteristica: le idee che compaiono in essi sono molto intense ma sono escluse dal rapporto associativo con il restante contenuto della coscienza. Tra questi stati ipnoidi possono aversi delle associazioni e il loro contenuto ideativo può, in tal maniera, raggiungere un grado più o meno elevato di organizzazione psichica. Bisogna inoltre presumere che la natura di questi stati e il grado della loro esclusione dagli altri processi coscienti, sia variabile, proprio come avviene nell’ipnosi, la quale va da un leggero assopimento fino al sonnambulismo, dal ricordo totale alla totale amnesia.

Se gli stati ipnoidi di questo genere sono già presenti prima dell’insorgere della malattia conclamata, essi forniranno il terreno nel quale gli stati affettivi verranno a impiantare il ricordo patogeno con i fenomeni somatici che ne conseguono. Questo corrisponde all’isteria da predisposizione. Però noi abbiamo osservato che un grave trauma (quale si ha in una nevrosi traumatica) o una repressione difficoltosa (qual è quella che proviene, per esempio, da un’emozione sessuale) possono determinare come conseguenza la dissociazione di gruppi di idee persino in individui che n’on sono colpiti sotto altri aspetti; e questo sarebbe il meccanismo dell’isteria psichicamente acquisita. Tra queste due forme estreme possiamo postulare l’esistenza di una serie di casi in cui la predisposizione del soggetto alla dissociazione e l’intensità affettiva del trauma variano in proporzione inversa.

Nulla di nuovo abbiamo da dire sulla questione dell’origine di questi stati ipnoidi legati ad una predisposizione. Sembrerebbe che di frequente essi traggano origine dai sogni ad occhi aperti (tanto comuni anche in individui sani) ai quali le donne sono specialmente propense a causa del lavoro di cucito e altre occupazioni del genere. Perché le «associazioni patologiche», che si originano in questi stati, siano talmente stabili e perché esse abbiano sui processi somatici un influsso molto più forte di quello che hanno di solito le idee, sono questioni che coincidono col problema generale dell’efficacia delle suggestioni ipnotiche. Le nostre osservazioni non hanno apportato alcun nuovo contributo alla questione, però fanno un po’ di luce sulla contraddizione tra l’affermazione che «l’isteria è una psicosi» e il fatto che tra gli isterici si trovano individui dall’intelletto lucidissimo, dalla forte volontà e dotati del massimo potere di critica. Queste caratteristiche sono valide per i loro pensieri allo stato di veglia, mentre nello stato ipnoide costoro sono folli quanto lo siamo noi tutti nei sogni. Però, mentre le nostre psicosi da sogno non esercitano alcun effetto sul nostro stato di veglia, i prodotti degli stati ipnoidi si insinuano nella vita di veglia sotto forma di sintomi isterici.

Note

3 [Termine francese per «coscienza sdoppiata»].

4 [Pierre e Jules.]

Adolescenza

Editore: Xenia, Collana: I tascabili
Anno edizione: 2004 Pagine: 128 p., Brossura
Autori: Giuliana Proietti - Walter La Gatta

4.

Ciò che abbiamo asserito a proposito dei sintomi isterici può essere applicato quasi integralmente agli attacchi isterici. Charcot, come è noto, ci ha dato una descrizione schematica dei «grandi» attacchi iisterici, secondo la quale in un attacco completo si possono distinguere quattro fasi: 1. fase epilettoide, 2. fase degli ampi movimenti, 3. fase delle attitudes passionnelles (fase allucinatoria), e 4. fase del delirio terminale. Charcot individua l’origine di tutte le altre forme di attacchi isterici, che in pratica si osservano molto più di frequente del grande attaque completo, nell’abbreviazione, nella mancanza o nell’isolamento di queste quattro fasi distinte.

Il nostro tentativo di spiegazione prende le mosse dalla terza fase, quella deDe attitudes passionnelles. Nei casi in cui si manifesta in forma conclamata, essa presenta la riproduzione allucinatoria di un ricordo importante nel determinismo dell’isteria: ricordo di un unico trauma importante (quale noi ritroviamo par excellence in quella che è definita isteria traumatica) o ricordo di una serie di traumi parziali interdipendenti (quali si trovano alla base dell’isteria comune). Oppure, infine, l’attacco può rievocare quegli eventi la cui importanza è stata accresciuta dal fatto che essi erano coincidenti con un momento di particolare disposizione al trauma.

Tuttavia vi sono anche degli attacchi che risultano consistere esclusivamente di fenomeni motori, nei quali la fase delle attitudes passionnelles è assente. Se si riesce ad entrare in rapporto con il paziente durante un attacco, caratterizzato da spasmi clonici generalizzati o da rigidità catalettica, o durante un attaque de sommeil (accesso di sonno), o se, meglio ancora, si riesce a provocare un attacco sotto ipnosi, si osserverà che, anche in questi casi, vi è un sottostante ricordo del trauma o di una serie di traumi psichici, che di solito potremo riconoscere nella fase allucinatoria.

Una ragazzina soffriva da anni di accessi di convulsioni generalizzate che potevano benissimo essere, ed effettivamente lo erano, considerate come epilettici. Ella fu ipnotizzata con l’intento di stabilire una diagnosi differenziale, e subito ebbe uno dei suoi accessi. Le fu chiesto che cosa vedesse ed ella rispose: «Il cane! Sta venendo il cane!»; e infatti si venne a sapere che aveva avuto il primo dei suoi attacchi dopo essere stata inseguita da un cane arrabbiato. Il successo della cura confermò l’indirizzo diagnostico.

In un altro caso, un impiegato, che era diventato isterico per essere stato maltrattato dal suo superiore, soffriva di accessi durante i quali cadeva al suolo ed era colpito da un frenetico furore, senza però pronunciare parola né dare segni di allucinazione. Fu possibile provocare un accesso sotto ipnosi e allora il paziente rivelò di stare rivivendo la scena in cui il suo datore di lavoro lo aveva maltrattato e colpito con un bastone in strada. Qualche giorno dopo il paziente ritornò e si lamentò di avere avuto un altro attacco dello stesso genere. In questa occasione risultò, sotto ipnosi, che egli stava rivivendo la scena alla quale si ricollegava effettivamente l’insorgenza della malattia: la scena del tribunale ove egli non era riuscito a ottenere soddisfazione per i maltrattamenti subiti.

Anche in tutti gli altri casi i ricordi che emergono, o che possono essere rievocati, durante gli attacchi isterici, corrispondono alle cause scatenanti che abbiamo trovato alla base dei sintomi isterici cronici. Al pari di queste cause, i ricordi, che sono alla base degli attacchi isterici, sono collegati a traumi psichici non superati dall’abreazione o dall’attività mentale associativa. Come essi, tali traumi non sono, del tutto o per alcuni aspetti essenziali, a portata della memoria della coscienza normale, e risultano appartenere al contenuto ideativo degli stati ipnoidi della coscienza con associazione limitata. Infine la prova terapeutica può essere applicata anche ad essi. Le nostre osservazioni ci hanno spesso insegnato che un ricordo del genere, che in altre occasioni aveva provocato degli attacchi, cessa di avere questo potere dopo che a esso sia stato applicato, sotto ipnosi, il processo di reazione e di correzione associativa.

I fenomeni motori degli attacchi isterici possono essere interpretati in parte quali forme universali di reazione adeguate allo stato affettivo che si accompagna al ricordo (come scalciare e roteare braccia e gambe, come fanno persino i bambini piccoli), e in parte quale espressione diretta di questi ricordi; ma in parte, come le stigmate isteriche che rientrano tra i sintomi cronici, non possono essere spiegati in questo modo.

Inoltre gli attacchi isterici ci appariranno sotto una luce particolarmente interessante se richiamiamo alla mente una teoria cui abbiamo fatto cenno prima, vale a dire che nell’isteria sono presenti gruppi di idee originatisi durante gli stati ipnoidi e che questi sono avulsi dalla connessione associativa con le altre idee, ma possono essere associati tra di loro costituendo in tal modo l’abbozzo più o meno altamente organizzato di una seconda coscienza, una condition seconde. Se le cose stanno così, un sintomo isterico cronico corrisponderà all’intrusione di questo secondo stato nelle afferenze nervose somatiche, che, di regola, si trovano sotto il controllo della coscienza normale.

D’altro canto, un attacco isterico è la prova di una più elevata organizzazione di questo secondo stato. Quando l’attacco fa la sua prima comparsa, esso sta a indicare il momento in cui questa coscienza ipnoide ha raggiunto il controllo dell’intera esistenza del soggetto; vale a dire che indica l’instaurarsi di un’isteria acuta. Quando esso si manifesta in occasioni successive e si accompagna a un ricordo, esso rappresenta il ripresentarsi di detto momento. Charcot ha già suggerito che gli attacchi isterici sono una forma rudimentale di una condition seconde.

Durante l’attacco, il controllo di tutta l’innervazione somatica viene ceduto alla coscienza ipnoide. La coscienza normale, secondo quanto dimostrano osservazioni ben note, non sempre è completamente soppressa. Essa può essere persino consapevole dei fenomeni motori propri dell’attacco, mentre gli avvenimenti psichici concomitanti sono al di fuori della consapevolezza.

Per quanto ne sappiamo il decorso tipico di un caso grave di isteria è il seguente. Inizialmente si forma, negli stati ipnoidi, un contenuto ideativo; allorché esso si è ingrandito fino a raggiungere una determinata proporzione, viene ad assumere, durante un periodo di isteria acuta, il controllo delle afferenze nervose somatiche e dell’intera esistenza del paziente, dando luogo a sintomi cronici e ad attacchi, dopo di che recede, a prescindere da alcuni residui. Se la personalità normale può riacquistare il predominio, quanto residua del contenuto ideativo ipnoide ricorre in attacchi isterici e riconduce di tanto in tanto il paziente a stati similari, i quali sono, di per se stessi, nuovamente aperti all’influenza e sensibili ai traumi. Talora può instaurarsi uno stato di equilibrio tra i due gruppi psichici, che sono contemporaneamente presenti nella stessa persona: attacchi isterici e vita normale procedono fianco a fianco senza interferenza reciproca. Un attacco può comparire spontaneamente, così come i ricordi negli individui normali. Però è possibile provocare un attacco, proprio come si può suscitare un ricordo secondo le leggi dell’associazione. Esso può essere provocato o dalla stimolazione di una zona isterogena, o da una nuova esperienza che risulta efficace grazie alla sua somiglianza con l’esperienza patogena. Speriamo di essere in grado di dimostrare che questi due generi di cause determinanti, sebbene appaiano tanto dissimili, non differiscono nella loro essenza, ma che in entrambe sia implicato un ricordo iperestesico.

In altri casi questo equilibrio è molto instabile. L’attacco fa la sua comparsa quale manifestazione del residuo della coscienza ipnoide, in tutti i casi in cui la personalità normale è esausta o inabilitata. Non si può trascurare la possibilità che l’attacco sia stato spogliato del suo significato normale e possa comparire in modo ricorrente quale reazione motoria priva di qualsiasi contenuto.

Spetterà alle ricerche future stabilire quale sia l’elemento che fa sì che una personalità isterica si manifesti con attacchi, con sintomi cronici o con un insieme di entrambi.


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5.

Ora si può comprendere come il procedimento psicoterapeutico descritto in queste pagine possa avere un effetto curativo. Esso viene ad esaurire l’energia attiva dell’idea che, originariamente, non aveva subito l’abreazione, permettendo allo stesso stato emotivo soffocato di trovare sfogo attraverso la parola; inoltre la sottopone ad una correzione associativa introducendola nella coscienza normale (sotto leggera ipnosi), ovvero allontanandola grazie alla suggestione del curante, come avviene nel sonnambulismo accompagnato da amnesia.

Noi riteniamo che i vantaggi terapeutici di questo procedimento siano considerevoli. Ovviamente è certo che noi non curiamo l’isteria in quanto predisposizione. Nulla possiamo fare contro il ricorrere di stati ipnoidi. Inoltre, durante la fase produttiva, di un’isteria acuta, il nostro procedimento non può impedire che fenomeni, tanto faticosamente eliminati, siano soppiantati da fenomeni nuovi. Ma non appena lo stadio acuto è passato, è spesso possibile, grazie al nostro metodo, eliminare ogni residuo che tenda a permanere sotto forma di sintomi cronici o di attacchi, e tale eliminazione può essere definitiva, perché il nostro metodo è radicale. Sotto questo aspetto esso ci sembra di gran lunga superiore, nella sua efficacia, alla rimozione dei sintomi con la suggestione diretta qual è attualmente praticata dagli psicoterapeuti.

Se noi, con lo svelare i meccanismi psichici dei fenomeni isterici, siamo riusciti a compiere un passo avanti sul cammino tracciato con tanto successo da Charcot, con la spiegazione e imitazione artificiale delle paralisi isterotraumatiche, non possiamo però nasconderci il fatto che questo ci ha avvicinato soltanto alla comprensione del meccanismo dei sintomi isterici e non delle cause interne dell’isteria. Non abbiamo fatto altro che sfiorare l’etiologia dell’isteria e, infatti, siamo riusciti a far luce soltanto sulle forme acquisite, sugli effetti dei fattori accidentali sulle nevrosi.

Vienna, dicembre 1892.

A cura di:
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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Il complesso edipico

Il Complesso edipico: di cosa si tratta?

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Complesso edipico: di cosa si tratta?

Nella teoria psicoanalitica il complesso di Edipo riguarda il desiderio infantile di un coinvolgimento sessuale con il genitore di sesso opposto ed un concomitante senso di rivalità con il genitore dello stesso sesso.

Perché “edipico”?

Sigmund Freud utilizzò il mito greco di Edipo il quale, ignaro delle proprie origini, uccise suo padre Laio e sposò sua madre Giocasta.

Perché “complesso”?

Il termine complesso deve essere inteso come insieme di elementi correlati a questa fase evolutiva e tutti collegati tra loro: fantasie, desideri, angosce, conflitti interni e relativi meccanismi di difesa.

Il complesso edipico era patologico per Freud?

No. Il fondatore della psicoanalisi non guardava al complesso edipico come a una patologia, ma come una fase cruciale nel normale processo di sviluppo.

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Quando, secondo la teoria psicoanalitica, il bambino vive il complesso edipico?

Il complesso edipico secondo la teoria freudiana raggiunge la sua acme fra i tre e i cinque anni, durante la così detta ‘fase fallica’ e il suo declino segna l’ingresso nel periodo della ‘latenza’. La modalità del suo superamento decide la scelta oggettuale in età adulta.

Cosa è l’angoscia di castrazione?

La fantasia peculiare del piccolo maschio durante il complesso edipico è l’angoscia di castrazione, cioè la paura di essere evirato dal padre, come forma si punizione per i suoi desideri incestuosi.

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Come si supera il complesso edipico?

Il complesso edipico si supera attraverso una identificazione con il padre e l’interiorizzazione del divieto. In questo modo si costituisce il Super-Io che rappresenta il fondamento intrapsichico della coscienza morale e che svolge un ruolo al tempo stesso normativo, punitivo e protettivo. Il bambino si rende conto di non poter fare tutto ciò che il genitore fa: alcune cose rimangono prerogative dell’adulto ed egli potrà acquisirle solo dopo aver portato a termine il compito evolutivo.

Dopo il complesso edipico inizia il periodo della latenza sessuale, nella quale il bambino viene assorbito dalle vicende scolastiche e si dedica alla scoperta del mondo esterno alla famiglia.

In quale libro Freud teorizzò per la prima volta questo complesso?

Sigmund Freud introdusse per la prima volta il concetto del Complesso Edipico nella Interpretazione dei sogni (1899). Prima dell’uscita di questo libro ne aveva discusso in uno scambio di lettere con il suo amico Fliess.

Relazione La sessualità femminile fra sapere e potere

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Come ne parla Freud?

Scrive Freud (L’Io e l’Es, 1922):

‘Due sono i fattori responsabili di tale complessità: il carattere triangolare della situazione edipica e la bisessualità costituzionale dell’individuo. Il caso più semplice si struttura, per il bambino di sesso maschile, nel modo seguente: egli sviluppa assai precocemente un investimento oggettuale per la madre, investimento che prende origine dal seno materno e prefigura il modello di una scelta oggettuale del tipo ‘per appoggio’; del padre il maschietto si impossessa mediante identificazione.

Le due relazioni per un certo periodo procedono parallelamente, fino a quando, per il rafforzarsi dei desideri sessuali riferiti alla madre e per la constatazione che il padre costituisce un impedimento alla loro realizzazione, si genera il complesso edipico.

L’identificazione con il padre assume ora una coloritura ostile, si orienta verso il desiderio di toglierlo di mezzo per sostituirsi a lui presso la madre. Da questo momento in poi il comportamento verso il padre è ambivalente; sembra quasi che l’ambivalenza, già contenuta nell’identificazione fin da principio, si faccia manifesta.

L’impostazione ambivalente verso il padre e l’aspirazione oggettuale esclusivamente affettuosa riferita alla madre costituiscono per il maschietto il contenuto del complesso edipico nella sua forma semplice e positiva’

Il complesso di Edipo vale anche per le bambine?

Freud e i primi psicoanalisti indagarono principalmente il complesso di Edipo nel maschio; lo sviluppo psicosessuale della bambina venne delineato secondo una sbrigativa simmetria: la femmina sarebbe caratterizzata dall’invidia del pene anziché dall’angoscia di castrazione. Questo complesso femminile venne denominato dai seguaci di Freud come “complesso di Elettra”.

Il complesso di Elettra, tuttavia, non ebbe successo. Lo sviluppo psicosessuale della donna è rimasto uno dei temi che ha subito maggiori revisioni nella psicoanalisi e che è rimasto tutt’ora irrisolto, visto che l’invidia del pene oggi non viene più considerata una motivazione plausibile.

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Chi era Elettra?

Elettra, nella mitologia, era figlia di Agamennone e Clitemnestra: quest’ultima fece uccidere il suo sposo dal proprio amante Egisto e, quando Elettra scoprì di chi fosse la responsabilità della morte di suo padre, si vendicò facendo uccidere la madre dal proprio fratello Oreste.

Secondo la definizione di Carl Gustav Jung tale complesso si definisce come il desiderio della bambina di possedere il padre e della competizione con la propria madre per il possesso del genitore.

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Il complesso edipico ieri e oggi

Il complesso edipico, ieri e oggi

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Sebbene Freud non abbia mai dedicato un libro a questo argomento, il complesso edipico è al centro della psicoanalisi e la sua storia è quasi identica a quella di questa disciplina.

Nel suo ultimo libro, postumo e incompiuto, “Compendio della Psicoanalisi”, pubblicato nel 1940, il fondatore del movimento psicoanalitico ha scritto: “mi permetto di pensare che se la psicoanalisi non avesse al suo attivo che la sola scoperta del complesso d’Edipo rimosso, ciò sarebbe sufficiente a farla schierare tra le nuove, preziose acquisizioni del genere umano” (Freud, Compendio di Psicoanalisi, 1938).

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La scoperta del complesso edipico, nel lavoro e nel pensiero di Freud, ha una lunga tradizione.

Fu durante la sua autoanalisi, intrapresa dopo la morte di suo padre nel 1896, che Freud per la prima volta pensò all’eroe della tragedia di Sofocle “Edipo Re “.

L’argomento può essere riassunto in poche righe. Edipo era il figlio di Laio, re di Tebe e Giocasta era sua moglie. La coppia regnava su Tebe. Essendo venuti a sapere che questo figlio avrebbe ucciso il padre e sposato sua madre, i due genitori decidono di abbandonarlo appena nato, affidandolo a un servo. Il bambino viene effettivamente abbandonato nel bosco, ma lo salva un pastore, che lo consegna a Polibo, re di Corinto, che non poteva avere figli da sua moglie Peribia.

Quando anche Edipo consulta l’oracolo e viene a sapere il suo destino, cerca di opporvisi fuggendo a Tebe. Per strada tuttavia uccide un uomo, senza sapere che è suo padre Laio. Arrivato a Tebe, risolve l’enigma della sfinge e, per ringraziarlo, Creonte, fratello della regina vedova Giocasta gli offre la mano della sorella. Così Edipo sposa sua madre.

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Troviamo la prima menzione di questa leggenda negli scritti di Freud in una lettera che scrisse nel 1897 a Wilhelm Fliess: “

15 ottobre, 1897

“… Mi è nata una sola idea di valore generale: in me stesso ho trovato l’innamoramento per la madre e la gelosia verso il padre, e ora ritengo che questo sia un evento generale della prima infanzia… se è così si comprende l’interesse palpitante che suscita l’Edipo Re…La saga greca si rifà a una costrizione che ognuno riconosce per averne avvertita in sé l’esistenza. Ogni membro dell’uditorio è stato, una volta, un tale Edipo in germe e in fantasia e, da questa realizzazione di un sogno trasferita nella realtà, ognuno si ritrae con orrore e con tutto il peso della rimozione che separa lo stato infantile da quello adulto.”.

Da allora in poi, nel corso degli anni e nei successivi scritti, Freud non smetterà di affinare e integrare questa idea di base: il desiderio del bambino per il genitore dell’altro sesso, l’ostilità verso il genitore dello stesso sesso, al punto di renderlo il concetto-chiave della psicoanalisi.

Il complesso di Edipo troverà in particolare un posto nella teoria freudiana negli stadi dello sviluppo psico-sessuale. Si tratta di 5 fasi: orale (0-18/24 mesi), anale (2-4 anni), fallica (4-6 anni), di latenza (6-10/11 anni) genitale (pubertà).

Durante la fase fallica, il bambino scopre i piaceri che può ricavare dal suo pene e comincia ad esibirlo di fronte a sua madre, vedendo in suo padre un “rivale”; questa fase è seguita dal complesso di castrazione: il bambino teme di essere punito e castrato da suo padre, il che lo porta a rinunciare al suo desiderio libidico per sua madre e, più tardi (durante lo stadio genitale, che si verifica nell’adolescenza), comincia ad interessarsi ad altre donne, di età compatibile con la propria.  Freud vide nella punizione che l’Edipo di Sofocle si procura quando capisce il doppio crimine che ha commesso,  la cecità, un “sostituto” della castrazione paterna.

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Elaborato di libro in libro, il complesso di Edipo è sempre stato, sin dai tempi di Freud, oggetto di violente critiche. Prima di tutto a causa della spinosa questione delle bambine, per le quali il fondatore della psicoanalisi ha cercato di proporre una versione femminile del complesso, ma senza riuscire a convincere altri psicoanalisti, a partire da  Melanie Klein.

Poi, e soprattutto, molti critici hanno messo in discussione la sua universalità, ancora difesa da Freud in “Totem e tabù” (1913). Gli etnologi sono stati in prima linea in questa lotta. Se il francese Claude Levi Strauss sostenne che la proibizione dell’incesto era in effetti il fondamento di tutte le culture umane, un’idea che si adatta perfettamente con il complesso di Edipo agli occhi degli psicoanalisti, altri etnologi sono stati più critici. Alcuni, evocando ad esempio la parentela matrilinea di alcuni popoli melanesiani, sostenevano che il complesso di Edipo non poteva essere applicato a loro, poiché presuppone un’identità di fatto tra il padre biologico e la figura che incarna l’autorità.

Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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Ai nostri tempi tuttavia, è soprattutto la delicata estensione del complesso edipico alle nuove forme di famiglie,
molto lontane da ciò che accadeva nella Vienna del primo Novecento (si pensi alle famiglie monoparentali, ricomposte, con genitori omosessuali…): si può ancora pensare che il complesso edipico possa avere un valore universale?

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  • 19 Mar 2017
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Pro e contro il complesso edipico

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Nell’Ottobre del 1897, Sigmund Freud scrisse al suo collega ed amico Wilhelm Fliess: «Ho trovato in me, come negli altri, dei sentimenti d’amore verso mia madre e di gelosia verso mio padre, sentimenti che sono, credo, comuni a tutti i bambini ». Per Freud infatti il complesso edipico è una fatalità che si verifica per tutti, sin dalla notte dei tempi, verso i tre anni.

La sua teoria calzava bene nei confronti del maschietto, mentre era più difficile da adattare al caso delle femmine, dal momento che anche le bambine avevano, incontestabilmente, come primo oggetto d’amore la mamma e dunque non poteva esserci un adattamento simmetrico della teoria.

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Gli attacchi alla teoria del complesso edipico furono forti ed immediati, a partire da quelli del presunto erede di freud, Carl Gustav Jung, e poi di quelli di Sandor Ferenczi. Un intellettuale americano, Jeffrey Moussaieff Masson, ha aperto una polemica nel 1984 con il saggio: «The Assault on Truth: Freud’s Suppression of the Seduction Theory »

Nel saggio, Freud viene descritto come un bugiardo, un impostore, un odioso maschilista, che nega le violenze subite dalle bambine. I filosofi Gilles Deleuze e Félix Guattari uscirono con «L’anti-oedipe» (Les Editions de Minuit) nel 1973, con l’intento di riesaminare la teoria edipica, alla luce del fatto che per Freud l’omosessualità era ancora una perversione.

Del resto anche l’antropologia e l’etnologia avevano nel frattempo criticato l’idea di un complesso edipico universale: infatti, in alcune etnie, specialmente africane, molte società sono matriarcali e il padre ha, in quei contesti, un ruolo decisamente secondario.

Claude Lévi-Strauss giudicava invece tropo parziale la scelta di questo mito per spiegare la complessità della psicologia umana.

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Gli psicoanalisti hanno risposto a queste contestazioni sostenendo che il complesso edipico richiede sostanzialmente un trio di persone: un bambino che ha un rapporto fusionale con un genitore e un terzo, un ‘separatore’, un rappresentante del mondo esterno, della Legge, che vuole sottrarre il piccolo a questa fusione. Detto questo, poco importa chi siano gli attori: padri, madri, zii eccetera.

Viene da chiedersi allora cosa potrebbe essere l’Edipo se una madre alleva da sola i propri figli, come spesso accade. L’essenziale, risponde qyi lo psicoanalista Juan David Nasio nel suo «L’oedipe, le concept le plus crucial de la psychanalyse» (Payot, 2005) è che il figlio non sia l’unico amore della madre. Se la madre non ha un partner, la figura del padre può essere sostituita da un terzo che attrae il suo desiderio e che si interpone fra madre e figlio, permettendo a quest’ultimo di raggiungere l’autonomia.

Insomma, per i freudiani non ci sono dubbi: il complesso edipico è ancora la fase cruciale dello sviluppo psicologico. Esso ci insegna a canalizzare le nostre pulsioni, a rinunciare ai desideri impossibili, integrando la proibizione dell’incesto. Senza l’Edipo non diventeremmo mai degli esseri sociali, saremmo incapaci di amare e di costruire un rapporto di coppia, o una famiglia.

Per gli psicoanalisti ortodossi siamo dunque ancora ben lontani dal colpo finale che potrebbe uccidere la psicoanalisi.

Adattato da Le Matin

Dott.ssa Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
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Il complesso edipico: di cosa si tratta?

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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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