Videogiochi violenti? Ok, ma non giocate da soli

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Una nuova ricerca sostiene che i videogiochi violenti non necessariamente rendono i giocatori più aggressivi – se essi giocano in cooperazione con altre persone.

In due studi, i ricercatori hanno scoperto che gli studenti universitari che avevano unito le proprie forze per giocare a dei videogiochi violenti hanno mostrato, in seguito, un comportamento più cooperativo e minori segni di aggressività, rispetto ad un gruppo di controllo composto da studenti che si erano dedicati allo stesso gioco, ma in diretta competizione.

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Secondo David Ewoldsen, co-autore degli studi e professore di comunicazione presso la Ohio State University, i risultati suggeriscono che è troppo semplicistico dire che i videogiochi violenti siano sempre un male per i giocatori.

“Chiaramente, la ricerca ha stabilito un legame tra videogiochi violenti e aggressività, ma questa è una visione incompleta”, ha detto Ewoldsen.

“La maggior parte degli studi che riscontrano legami tra giochi violenti e aggressività sono stati fatti con persone che giocano da sole. L’aspetto sociale dei videogiochi di oggi può cambiare un po’ le cose”.

La nuova ricerca suggerisce che un videogioco violento, se giocato in squadra con un compagno, cambia il modo in cui i giocatori reagiscono alla violenza.

“Si è ancora molto aggressivi, visto che nel gioco si uccidono delle persone – ma quando si collabora, questo smorza alcuni effetti negativi della eccessiva aggressività “, ha detto il co-autore John Velez, laureato in comunicazione presso la Ohio State.

Uno dei due studi è stato recentemente pubblicato online sulla rivista Communication Research, e apparirà in una versione stampata in futuro. L’altro studio è invece stato pubblicato di recente nella rivista Cyberpsychology, Behavior and Social Networking.

Lo studio ha coinvolto 119 studenti universitari: essi sono stati divisi in quattro gruppi per giocare con il videogioco Halo II, insieme a un compagno o da soli, in competizione con un avversario.

In primis, tutti i partecipanti hanno compilato un questionario sulla loro storia di videogiochi e si è calcolato anche il loro livello di aggressività.

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I gruppi erano i seguenti:

1. Competizione diretta. A coloro che, in diretta concorrenza, giocavano in modalità multiplayer è stato detto che il loro compito era quello di uccidere più persone di quelle che erano state uccise dall’avversario.

2. Competizione indiretta. Si giocava in modalità single-player con il  compito di andare quanto più avanti possibile nel gioco.

3. Cooperazione. Nella condizione cooperativa, ai partecipanti è stato chiesto di andare più avanti possibile nel gioco, lavorando con il proprio partner in modalità cooperativa su Halo II. In questo caso, la coppia doveva sconfiggere i nemici controllati dal computer.

4. Gruppo di controllo. L’ultimo gruppo ha riempito il questionario e poi ha giocato una partita alla fine dello studio. Il loro gioco non è stato registrato.

Dopo aver giocato il gioco violento, le stesse coppie di partecipanti che avevano giocato con o contro l’altro hanno partecipato ad un gioco nella vita reale in cui hanno avuto l’opportunità di collaborare o competere tra loro.

In questo gioco, hanno giocato più rounds, in cui sono stati dati dieci centesimi di dollaro che i partecipanti potevano tenere per sé o condividere con il proprio partner. I ricercatori volevano vedere se i giocatori entravano in sintonia con i loro partners di gioco. In altre parole, se un giocatore si comportava in modo cooperativo verso l’altro, era atteso che anche l’altro avrebbe fatto lo stesso. Questo comportamento (Tit for tat) è considerato dai ricercatori un precursore della capacità di cooperazione.

I risultati hanno mostrato che i partecipanti che avevano giocato al gioco in modo cooperativo avevano maggiori probabilità, rispetto a coloro che avevano giocato da soli, di mostrare comportamenti cooperativi nel successivo gioco della vita reale.

“Questi risultati suggeriscono che le ricerche sui videogiochi non dovrebbero prendere in considerazione solo il contenuto del gioco, ma anche come questi giochi vengono utilizzati dai giocatori”, ha detto Velez.

Il secondo studio, pubblicato in Communication Research, ha esteso i risultati, mostrando che la cooperazione in un videogioco violento può anche unire le persone appartenenti a gruppi rivali ( in questo caso, i fan della Ohio State e quelli del loro acerrimo rivale, l’Università del Michigan).

Questo studio ha coinvolto 80 studenti dell’Ohio State che, quando sono andati al laboratorio per l’esperimento, sono stati associati con una persona che pensavano fosse un altro studente partecipante. In realtà, l’abbinamento veniva fatto con uno degli sperimentatori che indossava una t-shirt dell’Ohio State – o una della rivale ‘Università del Michigan.

Uno dei ricercatori faceva notare allo studente partecipante la t-shirt indossata dall’altro compagno con cui veniva abbinato.

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Lo studente e il compagno dovevano impegnarsi in un gioco altamente realistico e violento (Unreal Tournament III) come compagni di squadra o come rivali.

Dopo aver giocato il videogioco, i partecipanti hanno svolto lo stesso gioco dell’altra ricerca, nella vita reale, con il proprio presunto partner di gioco, che invece era uno dei ricercatori.

Essi hanno inoltre completato un questionario per misurare il loro livello di aggressività.

I risultati hanno mostrato il potere del gioco di squadra (anche se in videogiochi violenti) nel ridurre i pensieri aggressivi ed anche il superamento delle differenze fra gruppi.

Come nel primo studio, i giocatori che avevano collaborato nel videogioco, nel gioco della vita reale hanno mostrato un livello di cooperazione più alto, rispetto a coloro che avevano gareggiato l’uno contro l’altro.

La cosa aveva funzionato anche quando gli studenti dell’Ohio State pensavano di giocare con un rivale della University of Michigan.

Inoltre, i partecipanti che avevano giocato in modo cooperativo mostravano tendenze meno aggressive rispetto a coloro che avevano giocato in modo competitivo, almeno in un primo momento. In realtà, chi aveva giocato in modo competitivo con un rivale in realtà aveva mostrato minore aggressività rispetto a coloro che avevano giocato in team.

“Se stai giocando con un rivale, e il rivale mostra di cooperare con te, questo infrange le tue aspettative, nel senso che sei sorpreso per questa collaborazione e questo ti rende ancora più disponibile a collaborare”, ha detto Ewoldsen.

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Alla fine, anche quelli che erano stati in concorrenza tra loro nei videogiochi cominciato a collaborare tra loro in vita reale giochi dopo.

“Il punto è che il modo di agire nel mondo reale sostituisce molto rapidamente tutto ciò che sta accadendo nei videogiochi”, ha detto Ewoldsen. “I videogiochi non controllano ciò che siamo”.

Questi risultati dovrebbero incoraggiare i ricercatori a studiare non solo come il contenuto dei videogiochi violenti influisce sui giocatori, ma anche l’impatto dello stile di gioco.

“Che cosa è più importante: collaborare con un altro essere umano, o uccidere una creatura digitale?” concludono i ricercatori, i quali ritengono che  collaborare con un altro essere umano sostituisca gli effetti di un videogioco violento.

Fonte:
Violent Video Games Not So Bad When Players Cooperate, Medical News Today

La domanda sorge spontanea: e se unissimo lo stile cooperativo di gioco con videogames altrettanto emozionanti, dove però il giocatore non deve uccidere delle persone, ma salvarle (ad esempio, dagli effetti di una catastrofe naturale), cosa succederebbe?

Dr. Giuliana Proietti

Dr. Giuliana Proietti

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Immagine:
HaloII, Wikimedia


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Un commento

  1. I videogiochi sono nati per insegnare o per divertire? Per l’opinione pubblica, il loro scopo è principalmente ludico, ma sicuramente non insegnano nulla: spesso sono soggetti alle critiche dei media che li giudicano diseducativi, dannosi, pericolosi. Il fenomeno dei videogiochi è fondamentalmente nuovo, studiato soprattutto negli ultimi tempi dagli esperti, ad esempio dagli psicologi che cercano di capire quali danni potrebbero arrecare se usati in modo improprio. Sono loro che affermano la pericolosità dei nuovi mondi virtuali, non i diretti interessati, come per esempio i videogiocatori professionisti (Monica Monaco, 2010). Esistono casi limite, quali i cosiddetti “hikikomori” (Wikipedia), termine giapponese usato per designare persone che si ritirano dalla vita sociale per dedicarsi ai videogiochi; le cause di questo però non sono del tutto chiare. Numerosi esperimenti già conclusi portano solamente ad alcune ipotesi che confermerebbero la presunta pericolosità dei videogiochi, ma non vi sono mai prove concrete. Inoltre, spesso si tende a generalizzare, affermando che tutti i videogiochi sono diseducativi e potenzialmente pericolosi per gli utenti. Più mirata è stata la ricerca svolta da un’università statunitense, i cui ricercatori hanno osservato che i videogiochi violenti non inducono comportamenti violenti, ma rendono semplicemente più tollerabile la violenza.

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