Jacques Lacan, Freud e la società umana

Elisabeth Roudinesco ha da poco pubblicato il libro Lacan, envers et contre tout. La Roudinesco (classe 1944) è figlia di un medico e di Jenny Aubry, grande psicoanalista infantile. Dal 1969 al 1981, è stata membro della scuola freudiana di Parigi, dove ha seguito una formazione analitica con Jacques Lacan. La sua opera maggiore è l’ Histoire de la psychanalyse en France (questi i suoi libri in lingua italiana).

La Roudinesco ricorda la figura di Jacques Lacan come quella di un grande maestro, molto legato al suo territorio, a Parigi come alla provincia.

Ancora più chiaramente di Freud, secondo la Roudinesco, Lacan ha contrastato il comportamentismo, sostenendo che l’uomo non è un corpo-macchina, ma un soggetto di desiderio.

Jacques Lacan, ricorda ancora l’autrice del libro, ha corretto la teoria freudiana della sessualità femminile, attraverso un approccio più moderno alla femminilità, sotto l’influenza del surrealismo e della clinica della follia femminile. Quanto alla famiglia, Lacan condivideva la visione di Freud, per cui non c’è niente di peggio della famiglia … Con l’eccezione di tutto il resto, ma criticava chi avrebbe voluto tornare indietro alla onnipotenza patriarcale, così come coloro che avrebbero voluto abolirla.

LacanLo psicoanalista francese è inoltre importante, secondo la Roudinesco, perché affronta la teoria della pulsione di morte freudiana, integrandovi gli orrori di Auschwitz, riflettendo anche sul binomio Kant-marchese de Sade e fornendo una visione originale del personaggio di Antigone, più terribile di Creonte, per il suo assolutismo.

Jacques Lacan, pur essendo ateo e materialista, si rifiutò di vedere nella religione una nevrosi e coltivò una passione per la fede dei grandi mistici. Pensando che la spiritualità non potesse essere ridotta al corpo, Lacan si conquistò le simpatie di molti lettori cristiani, così come degli psichiatri comunisti, per essere vicino al movimento progressista. Di qui il paradosso che vede Lacan, a partire dagli anni sessanta, dominare un po’ in tutti i settori: da quello clinico alla filosofia, dai pensatori cristiani ai comunisti.

Ebbe, naturalmente, anche molti critici: fu detto di lui che era maoista, che era uno stupratore, un truffatore, che era capo di una setta, che picchiava le sue mogli, i suoi pazienti, le sue persone di servizio, i suoi figli e che era un collezionista di armi da fuoco.

Jacques Lacan, ricorda la Roudinesco, era in realtà una persona affascinante. I suoi manierismi, i suoi capricci, la sua passione per il collezionismo, lo rendevano una persona stravagante: né classico, come Lévi-Strauss, né accademico, come Foucault o Deleuze, ma ciò non gli ha impedito, secondo il giudizio di questa famosa allieva, di diventare un grande pensatore della psicoanalisi.

A 30 anni dalla morte, con questo libro la Roudinesco vuole ricordare questa “avventura intellettuale” che si è conquistata un posto importante nella nostra modernità, e la cui eredità resta fertile per quanto riguarda la libertà di parola e di espressione, l’emancipazione delle donne, delle minoranze e degli omosessuali, la speranza di cambiare la vita, la famiglia, la follia, la scuola, il desiderio, la negazione della norma, il piacere della trasgressione.

Suscitando la critiche della Chiesa, che continua a metterlo in cattiva luce, Jacques Lacan andò sempre, secondo la Roudinesco, comunque contro corrente, come un lucido e cinico libertino. Naturalmente, era convinto che la ricerca della verità fosse l’unico modo per sostituire il desiderio di progresso all’idea della salvezza eterna, i lumi all’ oscurantismo. La razionalità però, secondo Lacan, talvolta può trasformarsi nel suo opposto e creare la sua stessa distruzione. Di qui la sua difesa di riti, tradizioni e strutture simboliche.

Coloro che rifiutano il suo pensiero, bollando Jacques Lacan come un “guru” o un “distruttore della democrazia”, dovrebbero, secondo la psicoanalista francese, considerare il contesto in cui visse Lacan.

Nato nel primi anni del Novecento, visse due guerre feroci. Cominciò ad essere conosciuto negli anni Trenta, ma il suo pensiero divenne dominante nella cultura francese, dagli anni Cinquanta agli anni Settanta. Quel periodo era ancora segnato da un lascito ideale, sociale e politico, dei due movimenti dalla Resistenza, il gollismo e il comunismo, e dal periodo della decolonizzazione. Infine, la “rottura” prodotta dal maggio 1968, che ha fatto guardare alla Francia come alla nazione più colta del mondo, una nazione dove gli intellettuali erano dominanti all’interno dello stato di diritto, segnati dal culto di una Repubblica universalista ed egualitaria.

In questo contesto, tutte le aspirazioni basate sulla ragione e il progresso erano bene accette. Compreso il progetto di migliorare collettivamente il destino di tutte le persone che soffrivano di disturbi psichiatrici: nevrotici, psicotici, depressi, delinquenti. Ed è proprio a quei tempi che Jacques  Lacan sosteneva che il pensiero di Sigmund Freud fosse l’unico orizzonte possibile per una società democratica, l’unico in grado di catturare tutti gli aspetti della complessità umana: il peggio e il meglio.

Lacan era anche l’unico pensatore della psicoanalisi che teneva conto di Auschwitz, che descriveva l’orrore, prendendo spunto dalla tragedia greca come dagli scritti del marchese de Sade. Nessuno tra gli eredi di Freud sapeva, come lui, reinterpretare la questione della pulsione di morte alla luce dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti.

Senza queste riforme lacaniane e senza questa fascinazione che Lacan sentiva per i lati più crudeli e oscuri dell’umanità, la psicoanalisi sarebbe diventata, in Francia, un caso pietoso di psicologia medica, erede di Pierre Janet, di Theodule Ribot, o peggio, di Léon Daudet, Gustave Le Bon e Pierre Debray-Ritzen.

A partire dal XIX secolo, dice la Roudinesco, dopo il declino della sovranità monarchica, in presenza di una nuova configurazione ideologica basata sulla paura delle folle, sull’adesione alla dottrina della disuguaglianza razziale e sulla credenza in un ideale della scienza, che potrebbe governare il popolo, l’invenzione freudiana si pone come un nuovo umanesimo, per la promozione delle libertà individuali e il desiderio di esplorare la parte irrazionale della natura umana.

Freud, conservatore illuminato, era convinto che l’avvento della democrazia avrebbe firmato la vittoria della civiltà sulla barbarie. Ma, da pessimista, era anche convinto che la vittoria non sarebbe mai stata raggiunta e che ogni epoca sarebbe stata ancora minacciata, attraverso il progresso umano in sé, dal ritorno permanente degli impulsi più distruttivi. In altre parole, Freud sosteneva che la frustrazione fosse necessaria per l’umanità, per permetterle di controllare la sua aggressività e gli impulsi sessuali, ma che ciò rendeva gli uomini infelici perché, tra i vivi, solo gli uomini, a differenza degli animali, sono realmente consci dei loro desideri di distruzione.

Jacques Lacan fu ancora più pessimista di Freud nel suo approccio alla società umana: più forte, senza dubbio, la sua idea della fragilità dei governi democratici, più interessato alla follia, alla criminalità e al misticismo, e in definitiva più tormentato. In questo si sentiva diverso dagli eredi ufficiali di Freud – Melanie Klein, Donald W. Winnicott e molti altri – soprattutto per la distanza che aveva preso nei confronti di una concezione della psicoanalisi ridotta ad una metodologia clinica.

Freud aveva respinto la filosofia e si era rivolto verso la biologia, la mitologia, l’archeologia. Lacan era invece interessato a reintrodurre il pensiero filosofico nel corpus teorico freudiano. Successivamente, volle fare della psicoanalisi un antidoto alla filosofia, un’ “anti-filosofia”, correndo il rischio di tornare all’oscurantismo anti-illuminista.

La sua forza fu quella di avere una passione sincera per la medicina pubblica: per questo non abbandonò mai l’ospedale Sainte-Anne, “le mie mura”, diceva, quando sosteneva di “parlare con i muri”, perché non si sentiva compreso. Questo suo mettersi in gioco direttamente, sul campo, permise a Lacan di acquisire popolarità fra migliaia di psicologi e operatori della salute mentale.

Fonti:

Lacan le refondateur, Sud Ouest
Lacan, envers et contre tout, d’Elisabeth Roudinesco, l’Express

Dr. Giuliana Proietti, psicoterapeuta,

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