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Category Archives: Psicologia

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L’ironia: la capiscono anche i bambini?

L’ironia: la capiscono anche i bambini?

Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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ANCONA FABRIANO TERNI CIVITANOVA MARCHE E ONLINE

L’ironia è una figura retorica sofisticata che si manifesta attraverso l’espressione di un significato implicito, spesso opposto a quello letterale delle parole pronunciate. Questa forma di comunicazione può essere usata per esprimere umorismo, critica o disappunto in modo velato, rendendola uno strumento potente nel linguaggio quotidiano. Cerchiamo allora di capire se anche i bambini sono in grado di comprendere le sfumature di questa particolare forma di comunicazione.

Comprendere l’ironia è una abilità innata?

No, comprendere l’ironia non è un’abilità innata ma il risultato di processi cognitivi complessi che coinvolgono il linguaggio, la teoria della mente (ovvero la capacità di comprendere gli stati mentali altrui) e la capacità di cogliere il contesto sociale.

Come si sviluppa questa capacità nei bambini?

La capacità di comprendere l’ironia si sviluppa gradualmente nei bambini e dipende da diversi fattori, tra cui età, esposizione linguistica e capacità cognitive.

  • Bambini più piccoli (2-4 anni)
    Nei primi anni di vita, i bambini tendono a interpretare il linguaggio in modo letterale. La loro comprensione del mondo è ancora concreta e basata sull’osservazione diretta, il che rende difficile per loro cogliere il doppio significato implicito nell’ironia.

  • Età prescolare e scolare (5-8 anni)
    A questa età, i bambini iniziano a sviluppare una comprensione rudimentale dell’ironia, specialmente se accompagnata da segnali non verbali come il tono di voce o le espressioni facciali. Tuttavia, tendono a comprendere meglio forme di ironia più semplici, come il sarcasmo esplicito.

  • Età successiva (dagli 8 anni in poi)
    Dopo gli 8 anni, con lo sviluppo della teoria della mente e delle competenze sociali, i bambini diventano più abili nel decifrare il significato ironico. Possono iniziare a usare l’ironia a loro volta, spesso per sperimentare nuove forme di interazione sociale.

Dr. Giuliana Proietti - Videopresentazione

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Tariffe Psicoterapia

Perché è importante che i bambini imparino a usare l’ironia?

Perché l’ironia svolge un ruolo cruciale nello sviluppo del linguaggio e delle abilità sociali. Esporre i bambini all’ironia, in modo graduale e appropriato alla loro età, può aiutarli a sviluppare capacità di pensiero critico e una comprensione più profonda delle dinamiche sociali.

Quali acquisizioni devono fare i bambini per poter comprendere l’ironia?

I bambini devono avere anzitutto una buona conoscenza del contesto sociale. L’ironia si basa infatti su conoscenze e modi di dire condivisi; se il bambino non ha familiarità con questo contesto, avrà difficoltà a cogliere le battute.

Quanto è importante la conoscenza del linguaggio del corpo?

Moltissimo: il tono della voce e il linguaggio del corpo sono cruciali per decifrare l’ironia. I bambini devono avere infatti la capacità di comprendere che quello che si sta dicendo non è letteralmente quello che si vuole dire, e che è importante notare il cambiamento dei toni della voce, delle espressioni facciali, della postura, ecc. 

Quali bambini non capiscono l’ironia?

In genere quelli che appartengono allo spettro autistico.

A che età i bambini capiscono tutte le battute ironiche?

Per comprendere le forme più complesse di ironia occorre essere arrivati all’età dell’adolescenza, ma attenzione: a volte neanche gli adulti comprendono l’ironia!

Dr. Giuliana Proietti

PSICOTERAPIA SESSUOLOGIA ONLINE
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Giuliana Proietti
Dr. Giuliana Proietti

Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
TERAPIE INDIVIDUALI E DI COPPIA
ONLINE

La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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347 0375949 (anche whatsapp)

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Il colloquio clinico in psicologia

Il colloquio clinico in psicologia

Il colloquio clinico in psicologia

Relazione sulle Coppie Non Monogamiche

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Cosa è un colloquio clinico?

Un colloquio clinico è un dialogo fra psicologo/a e paziente che ha lo scopo di aiutare il/la professionista a fare una diagnosi e pianificare una terapia per il paziente.

Quali sono le finalità del colloquio clinico?

Il colloquio clinico è il cuore pulsante della psicologia applicata, offrendo al paziente uno spazio di ascolto e di comprensione profonda. Il colloquio clinico ha diverse finalità:

  • Valutare il problema presentato: il/la professionista raccoglie informazioni sulle difficoltà riportate dal paziente;
  • Definire gli obiettivi: il colloquio permette di chiarire cosa il paziente desidera ottenere dalla terapia;
  • Costruire un’alleanza terapeutica: il dialogo iniziale è cruciale per creare una relazione di fiducia, indispensabile per il successo del trattamento.

Tariffe Psicoterapia

Perché l’alleanza terapeutica è indispensabile per il trattamento?

Perché è il punto di partenza per un percorso terapeutico efficace, capace di rispondere alle esigenze individuali e di favorire il cambiamento.

Quale è la principale differenza fra una normale conversazione e un colloquio clinico?

Ci sono molte differenze, in particolare:

  1. Il colloquio clinico ha lo scopo di raccogliere dati per fare una diagnosi.  Un discorso fatto con un amico non ha uno scopo specifico e potrebbe trattare qualsiasi argomento.
  2. Nel colloquio clinico i ruoli sono chiaramente definiti: il paziente (o cliente) e il/la professionista psicologo. Questo significa che la conversazione verterà completamente sui problemi del paziente e lo psicologo avrà il ruolo di ascoltare, consigliare, sostenere il paziente, senza mai parlare dei suoi problemi personali.
  3. periodo di tempo definito, programmato in anticipo. 

Quali garanzie offre il colloquio clinico, rispetto alla conversazione con un amico?

Prima di tutto, lo psicologo/la psicologa che conduce un colloquio clinico deve offrire uno spazio sicuro per la conversazione.
Il paziente deve potersi aprire completamente, senza sentirsi giudicato. Inoltre, il/la professionista è tenuto/a alla privacy e dunque a non condividere le informazioni ricevute con altre persone, a meno che non vi sia un pericolo immediato per il paziente stesso, o per terze persone.

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Quale è la differenza fra il colloquio clinico psicologico e il colloquio clinico di tipo medico?

Il colloquio clinico psicologico, a differenza del colloquio clinico di tipo medico, non tiene conto solamente dell’obiettività dei dati raccolti, ma comporta anche delle deduzioni, in base alle modalità che il paziente usa per leggere la realtà, il suo stile del pensiero, il modo in cui collega e riordina le sue esperienze di vita e attribuisce loro un senso. Lo psicologo ha dunque il compito di comprendere la personalità del paziente.

Come si svolge il colloquio clinico psicologico?

Il colloquio clinico si svolge in un contesto riservato e confidenziale, che garantisca al paziente uno spazio sicuro per esprimersi. Le modalità possono variare a seconda dell’approccio teorico adottato dal professionista (ad esempio, psicodinamico, cognitivo-comportamentale o sistemico-relazionale), ma alcuni elementi sono comuni:

  • Accoglienza
    Il colloquio inizia con un’introduzione che mira a mettere il paziente a proprio agio. Lo psicologo chiarisce i limiti della confidenzialità, spiegando che tutto ciò che verrà detto sarà protetto dal segreto professionale, salvo eccezioni previste dalla legge.

  • Raccolta anamnestica
    Vengono esplorati la storia personale, familiare e medica del paziente, oltre ai fattori contestuali che possono influenzare il problema. Questa fase aiuta a comprendere il quadro complessivo della situazione.

  • Esplorazione delle difficoltà attuali
    Il focus si sposta sui sintomi, sulle emozioni e sui comportamenti problematici che hanno spinto il paziente a cercare aiuto.

  • Osservazione clinica
    Durante il colloquio, lo psicologo/la psicologa osserva non solo ciò che il paziente dice, ma anche il modo in cui lo fa: il linguaggio non verbale, il tono della voce e le espressioni emotive offrono preziose informazioni sul vissuto del paziente.

  • Chiusura e restituzione iniziale
    Alla fine del colloquio, il/la professionista fornisce un primo riscontro, delineando una possibile ipotesi diagnostica e spiegando i passi successivi.

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Quali strumenti vengono utilizzati nel colloquio clinico?

Gli strumenti del colloquio clinico sono i seguenti:

  • Domande aperte e chiuse: le prime favoriscono un’espressione libera, mentre le seconde aiutano a raccogliere informazioni specifiche.
  • Scale di valutazione: possono essere utilizzate per quantificare l’intensità dei sintomi o altre variabili psicologiche.
  • Tecniche proiettive: in alcuni casi, vengono utilizzati strumenti come disegni o test per esplorare aspetti inconsci.
  • Osservazione diretta: il/la professionista valuta aspetti comportamentali ed emotivi durante l’interazione.

Nell’osservazione clinica diretta, di cosa tenere conto nella comunicazione del paziente?

Durante un colloquio è necessario che il/la professionista tenga conto dei segni e dei sintomi espressi dal paziente.

  • I segni sono reperti obiettivi (si può ad esempio notare un rallentamento psicomotorio nel paziente, un linguaggio non verbale che esprime insicurezza ecc.);
  • I sintomi sono raccontati dallo stesso paziente: sono infatti le sue esperienze soggettive (il paziente può ad esempio raccontare della mancanza di appetito, della difficoltà ad alzarsi al mattino, della tachicardia ogni volta che entra in un supermercato, ecc.).

Questi segni e questi sintomi sono in genere molto comuni e riguardano la maggior parte degli esseri umani: ciò che varia, fra quella che consideriamo “normalità” e quella che consideriamo “patologia” è la loro frequenza e la loro intensità.

Per valutare la situazione generale di un paziente occorre inoltre tenere conto del suo modo di comunicare: dal linguaggio verbale (modo di esprimersi) a quello paraverbale (suoni vocali che non sono parole, come oh! Ah!, ecc.) a quello non verbale (postura, prossemica, mimica, gestualità, ecc.), a quello simbolico (gli oggetti che utilizza la persona per trasmettere dei significati).

Clinica della Timidezza
Dal 2002 parole che curano, orientano e fanno pensare.

Cosa sono i test psicologici?

Gli strumenti dello psicologo che conduce un colloquio clinico sono i test, che possono riguardare valutazioni psicodiagnostiche (personalità, intelligenza, sindromi psico-patologiche, ecc.).

I test psicodiagnostici sono strumenti standardizzati e funzionano mettendo a confronto le risposte fornite dal soggetto con un campione di soggetti che rappresentano la popolazione generale, posti nelle medesime condizioni di osservazione.

Cosa valutano i test psicodiagnostici?

Questi test possono valutare:

  • l’efficienza (dal punto di vista intellettivo, culturale, mnestico, ecc.),
  • la personalità (ad esempio i test proiettivi, i quali, come dice la parola, consistono nella valutazione delle “proiezioni” che il soggetto fa dei suoi vissuti interni su immagini ambigue e poco definite).

Cosa sono le valutazioni psicometriche?

Le valutazioni psicometriche si usano per avere un quadro quantitativo dei disturbi lamentati dal paziente: esse permettono di valutare, in modo standardizzato, la gravità dei sintomi di un paziente, mettendoli a confronto con quelli della popolazione generale.

Il desiderio sessuale nella donna infertile
Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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Cosa è l’anamnesi?

L’anamnesi è ciò che il paziente ricorda di significativo nei riguardi del proprio stato di salute. Non a caso questo termine deriva dal greco e significa “ricordo”.
In genere un’anamnesi approfondita riguarda:

  • tutti i dati di rilevanza clinica riguardanti la famiglia del soggetto: ascendenti e collaterali, cioè genitori e fratelli;
  • la storia dei principali eventi maturativi: a partire dalla nascita, passando per l’infanzia, l’adolescenza, l’acquisizione del linguaggio, la deambulazione, il controllo degli sfinteri, l’andamento scolastico, le abitudini alimentari, ecc.
  • le relazioni significative e i rapporti affettivi e sessuali;
  • la storia delle eventuali patologie pregresse, di tipo organico e psichico (anamnesi patologica);
  • la storia del problema clinico, di tipo psicologico, per cui il paziente si presenta al colloquio.

Quanto dura un colloquio clinico?

La durata di un colloquio clinico varia generalmente tra i 45 e i 60 minuti, ma può essere più breve o più lungo a seconda delle esigenze specifiche. Solitamente, il primo colloquio è più esteso, poiché prevede una raccolta anamnestica approfondita.

In cosa si differenzia il colloquio online?

Negli ultimi anni, il colloquio clinico si è adattato anche alle modalità digitali. Le terapie online seguono le stesse fasi di quelle in presenza.

Terapie Sessuali

Come si scrive una relazione psicologica, a seguito di un colloquio clinico?

La relazione psicologica che segue il colloquio clinico si basa su questi punti:

  • descrizione dell’aspetto generale della persona (tratti fisici, abbigliamento, postura, igiene, ecc.),
  • stile relazionale e affettivo (atteggiamenti e comportamenti verso gli altri),
  • eloquio (fluidità, proprietà di linguaggio, ritmo del discorso, tono della voce, rallentamenti, esitazioni, ecc.),
  • principali funzioni fisiologiche (alimentazione, igiene del sonno, funzioni sessuali, ecc.),
  • funzioni senso-percettive (come il soggetto interpreta le sensazioni che prova);
  • funzioni affettive (emozioni e sentimenti),
  • funzioni cognitive (attenzione, apprendimento, memoria, ecc.)
  • stile del pensiero (forma e contenuto)
  • psicomotricità (interazione dell’attività motoria con quella psicologica).

Dr. Walter La Gatta


Ipnosi Clinica

ANCONA FABRIANO CIVITANOVA MARCHE TERNI E ONLINE

 

LibriAutori:
Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta

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Dr. Walter La Gatta

Dr. Walter La Gatta

Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia
ONLINE E IN PRESENZA (Ancona, Terni, Fabriano, Civitanova Marche)

Il Dr. Walter La Gatta si occupa di:

Psicoterapie individuali e di coppia
Terapie Sessuali
Tecniche di Rilassamento e Ipnosi
Disturbi d’ansia, Timidezza e Fobie sociali.

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348 – 331 4908
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memoria a breve termine

Memoria a breve termine: come migliorarla

Memoria a breve termine: come migliorarla

Tariffe Psicoterapia

La memoria è una funzione fondamentale della mente umana, essenziale per apprendere, adattarsi e costruire l’identità personale. Può essere suddivisa in diverse tipologie: la memoria sensoriale, che registra brevemente le informazioni provenienti dai sensi; la memoria a breve termine, che trattiene pochi elementi per un periodo limitato; e la memoria a lungo termine, dove si consolidano conoscenze, esperienze ed emozioni.

Questa capacità non è infallibile: è influenzata da fattori emotivi, stress e invecchiamento, ma può essere allenata e migliorata con tecniche specifiche, come la ripetizione, l’associazione e l’uso di strategie cognitive. Cerchiamo di saperne di più.

Cosa è la memoria a breve termine?

La memoria a breve termine, nota anche come memoria primaria o attiva, è quella parte di memoria che si ritiene capace di conservare una piccola quantità di informazioni. È contrapposta alla memoria a lungo termine, capace di conservare una quantità enorme, anche se non infinita, di informazioni, per lungo tempo, siano esse recenti o passate.

Come funziona la memoria a breve termine?

La memoria a breve termine funziona come una sorta di “blocco per appunti” e per questo è stata definita “il post-it del cervello”. Ad esempio, mentre state leggendo questa frase, più andate avanti e più mettete le parole che avete letto nella memoria a breve termine, cosicché alla fine della frase voi possiate cogliere un senso compiuto.

Altro esempio: mantenere un’informazione in memoria per completare un compito, ad esempio mentre si sta facendo un’operazione matematica o una traduzione simultanea.

Quante informazioni contiene la memoria a breve termine?

Contiene solo una piccola quantità di informazioni (in genere circa 7 elementi o anche meno) che sono disponibili per un breve periodo di tempo (in genere da 10 a 15 secondi, fino a un minuto).

Cosa succede ai contenuti conservati nella memoria a breve termine?

Le informazioni contenute nella memoria a breve termine scompaiono rapidamente e per sempre, a meno che non si faccia uno sforzo consapevole per conservarle nella memoria a lungo termine. Quando qualcosa nella memoria a breve termine viene dimenticato, significa che un impulso nervoso ha semplicemente cessato di essere trasmesso attraverso una particolare rete neurale. In generale, a meno che un impulso non venga riattivato, questo smette di fluire in pochi secondi.

In genere, i nuovi contenuti eliminano gradualmente i contenuti più vecchi, a meno che essi non vengano attivamente protetti dalle interferenze mediante ripetizioni o interesse specifico su di essi.

Dr. Walter La Gatta

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Come si fa a trasferire le informazioni dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine?

Il trasferimento di informazioni dalla memoria a breve termine alla memoria di lungo termine avviene tramite la ripetizione mentale delle informazioni o, ancor più efficacemente, attribuendo loro un significato (per cui vale la pena ricordarle), oppure associandole ad altre conoscenze acquisite in precedenza.

Per conservare contenuti nella memoria di lungo termine deve esserci motivazione: se non c’è interesse a ricordare qualcosa (ad esempio un numero di telefono di una persona a cui non si dovrà più telefonare in futuro) questi contenuti vengono dimenticati.


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Quale parte del cervello si occupa della memoria?

L’ippocampo è la struttura indispensabile che si occupa della fissazione della traccia di memoria. L’ippocampo non è la sede dell’immagazzinamento, ma è un elemento essenziale per la codifica delle informazioni che lo raggiungono dalla corteccia associativa cerebrale. Anche l’amigdala (lobo temporale) riveste un ruolo importante nel modellamento e nella conservazione della memoria, dato che è l’organo deputato a definire le percezioni sul versante emozionale ed affettivo.

Come funziona il processo di memorizzazione?

Il processo di memorizzazione modifica le connessioni presenti nella rete neuronale, grazie all’attivazione di un segnale; nei neuroni postsinaptici si attivano geni e proteine; queste ultime si muovono verso le connessioni presenti tra due neuroni, allo scopo di rinforzare o di costruire le sinapsi (i punti di contatto e di comunicazione neuronale). Ogni informazione viene memorizzata grazie alla formazione di una specifica rete neuronale, prima nell’ippocampo e poi nella corteccia, dove viene definitivamente conservata.

La memoria a breve termine equivale a quella di lavoro?

No, sono due concetti diversi. La memoria di lavoro si riferisce ai processi utilizzati per archiviare, organizzare e gestire temporaneamente le informazioni. La memoria a breve termine invece si riferisce solo alla memorizzazione temporanea di informazioni.

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Ci sono differenze di tipo etnico o culturale?

Si, nel senso che la memoria a breve termine sembra funzionare fonologicamente. Ad esempio, mentre i madrelingua inglesi in genere possono ricordare sette cifre nella memoria a breve termine, i madrelingua cinesi in genere possono ricordarne dieci.
Questo perché i numeri nella lingua cinese sono composti da sillabe singole, mentre in inglese (e in italiano) non è così.

Relazione sulla Terapia di Coppia dopo un Tradimento - Festival della Coppia 2023

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C’è differenza per quanto riguarda la qualità o le caratteristiche dei contenuti conservati nella memoria a breve termine?

Si, ad esempio, è possibile ricordare più parole se sono brevi, o usate di frequente, o sono fonologicamente simili nel suono, o appartengono alla stessa categoria semantica (come lo sport, la musica, ecc.) piuttosto che a categorie diverse.

Quanto contano le interferenze esterne sulla memoria a breve termine?

Qualsiasi interferenza esterna tende a causare disturbi nella conservazione della memoria a breve termine, e per questo motivo le persone spesso sentono un chiaro desiderio di completare i compiti tenuti nella memoria a breve termine il più presto possibile.

Il tono della voce influenza la memoria a breve termine?

Si. La capacità e la durata della memoria a breve termine aumenta se le parole o le cifre sono articolate ad alta voce invece di essere espresse solo nel pensiero.

Come mai ci sono questi due tipi di memoria?

Si pensa che questo abbia favorito la sopravvivenza dell’essere umano nel prestare attenzione a un numero relativamente piccolo di cose importanti e non a troppi dettagli di minore importanza che avrebbero potuto interferire negativamente con un rapido processo decisionale.

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

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Come migliorare la memoria a breve termine?

  • memorizzare i termini utilizzando strategie di ripetizione, come ad esempio ripetere ad alta voce le informazioni che si vogliono ricordare, o ripeterle mentalmente per un tempo abbastanza lungo.
  • associare i nuovi dati a emozioni, ricordi, cose significative per la propria vita: infatti si tende a ricordare solo quello che si ritiene utile e a dimenticare quello che non serve. Partecipare emotivamente a quelle informazioni dunque e associarle a ricordi significativi può essere una buona strategia di memorizzazione.
  • aggregare le informazioni in piccoli gruppi, il che rende più facile ricordare più elementi per un breve periodo. Ad esempio, un lungo numero di telefono, ricordato in blocchi di due o tre cifre.
  • facendo attività fisica: alcuni studi hanno dimostrato che fare esercizio fisico migliora le capacità mnemoniche.

Dr. Walter La Gatta

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Sulla memoria puoi trovare su Psicolinea:
La memoria secondo Sant’Agostino
Memoria a breve termine: come migliorarla
Memoria e Mnemonisti
Le basi psicologiche della memoria

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Abuso e violenza

Abuso e violenza: definizioni e differenze

Abuso e violenza: definizioni e differenze

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Abuso e violenza sono termini spesso utilizzati in modo intercambiabile, ma che hanno significati distinti e specifici. Entrambi descrivono comportamenti che ledono l’integrità fisica, psicologica, emotiva o sociale di una persona. Comprenderne le differenze è fondamentale per intervenire in modo efficace e prevenire situazioni di rischio.

Cosa si intende per “abuso”?

Il termine abuso deriva dal latino abusus, che significa “uso scorretto, eccessivo, smodato, illegittimo di una cosa o di un’autorità”. In ambito psicologico e sociale, si riferisce a una forma di sfruttamento o maltrattamento che può avvenire in diversi contesti (famiglia, lavoro, relazioni affettive). L’abuso implica una relazione di potere squilibrata, in cui una persona utilizza il proprio ruolo o autorità per danneggiare un’altra.

Quali sono le principali forme di abuso?

Le principali forme di abuso sono le seguenti:

  • Abuso fisico: utilizzo della forza per infliggere dolore o lesioni (percosse, privazione di cure).
  • Abuso psicologico: comportamenti che danneggiano l’autostima o il benessere emotivo (insulti, manipolazione, isolamento).
  • Abuso sessuale: qualsiasi atto a carattere sessuale imposto senza consenso, spesso accompagnato da coercizione o minaccia.
  • Abuso economico: il controllo delle risorse finanziarie per limitare l’autonomia di una persona.
  • Abuso istituzionale: maltrattamenti o negligenza da parte di istituzioni (scuole, ospedali, carceri).

Una intervista sull'anorgasmia femminile

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Cosa si intende per “violenza”?

La violenza, dal latino violentia (forza brutale), è un’azione intenzionale che utilizza forza fisica, verbale o psicologica per imporre il proprio volere, causando danni o sofferenza a un’altra persona. È un atto spesso immediato e riconoscibile, caratterizzato dalla presenza di aggressività manifesta.

Quali sono le principali forme di violenza?

Le forme di violenza sono le seguenti:

  • Violenza fisica: colpi, ferite, spintoni o qualsiasi forma di aggressione corporale.
  • Violenza sessuale: qualsiasi atto sessuale forzato, incluso lo stupro.
  • Violenza verbale: insulti, minacce o linguaggio offensivo volto a intimorire o degradare.
  • Violenza psicologica: comportamenti che minano il benessere mentale della vittima.
  • Violenza sociale: isolamento, discriminazione o esclusione forzata.

Qualche esempio:

– Esempi di Violenza verbale

. “Come puoi essere così stupido”?
. “Mi vergogno di essere tua madre”.
. “Non fai mai niente di buono.
. Se lo farai di nuovo, ti farò pentire di essere nato.

– Esempi di Violenza fisica

. Schiaffi
. Punzonature
. Spinte
. Comportamento sessuale indesiderato

– Esempio di Violenza psicologica

. Gaslighting – forma di manipolazione psicologica in cui una persona induce un’altra a dubitare della propria percezione, memoria o sanità mentale. Il gaslighter cerca così di ottenere potere e controllo, facendo sì che la vittima dipenda da lui per interpretare la realtà.

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Quali sono le differenze fra abuso e violenza?

L’abuso mostra una relazione malsana tra due persone, con una dinamica di potere dell’uno sull’altro, reale o percepita. La definizione di abuso è necessariamente vaga, in quanto l’abuso si manifesta in molti modi diversi e la violenza è uno di questi.

La violenza generalmente si riferisce all’atto di danneggiare un’altra persona, fisicamente o psicologicamente. 

Più nello specifico, per differenziare i due termini occorre tenere conto di vari aspetti, fra cui:

Durata e contesto

  • L’abuso è spesso un comportamento continuativo e reiterato nel tempo, che avviene in un contesto relazionale di potere o fiducia (ad esempio, tra genitore e figlio o partner).
  • La violenza può essere un episodio isolato o parte di una sequenza, ma è più evidente e riconoscibile.

Modalità di azione

  • L’abuso si manifesta attraverso strategie sottili o implicite, come manipolazione, controllo o negligenza.
  • La violenza, al contrario, è esplicita, caratterizzata da un uso diretto della forza fisica o verbale.

Obiettivo

  • Nell’abuso, l’obiettivo è il mantenimento del controllo o del potere sulla vittima.
  • Nella violenza, il fine è spesso l’imposizione immediata della propria volontà o la punizione della vittima.

Percezione della vittima

  • L’abuso può essere difficile da riconoscere, soprattutto nelle forme psicologiche o emotive, e può generare un legame traumatico (ad esempio, la sindrome da dipendenza affettiva).
  • La violenza, essendo più visibile e traumatica, viene generalmente percepita in modo chiaro dalla vittima.

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Quali sono le somiglianze fra “abuso” e “violenza”?

Abuso e violenza non sono termini mutuamente esclusivi: l’abuso può includere episodi di violenza e la violenza può verificarsi all’interno di una dinamica di abuso. Ad esempio, un partner abusante può alternare comportamenti di controllo psicologico a episodi di violenza fisica.

Perché è importante avere consapevolezza su questi argomenti?

Conoscere la distinzione tra abuso e violenza aiuta a identificare i segnali di allarme, a intervenire tempestivamente e a offrire sostegno alle vittime. Entrambi i fenomeni possono, infatti, avere conseguenze devastanti sul piano fisico, psicologico e sociale, e richiedono l’intervento di professionisti competenti.

Abusi e violenza sono diffusi anche in famiglia?

Si. La famiglia è purtroppo il luogo dove si consumano il maggior numero di violenze sui minori, e gli aggressori sono spesso identificati negli stessi genitori, fratelli, nonni o parenti più stretti.

La famiglia può essere dunque un luogo di sopraffazione e di abuso nei confronti delle persone più deboli. In passato questo problema era molto meno sentito, in quanto i minori non venivano tutelati e certi abusi, di tipo sessuale o di rigidità nell’educazione, erano più o meno considerati ‘normali’ ( vedi per esempio gli infanticidi, i fratricidi, l’incesto, il delitto d’onore ecc.).

Oggi si parla ad esempio di abusi anche per situazioni che, a prima vista, sembrerebbero del tutto innocue: ad esempio, tutto ciò che impedisce al minore qualunque sviluppo o realizzazione del proprio potenziale evolutivo è una forma di abuso.


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Perché gli abusi sui minori sono così frequenti?

Sono frequenti anzitutto per una differenza nella forza fisica fra adulto e bambino o ragazzo, ma anche per il potere psicologico che può avere un adulto nei confronti del minore, soprattutto se genitore. Anche l’incapacità del genitore di tutelare i propri figli nella salute, nella sicurezza, nell’amore e nell’affetto, è un’altra forma di abuso nei confronti del minore.

Quali sono le cause principali di abusi e violenze?

La causa principale di queste situazioni al limite è stata spesso individuata nel disagio sociale ed economico delle famiglie appartenenti ai più bassi livelli sociali, ma purtroppo possiamo dire che la violenza e l’abuso domestico è un fenomeno trasversale ed interclassista, in quanto interessa tutti gli strati sociali.

Abusi e violenze possono essere commesse anche dai minori?

Si, la violenza minorile è in continua crescita, messa in atto da bande di adolescenti, che individuano fra i loro coetanei un soggetto debole e lo minacciano, attuando nei suoi confronti tutti i tipi di violenza e di sopraffazione (in questo caso l’abuso viene definito bullismo).

Dr. Giuliana Proietti

Relazione sull'Innamoramento - Festival della Coppia 2023

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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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La lettera di gratitudine nella psicoterapia

La lettera di gratitudine nella psicoterapia

La lettera di gratitudine nella psicoterapia

Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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La gratitudine è una delle emozioni più profonde e trasformative che l’essere umano può provare. In psicoterapia, scrivere una lettera di gratitudine rappresenta un esercizio terapeutico con numerosi benefici per il benessere psicologico. Questo strumento, spesso utilizzato in approcci come la psicologia positiva, favorisce una connessione autentica con le proprie emozioni e con gli altri, contribuendo a migliorare l’autostima, i rapporti interpersonali e il senso di soddisfazione nella vita.

Cosa è la lettera di gratitudine?

La lettera di gratitudine è una tecnica di psicologia positiva in cui un partecipante esprime gratitudine per le cose che apprezza della propria vita. Si tratta di un messaggio rivolto a una persona che ha avuto un impatto positivo nella propria vita: può trattarsi di un familiare, un amico, un insegnante o persino un estraneo che ha compiuto un gesto significativo. L’obiettivo principale è esprimere riconoscenza per ciò che questa persona ha fatto, evidenziando come il suo contributo abbia migliorato la propria esistenza.

A cosa serve la lettera di gratitudine?

Diversi studi hanno dimostrato che scrivere una lettera di gratitudine alle persone per cui si prova questo sentimento può migliorare lo stato di benessere e di felicità. La gratitudine, infatti, aiuta a regolare le emozioni negative, riducendo ansia e tensione, promuove sentimenti di felicità e appagamento, contrastando il rischio di depressione, favorisce la costruzione e il mantenimento di relazioni significative e permette di riconoscere e valorizzare i momenti positivi, aumentando la consapevolezza di sé.

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Come si scrive una lettera di gratitudine?

L’importante è scrivere ad una persona che le si è grati, non ci sono istruzioni particolari su come scrivere la lettera. Nello scrivere, occorre concentrare la propria attenzione sui motivi della gratitudine, su tutte le cose buone che si ricevono nella vita e sui motivi per cui l’azione o il gesto di una determinata persona ci hanno reso felici. Quando possibile, leggere la lettera al destinatario amplifica l’effetto terapeutico, sia per chi scrive sia per chi riceve.

In ambito terapeutico scrivere una lettera di gratitudine a cosa può servire?

In ambito terapeutico, questo esercizio è particolarmente utile per:

  • Elaborare emozioni non espresse: Scrivere consente di mettere nero su bianco sentimenti che spesso rimangono inespressi, favorendo una maggiore comprensione di sé.
  • Ristrutturare il pensiero negativo: La gratitudine aiuta a spostare l’attenzione da ciò che manca a ciò che si possiede, riducendo il rimuginio.
  • Lavorare sulle relazioni: Può essere utilizzata per rafforzare rapporti esistenti o per chiudere in modo positivo situazioni irrisolte.

Pur essendo un esercizio apparentemente semplice, la lettera di gratitudine può scatenare emozioni profonde, come commozione, nostalgia o persino dolore legato a rapporti complessi. La guida di un/a terapeuta è fondamentale per aiutare la persona a esplorare e integrare queste emozioni in modo costruttivo.

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