
Giacomo Leopardi e la strana amicizia con Antonio Ranieri
Giacomo Leopardi (1798–1837) è una delle figure più importanti della letteratura italiana dell’Ottocento, noto per la profondità del suo pensiero, il pessimismo filosofico e la raffinatezza della sua poesia. Tra i rapporti umani più significativi della sua vita, spicca l’amicizia con Antonio Ranieri (1806–1888), scrittore e patriota napoletano, che fu al suo fianco negli ultimi anni, contribuendo non solo alla sua quotidianità ma anche alla conservazione della sua memoria.
Quale è stata l’alchimia che ha legato per tanti anni questi personaggi, così distanti fra loro? Cosa avevano in comune i protagonisti di questa strana coppia, Ranieri e Leopardi? Cosa li spingeva a giurarsi reciprocamente un grande affetto, la promessa di vivere per sempre insieme, senza lasciarsi mai? Cerchiamo di fare luce su questo argomento, ancora piuttosto misterioso.
Il libro: “Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi”
Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi” (1830-1837) è un libretto che Antonio Ranieri scrisse a 74 anni, nel 1880, prossimo senatore del neonato Regno d’Italia, otto anni prima di morire, quarantuno anni dopo la morte dell’amico. Il libro non piacque ai cultori del poeta di Recanati.
Leggiamo ad esempio nell’enciclopedia Treccani che i meriti che Ranieri ebbe nei confronti di Leopardi sono stati “offuscati” da questo libro in cui Ranieri “volle apparire piuttosto il mecenate che, come invece era in effetti, il compagno di vita di Leopardi: né mancano recriminazioni ingiuste e meschine”.
Sin dalle prime pagine Ranieri chiarisce di aver scritto questo libro per il bisogno che sentiva di evitare “notabili inesattezze” e raccontare alcune verità sulla sua amicizia con Leopardi (ma “non tutte”, spiegando che ben altre cose di sua conoscenza non verranno mai rivelate, al di là delle insinuazioni che si possano fare al riguardo).
Nel libro viene raccontato l’inizio del sodalizio: siamo a Firenze e un Leopardi depresso e piangente confida all’amico, alla luce di una fioca lampada, che il suo timore più grande è quello di dover tornare nell’odiata Recanati, il che per lui è molto simile alla morte.
Colpito dalle parole dell’amico, Ranieri risponde: “Leopardi, tu non andrai a Recanati!” . Quel che può bastare per mantenere una persona, pensò l’esule napoletano, basterà per mantenere entrambi: sulla base di queste riflessioni promise all’amico Giacomo che non si sarebbe mai più allontanato da lui, decisione mai rinnegata ma che fu causa per lui e in seguito anche per la sorella Paolina, di “immedicabili e incomprensibili dolori”.
Il sodalizio con Leopardi portò il Ranieri a vivere, come lui dice, una “vita nuova”, fatta di nottate all’amico sofferente, consultazioni con i medici, spostamenti di casa in casa e di città in città, allo scopo di creare le migliori condizioni per l’amico malato, in modo che potesse ritrovare un minimo di salute e benessere.
Malgrado tutti questi sforzi, dice il Ranieri, il malato, “come era sua natura, cominciava a presumere un po’ troppo del fatto suo”. In conseguenza di ciò, si legge ancora nel libro, avvenne che;
“egli si spingesse a vani e inavvertiti soliloquii d’amore che, non senza mio grande rammarico, oltrepassavano di gran lunga i confini imposti alla dignità di un tanto uomo. Per congiunture, ch’è assai bello il tacere, io me ne trovavo spesso, e con grande mia angoscia, tra i più scabrosi anfratti”.
In un altro passaggio, Ranieri racconta un episodio, che evidentemente riteneva significativo: un giorno aveva chiesto ad un parrucchiere che gestiva un salone in Via Condotti di recarsi presso il suo domicilio, allo scopo di tagliargli i capelli.
In salotto, mentre svolgeva il suo lavoro, il parrucchiere si fece ciarliero e cominciò a porre al suo cliente molte domande maliziose sulla relazione che il cliente aveva con Giacomo Leopardi. Precisamente domandò: “Com’è ch’ella ha con sé il figliuolo del conte Monaldo”?
Ranieri rimase stupito della domanda tanto diretta quanto inopportuna e, dopo un attimo di imbarazzo, risposte che erano semplicemente amici e che avevano preso un appartamento (“un quartiere”) insieme: nulla più.
Per giustificare la sua curiosità, il parrucchiere raccontò, ma con un tono di voce troppo alto perché Giacomo non potesse sentire, che conosceva assai bene le cose di Recanati, gli umori del padre e del figliolo e “l’odio implacabile di costui al clima e agli abitatori di quel paese”… Aggiungendo anche altri particolari che, dice Ranieri : “o io conosceva assai meglio di lui o non mi importava né punto, né poco di conoscere”.
Dopo la “tosatura”, come la definisce Antonio Ranieri, una volta rimasti soli, Giacomo fece capolino nella stanza e ricordò all’amico ciò che aveva scritto ne Le Ricordanze: lui diventava un forsennato al solo pensiero di essere sulle bocche di quelle persone di Recanati…
Una intervista sulla violenza domestica
ANCONA FABRIANO TERNI CIVITANOVA MARCHE E ONLINE
Ma perché a Recanati si parlava tanto di lui? Certo, era una persona in vista, il figlio dei conti Leopardi, ma quali erano i particolari maliziosi che nel natio borgo selvaggio le persone si scambiavano su Giacomo, generando in lui una tale insofferenza?
Leopardi, dopo l’episodio del parrucchiere e i pettegolezzi dei recanatesi che gli erano stati riferiti, disse all’amico e convivente:
“inventai, invento ed inventerò tutte le favole, tutti i romanzi di questa terra, per salvarmi da questa orribile sciagura!”
Ranieri continua il racconto del sodalizio specificando che lui non avrebbe mai consentito che Giacomo si fosse preso la libertà di scrivere di lui le cose che aveva scritto nelle sue lettere (e che altri gli avevano riferito, perché lui a leggerle direttamente ci aveva provato tre volte, e per tre volte era stato “preso da febbre”, per cui aveva giurato a se stesso – e fatto giurare alla sorella Paolina – che mai più i loro occhi “si farebbero violare”, né i loro cuori “cincischiare” da “letture si fatte”).
Ed eccole, probabilmente, le lettere di Leopardi cui Ranieri faceva riferimento:
“Ranieri mio, tu non mi abbandonerai però mai, né ti raffredderai nell’amarmi. Io non voglio che tu ti sacrifichi per me, anzi desidero ardentemente che tu provvegga prima d’ogni cosa al tuo ben essere: ma qualunque partito tu pigli, tu disporrai le cose in modo, che noi viviamo l’uno per l’altro, o almeno io per te; sola ed ultima mia speranza. Addio, anima mia. Ti stringo al mio cuore, che in ogni evento possibile e non possibile, sarà eternamente tuo (11-12-1932)
Povero Ranieri mio! Se gli uomini ti deridono per mia cagione, mi consola almeno che certamente deridono per tua cagione anche me, che sempre a tuo riguardo mi sono mostrato e mostrerò più che bambino. Il mondo ride sempre di quelle cose che, se non ridesse, sarebbe costretto ad ammirare; e biasima sempre, come la volpe, quelle che invidia. Oh Ranieri mio! Quando ti ricupererò? Finché non avrò ottenuto questo immenso bene, starò tremando che la cosa non possa esser vera. Addio, anima mia, con tutte le forze del mio spirito. Addio infinite volte. Non ti stancare di amarmi” (05-01-1833)
“Ranieri mio, non hai bisogno ch’io ti dica che dovunque e in qualunque modo tu vorrai, io sarò teco [con te]. Considera bene e freddamente le tue proprie convenienze (…) e poi risolviti. La mia risoluzione è presa già da gran tempo: quella di non dividermi mai più da te. Addio” (05-02-1933)
“Ranieri mio. Ti troverà questa <lettera> ancora a Napoli? Ti avviso ch’io non posso più vivere senza te, che mi ha preso un’impazienza morbosa di rivederti, e che mi par certo che se tu tardi anche un poco, io morrò di malinconia prima di averti avuto. Addio addio” (02-04-1833)
Autori:
Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta
Nel 1833, quando la coppia di amici arrivò a Napoli, prese una stanza in affitto, suscitando scandalo. Come racconta Ranieri:
“io, lasciatone il mio antico letto, dormiva in una camera non mia (cosa che nelle consuetudini del paese, massime in quei tempi, toccava quasi lo scandalo), per dormire accanto a lui”.
Anche la padrona di casa aveva dei sospetti, sia sullo stato di salute di Leopardi, sia sulla relazione fra i due, dal momento che non era usuale che due uomini dormissero insieme, per cui desiderava essere “sciolta dall’affitto”.
Leopardi, racconta ancora Ranieri, era “gelosissimo de’ suoi segreti”, e sia lui, sia sua sorella Paolina, che in un secondo tempo andò a vivere con loro, si astennero sempre dal chiedere di più.
C’erano ad esempio delle visite che riceveva Leopardi e su cui il suo coinquilino dice e non dice: “quando qualche innominato sopravveniva” lui si limitava ad uscire dalla stanza.
Ma perché? Chi erano questi “innominati” che Giacomo frequentava e perché Ranieri per discrezione lasciava la stanza?
In conclusione, qualche piccolo dubbio sull’orientamento sessuale del poeta di Recanati sicuramente c’è e se ne è già parlato in alcuni libri su Leopardi così come in alcuni siti disponibili in rete ma è difficile sapere le cose con certezza, e questo rimarrà un mistero.
Il mistero della morte e della sepoltura
I misteri relativi a Leopardi e a questa strana amicizia con Ranieri però non finiscono qui: c’è ancora da parlare del mistero e della sepoltura del poeta recanatese.
Il 14 giugno 1837 Giacomo Leopardi fu colto da un malore improvviso mentre stava per partire in carrozza per Villa Carafa. Non arrivò mai a destinazione. Secondo Ranieri, quel giorno il poeta aveva consumato un pasto abbondante: confetti, minestra calda e una granita. Da qui l’ipotesi che il malore fosse dovuto a una congestione, aggravata dai suoi cronici problemi respiratori e cardiaci.
Ranieri descrisse Leopardi morente tra le sue braccia, sorridente, con le ultime parole: “Addio, Totonno, non veggo più luce.”
Alcuni studiosi ritengono che Leopardi non sia morto a Napoli ma a Castellammare di Stabia, durante le cure termali. Ranieri lo avrebbe riportato a Napoli per evitare una sepoltura anonima dovuta all’epidemia di colera e, dopo uno scontro col medico, avrebbe ottenuto un certificato di morte per idropisia, il che gli avrebbe permesso di non essere sepolto in una fossa comune, ma in una tomba a lui dedicata.
Il mistero più fitto resta però quello della sepoltura. Ranieri organizzò un funerale lo seppellì in una tomba nell’atrio della chiesa di San Vitale, sulla via di Pozzuoli presso Fuorigrotta. Venne apposta una targa scritta da Pietro Giordani:
Al conte Giacomo Leopardi recanatese filologo ammirato fuori d’Italia scrittore di filosofia e di poesie altissimo da paragonare solamente coi greci che finì di XXXIX anni la vita per continue malattie miserissima fece Antonio Ranieri per sette anni fino all’estrema ora congiunto all’amico adorato.
Nel 1939 la sua tomba fu spostata al Parco Vergiliano a Piedigrotta nel quartiere Mergellina e fu dichiarata monumento nazionale.
Si sapeva già, da una ricognizione ufficiale del 1900, che nella bara vi erano solo pochi resti e mancava il teschio. Si parlò di una sepoltura fittizia e di un corpo sepolto altrove, forse nella fossa comune delle Fontanelle.
Il mistero della sepoltura di Giacomo Leopardi è ancora irrisolto: nessuno sa dove si trovino le sue ossa.
L’eredità di Giacomo Leopardi
I dissapori per l’eredità tra la famiglia Leopardi e Antonio Ranieri si protrassero sino alla morte di quest’ultimo. Giacomo infatti, colto da morte improvvisa, non lasciò alcun testamento e Ranieri si appropriò di molti suoi scritti, tra cui lo Zibaldone, che poi vendette al migliore offerente.
Si è ipotizzato che le descrizioni sprezzanti di Giacomo che si trovano nel Sodalizio di Ranieri siano state scritte dall’autore per rancori legati alla contesa dell’eredità dell’opera di Giacomo con la famiglia Leopardi.
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.
- Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
- Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.
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