Seconda conferenza sulla Psicoanalisi – 1909

Seconda conferenza sulla Psicoanalisi – 1909

Freudiana

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Sopra: Ingresso della Clark University, nel 1909

SECONDA CONFERENZA

Sintesi

Freud si oppone alla concezione dell’isteria difesa da Charcot e dal suo discepolo Pierre Janet, ma prende anche le distanze da Breuer, perché rifiuta di praticare l’ipnosi, che definisce “un processo incerto che ha qualcosa di mistico” . Interrogando i suoi pazienti nel loro stato normale, Freud scopre che esiste una forza che “resiste” e che impedisce la reminiscenza. Questo perché gli eventi traumatici non sono stati semplicemente “dimenticati”: sono stati “rimossi”. Cos’è la rimozione? E’ un normale meccanismo che mira a proteggere la persona ponendo fine al conflitto interiore che la lacera: i desideri disturbanti vengono espulsi dalla coscienza. Cita il caso clinico di Elizabeth von R, una ragazza che si era innamorata del cognato e che si era rallegrata, suo malgrado, della morte della sorella, dopo di che si era ammalata. La malattia non nasce dalla rimozione, ma piuttosto dal suo fallimento, in quanto ” il desiderio represso continua a sussistere nell’inconscio ” e si manifesta attraverso sintomi patologici. Per essere curato, il paziente deve riuscire a superare la resistenza che impedisce alle idee inconsce di entrare nel campo della coscienza.

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La seconda delle cinque conferenze che Freud tenne in America dal 6 al 10 settembre 1909 presso la Clark University di Worcester (Boston) iniziò così:

“Signore e signori, più o meno nello stesso periodo in cui Breuer applicava la “talking cure” alla sua paziente, a Parigi il maestro Charcot iniziava, sulle isteriche della Salpêtrière, quelle ricerche che dovevano portare a una nuova comprensione della malattia. I risultati non erano ancora conosciuti a Vienna. Ma quando, circa dieci anni dopo, Breuer e io pubblicammo la nostra comunicazione preliminare sui meccanismi psichici dei fenomeni isterici, così com’erano scaturiti dal metodo catartico impiegato sulla prima paziente di Breuer, eravamo entrambi ancora affascinati dagli esperimenti di Charcot”.

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Freud spiega dunque come, insieme a Breuer, giunse ad equiparare le esperienze patogene dei pazienti, esperienze che agivano come traumi psichici, a quei traumi fisici cui Charcot attribuiva un ruolo determinante nella genesi delle paralisi isteriche; e la stessa ipotesi breueriana degli stati ipnoidi altro non era che una eco del fatto che Charcot era riuscito a riprodurre artificialmente sotto ipnosi tali paralisi traumatiche.

Ma il grande ricercatore francese, dice ancora Freud, del quale fu lui stesso allievo negli anni 1885-86, non era per natura portato alla creazione di teorie psicologiche. Fu il suo allievo P. Janet il primo che tentò di penetrare più in profondità nei meccanismi psichici dell’isteria.

“E noi seguimmo il suo esempio allorché ponemmo come cardini della nostra teoria la scissione psichica e la dissociazione della personalità”.

Ed ecco la teoria di Janet, secondo la rilettura che ne fece Freud:

“Janet ci presenta una teoria sull’isteria che si inquadra in quelle dottrine sull’eredità e sulla degenerazione, dominanti in Francia. Secondo la sua ipotesi, l’isteria è una forma di alterazione degenerativa del sistema nervoso che si manifesta sotto l’aspetto di una “debolezza” congenita delle funzioni psichiche di sintesi. L’isterico è costituzionalmente incapace di stabilire una correlazione e un’unificazione delle diverse manifestazioni psichiche: ne consegue una tendenza alla dissociazione psichica. Se mi concedete di farvi un esempio chiaro anche se banale, l’isterica di Janet mi fa venire in mente una donna deboluccia che, dopo aver fatto la spesa, se ne torna a casa carica di pacchi e pacchettini di ogni tipo. Non riuscendo a trattenere con le due braccia e le dieci dita tutto quel mucchio di fagotti, ecco che ne fa cadere uno. Si china allora per raccoglierlo, ma un altro gli sfugge e così via”.

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Ma questa presunta debolezza psichica degli isterici si accordava male, secondo Freud, con il fatto che, in questi pazienti, oltre al fenomeno della riduzione del rendimento, si potevano osservare, a mo’ di compensazione, esempi di un incremento parziale di alcune capacità. Così, quando la paziente di Breuer aveva dimenticato la sua lingua madre e tutte le altre che conosceva, tranne l’inglese, la padronanza di questa lingua raggiunse un grado tale che se le si presentava un libro in tedesco, lei ne poteva dare una traduzione scorrevole e perfetta a prima vista.

Quando, in seguito, Freud si accinse a proseguire per conto suo le ricerche iniziate da Breuer, ben presto approdò a un’altra teoria sull’origine della dissociazione isterica (o scissione della coscienza).

Considerato le accuse di plagio che vennero rivolte a Freud nei confronti di Janet, è utile conoscere il suo punto di vista in merito, che espresse a questo punto della seconda conferenza:

“Era inevitabile che le mie teorie dovessero divergere ampiamente e in modo radicale, poiché, a differenza di Janet, io non partivo da ricerche di laboratorio bensì da tentativi di terapia. Ma soprattutto io ero spinto da necessità di ordine pratico”.

Il metodo catartico, così come lo applicava Breuer, supponeva che il paziente fosse messo in ipnosi profonda, dato che solo in ipnosi si potevano scoprire le sue associazioni patogene, di cui egli in condizioni normali non era cosciente. Ora, ben presto presi in antipatia l’ipnosi, che consideravo un sussidio immaginoso e, direi quasi, un po’ mistico; e quando mi resi conto che, malgrado tutti miei sforzi, non riuscivo a ipnotizzare in alcun modo nessuno dei miei pazienti, indirizzai tutti i miei sforzi a lavorare con loro in stato normale, anche se ciò poteva sembrare a prima vista un’impresa insensata e inutile.
Il problema era: scoprire nel paziente qualcosa che né il medico né lui stesso conoscevano.

Come si poteva sperare che un metodo simile funzionasse? A questo punto, ricordò Freud, gli venne in aiuto il ricordo di un interessante e istruttivo procedimento che aveva osservato nella clinica di Bernheim a Nancy. Bernheim aveva dimostrato che individui messi in uno stato di sonnambulismo ipnotico e sottoposti a ogni genere di esperimento, avevano solo apparentemente perduto il ricordo di questi esperimenti sonnambulici, tant’è vero che il loro ricordo poteva essere risvegliato perfino in stato di normalità. Quando egli li interrogava sulle esperienze provate nello stato sonnambulico, lì per lì i soggetti dicevano di non ricordare nulla, ma se Bernheim insisteva, incalzava, affermava che essi invece “sapevano”, ecco che i ricordi dimenticati riaffioravano immancabilmente.

Ebbene, con i suoi pazienti Freud adoperò questo sistema.

Una Conferenza sulla Paura

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Quando, nel corso del trattamento, i pazienti dichiaravano di non sapere più nulla, Freud insisteva, incalzava, affermava che invece essi sapevano, che dovevano solo tirarlo fuori e, continuò Freud,

arrischiavo perfino di affermare che il ricordo che sarebbe emerso, nel momento in cui posavo la mano sulla fronte del paziente, era proprio quello che cercavamo”.

Senza ricorrere all’ipnosi dunque, Freud affermò, in questa conferenza, di essere riuscito a sapere dal paziente tutto quanto occorreva per la creazione dei legami associativi tra le scene patogene dimenticate e i sintomi che ne erano residuati.

Il procedimento utilizzato, per sua stessa ammissione, era “complicato e alla lunga estenuante“, e per di più non si prestava a una tecnica precisa.

Una volta assodato che i ricordi dimenticati non erano affatto perduti, ma rimanevano patrimonio del paziente, Freud li immaginò come sempre pronti a riemergere e a formare associazioni con altri contenuti psichici, se non vi fosse stata una forza indeterminata che impediva loro di diventare consci, per cui erano costretti a rimanere nell’inconscio.

Come gli era venuta in mente questa forza che si opponeva al riemergere dei ricordi? Freud lo spiegò con queste parole:

“Che tale forza esistesse, si poteva arguire sicuramente, poiché quando si cercava di riportare i ricordi inconsci nella coscienza del paziente, opponendosi in tal modo a detta forza, si aveva la sensazione che il soggetto doveva fare un notevole sforzo per cercare di superarla. Si poteva avere un’idea di questa forza, responsabile del mantenimento della situazione patologica, dalla resistenza del paziente. Ora, è su questo concetto di RESISTENZA che io ho basato la mia teoria dei processi psichici nell’isteria”.

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Per guarire il paziente era necessario superare questa forza. Le forze che si opponevano, sotto forma di resistenze, al riemergere nella coscienza delle idee dimenticate, erano le stesse che avevano provocato l’oblio, rimuovendo dalla coscienza le esperienze patogene. Questo ipotetico meccanismo fu denominato “rimozione“, fondato sulla “esistenza innegabile” della resistenza.

Quando un desiderio si trovava in netto contrasto con tutti gli altri desideri dell’individuo, e si dimostrava incompatibile con le esigenze etiche, estetiche e soggettive della personalità del paziente, c’era, per Freud un breve conflitto interiore, la cui conclusione era appunto la rimozione dell’idea che si presentava alla coscienza come vettrice del desiderio incompatibile. Una volta avvenuta la rimozione dalla coscienza, si stabiliva l’oblio.

L’incompatibilità della rappresentazione ideativa con l’Io del paziente costituiva dunque il motivo della rimozione; le componenti etiche e le altre esigenze dell’individuo erano le forze rimoventi. La presenza del desiderio inaccettabile, o la durata stessa del conflitto, avrebbero dunque indotto uno stato di intensa sofferenza psichica; tale sofferenza era appunto evitata dalla rimozione. In tal caso, un simile processo viene evidentemente a costituirsi come un meccanismo di difesa della personalità.

E qui Freud parlò del caso clinico di Fräulein Elisabeth von R.” , lo pseudonimo che di Ilona Weiss, una ragazza di origine ungherese: questo caso era stato descritto anche negli Studi sull’isteria (1895). Freud aveva trattato questa paziente dall’autunno 1892 al Luglio 1893.

Si trattava di una ragazza, profondamente attaccata al padre, morto poco tempo prima e che lei aveva assistito (situazione analoga a quella della paziente di Breuer). Dopo il matrimonio della sorella maggiore, cominciò a provare una particolare simpatia per il cognato, simpatia che veniva interpretata come normale affettuosità familiare. Ora, mentre la paziente e la madre erano assenti, la sorella, improvvisamente si ammalò e morì. Le due donne vennero urgentemente richiamate, senza che però venisse rivelata completamente la dolorosa circostanza. Mentre la ragazza si trovava accanto al letto della sorella morta, per un attimo le balenò in mente un’idea, che potrebbe essere così espressa a parole: “Ora è libero e mi può sposare”. Possiamo senz’altro pensare che questa idea, proprio perché svelava alla sua coscienza il grande amore per il cognato, amore che non era mai stato coscientemente avvertito, fu immediatamente consegnata alla rimozione dalla rivolta dei suoi sentimenti. La ragazza si ammalò con gravi sintomi di isterismo e, quando mi accinsi a trattarla, sembrava che avesse completamente dimenticato la scena al capezzale della sorella e il desiderio egoistico e innaturale che era insorto. Nel corso della terapia ricordò tutto, riproducendo il momento patogeno con tutte le manifestazioni di un’intensa emozione, e così il trattamento la guarì”.

Con un pezzo di singolare bravura retorica, per destare l’attenzione del suo uditorio, a questo punto Freud continuò così:

Ma credo di potervi dare un’idea più concreta del meccanismo di rimozione e dei suoi inevitabili rapporti con la resistenza del paziente, ricorrendo a un esempio più spicciolo, tratto dalla situazione in cui appunto ci troviamo. Supponete che qui, in questa sala e in questo uditorio, per la cui esemplare attenzione e compostezza la lode non sarà mai adeguata, vi sia un individuo che arrechi disturbo e, ridendo maleducatamente, vociando, strisciando i piedi, distragga l’attenzione dal mio compito. Io vi comunico che, in queste condizioni, non posso procedere con la conferenza e allora, fra voi, si alzano parecchie persone robuste e, dopo una breve colluttazione, espellono dalla sala il perturbatore della quiete. Costui è ora “rimosso” e io posso riprendere la conferenza. Ma, affinché il disturbo non si ripeta, nel caso cioè che l’individuo appena espulso cercasse di rientrare a forza nella sala, i signori che hanno raccolto il mio invito, mettono le loro sedie contro la porta e lì si piazzano come una “resistenza” che mantenga la rimozione. Ora, se trasferite alla psiche i due ambienti, chiamando l’interno di questa stanza “conscio” e l’esterno “inconscio”, avrete un esempio abbastanza eloquente del meccanismo di rimozione”.

 

Dopo una ulteriore precisazione sulla differenza fra le sue teorie della scissione psichica da quelle di Janet ( “Noi non facciamo derivare la scissione psichica da una mancanza congenita dell’apparato psichico a operare la sintesi delle esperienze, ma la spieghiamo dinamicamente con un conflitto di forze psichiche opposte, e vi ravvisiamo il risultato di una lotta attiva tra ogni complesso psichico“), Freud ammette che con

l’ipotesi della “rimozione” noi ci situiamo non alla fine ma addirittura all’inizio di una teoria psicologica. Ma possiamo procedere solo facendo un passo alla volta; esaurire le nostre conoscenze richiede ulteriore e più completo lavoro”.

Tornando alla rimozione, presentata con l’esempio dell’espulsione del disturbatore e con l’installazione dei sorveglianti alla porta, Freud avverte che l’espulso, furioso e incurante delle conseguenze, potrebbe ancora dare filo da torcere. Essersi liberati della sua presenza e dei suoi comportamenti scorretti non significa essersene liberati del tutto:

quello fuori fa un baccano d’inferno, anzi con le sue urla e il suo tempestare di pugni la porta, disturba più di prima la mia conferenza. In questo frangente sarebbe accolto entusiasticamente l’eventuale intervento del nostro onorevole rettore, Stanley Hall, nelle vesti di paciere e di mediatore. Egli parlamenterebbe fuori con quell’agitato e quindi si rivolgerebbe a noi pregando di riammetterlo dietro sua promessa di comportarsi più decorosamente. Data l’autorità del dottor Hall, decidiamo di interrompere la rimozione ed ecco di nuovo la pace e la tranquillità. Ci sembra di aver dato così una discreta illustrazione del compito che spetta al medico nella terapia psicoanalitica delle nevrosi”.

Più esplicitamente:

lavorando con pazienti isterici e altri nevrotici, siamo arrivati alla conclusione che essi non sono riusciti a rimuovere completamente l’idea cui è legato il desiderio incompatibile. E’ vero che essi l’hanno estromessa dalla coscienza e dalla memoria, risparmiandosi, apparentemente, una bella dose di sofferenza psichica, MA NELL’INCONSCIO IL DESIDERIO RIMOSSO CONTINUA A ESISTERE, aspettando solo un’occasione per riattivarsi, e alla fine riesce a inviare alla coscienza, invece dell’idea rimossa, una formazione sostitutiva, deformata e irriconoscibile, a cui si legano quelle stesse sensazioni spiacevoli che il paziente credeva di aver liquidato per mezzo della rimozione”.

“Questo “sostituto” dell’idea rimossa – il sintomo – è al riparo da ogni ulteriore attacco da parte delle difese dell’Io e invece di un conflitto acuto si stabilisce una sofferenza durevole. Noi possiamo rintracciare nel sintomo, oltre ai segni della trasformazione, certe analogie residue con l’idea originariamente rimossa; durante il trattamento psicoanalitico del paziente è possibile scoprire il modo con cui è stata costruita la forma sostitutiva; e per la guarigione del paziente è necessario che il sintomo sia ricondotto, per la stessa strada, all’idea rimossa. Se questo materiale rimosso viene reintegrato nelle funzioni psichiche coscienti – un processo, questo, che presuppone il superamento di notevoli resistenze – il conflitto psichico che ne scaturisce, quello stesso che il paziente desiderava evitare, può essere, con la guida del medico, risolto più felicemente che non ricorrendo alla rimozione”.

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Ed ecco la terapia, che forse più di ogni altra cosa gli americani aspettavano di conoscere meglio:

“Esistono varie modalità di soluzione che pongono brillantemente fine al conflitto e alla nevrosi; in casi particolari si può tentare di applicarne parecchie contemporaneamente. A questo punto o si può convincere il paziente di aver sbagliato a rifiutare il desiderio patogeno, che viene fatto accettare, in tutto o in parte; o si dirige il desiderio stesso verso uno scopo più elevato, esente da qualsiasi censura, per mezzo della cosiddetta sublimazione; o ancora si riconosce che il rifiuto era giustamente motivato, e il meccanismo automatico – e quindi insufficiente – della rimozione viene rinforzato dalle facoltà psichiche più elevate dell’uomo; in tal caso il paziente riesce a dominare i suoi desideri col pensiero cosciente”.

Conclusione della seconda conferenza:

“E ora perdonatemi se non sono riuscito a presentarvi in modo più chiaro questi principali aspetti del trattamento oggi noto come “psicoanalisi“; il fatto è che le difficoltà non risiedono solo nella novità dell’argomento. Forniremo in seguito altri dettagli sulla natura dei desideri incompatibili, che riescono a esercitare il loro influsso dall’inconscio, nonostante la rimozione, e sul problema dei fattori soggettivi e costituzionali che intervengono nel fallimento della rimozione, per cui si vengono a creare le trasformazioni sostitutive o sintomi”.

Vai alla terza conferenza.

Freud, Cinque conferenze sulla psicoanalisi, Boringhieri

Dott.ssa Giuliana Proietti 

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