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Le donne devono lavorare il doppio degli uomini

Le donne devono lavorare il doppio degli uomini

Le donne devono lavorare il doppio degli uomini

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Nella società contemporanea, il tema della parità di genere nel mondo del lavoro rimane una questione irrisolta. Nonostante i progressi significativi fatti negli ultimi decenni, molte donne continuano a dover lavorare il doppio degli uomini per ottenere lo stesso riconoscimento e le stesse opportunità.

Ancora oggi, se vediamo la firma di una donna su uno studio o su un’opera d’arte, essa deve essere molto valida perché venga apprezzata tanto quanto quella di un uomo. E quando un uomo ed una donna lavorano insieme su uno stesso progetto, si pensa subito che l’uomo vi abbia contribuito molto più della collega donna.

Se il lavoro di una donna viene apprezzato più di quello di un uomo, si tende invece a pensare che la donna sia stata fortunata, o si sia avvalsa delle sue capacità seduttive per arrivare a quel livello.

Sentirsi sempre meno apprezzate dei colleghi uomini può produrre nelle lavoratrici problemi fisici e psichici, che possono poi ripercuotersi sulla loro vita familiare, oltre che nella loro carriera. Cerchiamo di capire meglio la situazione.

La Doppia Carriera

Uno dei principali motivi per cui le donne devono lavorare il doppio è la “doppia carriera” che molte di loro si trovano a gestire. Questo termine si riferisce alla necessità per le donne di equilibrare il lavoro remunerato con il lavoro domestico e di cura, non retribuito. Nonostante il crescente numero di donne nel mondo del lavoro, le responsabilità domestiche e di cura dei figli continuano a ricadere in gran parte sulle spalle femminili. Secondo uno studio dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), le donne dedicano in media il doppio del tempo degli uomini alle faccende domestiche e alla cura della famiglia.

Stereotipi di Genere

Le donne spesso affrontano pregiudizi e discriminazioni sul posto di lavoro, che possono manifestarsi, ad esempio, nella disparità salariale: le donne guadagnano, infatti, meno degli uomini per svolgere lo stesso lavoro.

Secondo il Global Gender Gap Report 2020 del World Economic Forum, il divario retributivo di genere globale si attesta intorno al 16%: in pratica, le donne guadagnano in media 84 centesimi per ogni dollaro guadagnato dagli uomini.

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Il soffitto di cristallo

Questo termine descrive le barriere invisibili ma reali che impediscono alle donne di raggiungere posizioni di vertice. Sono ancora poche le donne CEO rispetto agli uomini.

La Necessità di Prove Costanti

Un altro fattore che contribuisce al bisogno delle donne di lavorare il doppio è la necessità di dimostrare costantemente le proprie capacità e competenze. Le donne, soprattutto in posizioni di leadership, spesso devono superare lo scetticismo riguardo alla loro competenza e autorità. Questa necessità di prova costante può portare a un carico di lavoro maggiore e a un maggiore stress.

Le faccende domestiche

Il carico mentale, o la “gestione invisibile” delle responsabilità domestiche e familiari, rappresenta un ulteriore strato di lavoro non riconosciuto. Anche quando gli uomini partecipano alle faccende domestiche, la pianificazione e l’organizzazione di queste attività ricadono spesso sulle donne. Questo carico mentale aggiuntivo può portare a stress e burnout, richiedendo alle donne un ulteriore sforzo per mantenere un equilibrio tra lavoro e vita personale.

Per affrontare queste disuguaglianze, è necessario un impegno concertato da parte di governi, aziende e società civile: riconoscere che le donne spesso devono lavorare il doppio degli uomini per raggiungere gli stessi obiettivi è il primo passo per affrontare e superare queste disuguaglianze.

Dott.ssa Giuliana Proietti


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Dr. Giuliana Proietti

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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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mail: g.proietti@psicolinea.it

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  • 11 Giu 2024
  • Dr. Giuliana Proietti
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Il tuo lavoro ti stressa? Ecco chi sono i lavoratori più esposti

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Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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Articolo datato

Negli Stati Uniti, chi lavora nel campo dell’assistenza agli anziani, ai bambini e ai disabili è più esposto alla depressione. Lo studio mostra che la depressione colpisce il 10,8% di questa categoria professionale e il 10,3 % del personale che lavora nella ristorazione.

Le categorie meno esposte alla depressione sono quelle di architetti e ingegneri (4,3%). I dati indicano che in media il 7% dei lavoratori di età compresa fra i 18 ed i 64 anni hanno dichiarato di aver avuto una forte depressione l’anno precedente. Sebbene la percentuale dei depressi era più alta fra i disoccupati e fra i lavoratori part-time, il 52,4% dei lavoratori che hanno dichiarato di aver avuto questi episodi depressivi (della durata di oltre due settimane) nell’anno precedente, erano lavoratori full-time.

Ma la depressione costa ed in America si stima che questi depressi producono perdite di produttività pari a $ 36,6 miliardi per anno. Per migliorare la produttività dunque e diminuire questi costi, occorre cercare di fare prevenzione, il che, dice lo studio americano, serve anche per migliorare la qualità della vita delle persone e delle loro famiglie.


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Ecco la classifica dei lavoratori più depressi:

— Cure alla persona….. 10.8 %
— Cuochi e camerieri ……10.3 %
— Servizi sociali e di comunità…….9.6 %
— Operatori nel settore della salute pubblica….9.6 %
— Lavoratori nel campo artistico, design, sport e comunicazione……9.0 %
— Formazione, Addestramento, Biblioteche…..8.7 %
— Vendita e Finanziarie 6.7 %
— Settore Legale e Trasporti………..6.4 %
— Management ……….5.8 %
— Imprese agricole……..5.6 %
— Costruzioni…………4.8 %
— Manutenzione e Riparazioni…4.4 %
— Scienze sociali…4.4 %
— Ingegneri e Architetti…4.3 percent

Fonte: Reuters

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Leggi anche il significato del lavoro, quando c’è e quando non c’è

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  • 14 Ott 2007
  • Dr. Giuliana Proietti
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Quando il capo fa mobbing

Quando il capo fa mobbing

Quando il capo fa mobbing

Una intervista sulla Eiaculazione Precoce

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L’incompetenza dei capi che si impegnano in comportamenti di mobbing nella loro azienda riflette una leadership inefficace e dannosa, che mina il benessere dei dipendenti e la produttività dell’organizzazione. Questi comportamenti abusivi indicano una mancanza di capacità di gestione e di abilità relazionali e compromenttono l’ambiente di lavoro e il morale del team.

Secondo un nuovo studio è possibile dividerli fondamentalmente in due categorie: quelli “disfunzionali” e quelli “tenebrosi”. Lo studio si concentra sui capi per cercare tecniche di riduzione dello stress lavorativo.

Nel capitolo che riguarda “Lo stress, il benessere, e il lato oscuro della Leadership”, Seth Spain, della Binghamton University afferma che i capi disfunzionali non hanno in animo di fare del male ai loro sottoposti, ma che sono privi di competenze relazionali, oppure hanno altri difetti di personalità, o non conoscono bene il loro lavoro.

I capi “dark”, che traduciamo come “tenebrosi” si distinguono in quanto hanno comportamenti distruttivi, feriscono gli altri per elevare se stessi, e sono caratterizzati dalla “Dark Triade”, che comprende machiavellismo, narcisismo e psicopatia.

Naturalmente poi ci sono vari livelli in cui queste caratteristiche sono presenti in questa categoria di boss particolarmente molesti. In entrambi i casi comunque, avere un boss incapace del suo compito causa un enorme stress ai dipendenti. I dipendenti infatti normalmente vedono se stessi e il proprio lavoro attraverso la lente attraverso la quale vengono osservati dal capo.

Dr. Walter La Gatta

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Tariffe Psicoterapia

Un altro studio, condotto da Charlice Hurst, Ken Kelley e Timothy Judge del Department of Management presso il Mendoza College dell’Università di Notre Dame si è occupato invece del mobbing causato dai capi, detto anche bossing.

Secondo il Mobbing Institute, il 27 per cento dei dipendenti negli Stati Uniti hanno sperimentato il mobbing, la maggior parte delle volte a causa dei loro supervisori. Ci sono molte ragioni possibili per il comportamento di bullismo da parte dei boss, tra cui la personalità del capo, la sua vita privata, i suoi sentimenti su come viene trattato dall’organizzazione per cui lavora, e infine le prestazioni e il comportamento dei propri dipendenti.

I ricercatori francesi hanno esaminato 244 dipendenti di diverse organizzazioni per un periodo di sei mesi. Essi hanno concluso che di fronte al mobbing messo in atto dai capi, le reazioni dei dipendenti possono essere di due tipi: ritorsione e ritiro.

Sono comportamenti comprensibili, che però non necessariamente sono funzionali per far si che il comportamento del capo cambi. Ad esempio, si sono chiesti i ricercatori, cosa succederebbe se i dipendenti si impegnassero in attività che aiutano il supervisore? Purtroppo la ricerca ha mostrato che aiutare il proprio capo non sortisce alcun effetto positivo. Cosa fare allora?

Una risposta certa non c’è: l’unica soluzione efficace al momento sembra essere quella di imparare a dominare le emozioni negative, cercando di costruire relazioni positive sul luogo di lavoro con i propri colleghi, cercare di trovare gli aspetti positivi nelle varie situazioni, promuovere la crescita personale, anche attraverso il superamento delle avversità.

Dr. Walter La Gatta

Una intervista sui rapporti familiari

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Fonte:
Bad bosses come in two forms—dark or dysfunctional, Phys.org

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Dr. Walter La Gatta

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Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
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  • 20 Dic 2016
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La disoccupazione è un disturbo psicologico?

La disoccupazione è un disturbo psicologico?

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Nei giorni scorsi è stato pubblicato un nuovo studio  in una speciale edizione del British Medical Journal Medical Humanities che riguarda la  ‘psico-politica’ negli interventi del governo inglese (neoliberista) per far si che i disoccupati tornino al lavoro.

Per cominciare, la spiegazione della disoccupazione  è questa: i disoccupati sono persone che hanno prospettive o atteggiamenti sbagliati. In pratica, se sei disoccupato, sei una persona che ha problemi psicologici. Ad esempio, si parla di “mancanza di motivazione”, così come di “resistenza psicologica al lavoro”.

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Gli autori dello studio documentano l’impatto della coercizione psicologica creata da email non richieste in cui si invitano i disoccupati al “pensiero positivo”, al “cambiamento dei propri atteggiamenti”. La reazione dei disoccupati a queste missive è un senso di umiliazione, oltre che di inutilità.

I programmi governativi includono coaching, corsi di formazione, workshop motivazionali, training sessions che usano approcci psicologici per far superare le percezioni negative che possono avere i disoccupati e instillare al loro posto ottimismo, sicurezza, ambizione, motivazione e flessibilità.

La co-autrice dello studio, Lynne Friedli, ha commentato così: “L’attitudine al lavoro’ dei ‘disoccupati’ sta divenendo la base per stabilire chi ha diritto agli ammortizzatori sociali: non conta più cosa tu devi fare per cercarti un lavoro, ma ciò che devi credere e pensare”. Riciclando la disoccupazione come fosse un problema psicologico, si riesce a deviare l’attenzione dal mercato del lavoro inglese e dalle insicurezze e le ineguaglianze che esso produce.

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L’idea di collocare degli psicologi, che hanno questo mandato, nei Job Centres, appare dunque particolarmente preoccupante.

Robert Stearn, del Department of English and Humanities presso Birkbeck, Università di Londra, ha aggiunto: “I metodi tratti dalla psicologia sono stati usati per ridefinire gli scopi della ricerca attiva del lavoro”. I centri per l’impiego chiedono che le uniche emozioni che i disoccupati abbiano siano quelle utili per cercare lavoro. Nello stesso tempo, viene considerato “un cambiamento positivo dell’atteggiamento verso il lavoro” quando un disoccupato accetta di lavorare gratuitamente.

Questi interventi, si sostiene in Inghilterra, non solo fanno del male alla psicologia, ma fanno del male alle persone. Si tratta di politiche “positive” solo nell’apparenza, perché possono spingere chi non ha lavoro verso la depressione più nera, per i problemi della disoccupazione e per questi messaggi che tendono a significare che se non lavori è colpa tua: hai gli atteggiamenti sbagliati.

Per saperne di più potete ascoltare questo podcast (in inglese)

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Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
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Fonte: First research paper from Hubbub: Unemployment ‘being rebranded as a psychological disorder’, Health Canal

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La scala Kinsey
La scala Kinsey: la sessualità oltre il binarismo
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  • 29 Giu 2015
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Le pornostar: chi sono perché lo fanno

Le pornostar: chi sono perché lo fanno

Le pornostar: chi sono, perché lo fanno

Relazione sulle Coppie Non Monogamiche

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Le pornostar: chi sono, perché lo fanno? Per parlare di questo argomento dovremmo anzitutto dire che la pornografia è un affare da miliardi di dollari e che si tratta di una questione sociale intensamente dibattuta, a tutti i livelli, con diverse opinioni in merito.

Su Psicolinea leggi anche:
I giovani e la Pornografia
Le pornostar: chi sono e perché lo fanno
Storia della pornografia
Test sulla pornodipendenza
Erotismo e pornografia

Alcuni, infatti,  sostengono che la pornografia sia pericolosa per i soggetti più deboli, mentre altri ritengono che la preoccupazione riguardo alla pornografia nasconda in realtà un desiderio di censura.
Queste posizioni, inevitabilmente, si sono riflesse anche sulla ricerca scientifica, che è stata molto carente in questo tipo di studi, per varie ragioni:
  • Le persone coinvolte nel settore non sono moltissime, dato che la carriera media di un attore del porno dura solo 18 mesi (un periodo troppo breve per permettere la creazione di un campione di soggetti da seguire con una ricerca),
  • Gli attori del porno temono gli attivisti anti-pornografia e dunque preferiscono non si parli di loro, per la paura di perdere il lavoro
  • L’industria del porno ha sede a Los Angeles, luogo dove pochi ricercatori possono permettersi la permanenza,
  • Nessuno propone finanziamenti per studiare questa categoria di persone.

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Dati non accademici sulla pornografia ci vengono dal blogger  Jon Millward, il quale ha pubblicato, nel 2013, le statistiche relative alle biografie delle pornostar, analizzando 10.000 profili dall’Internet Adult Film Database.

Dai suoi dati si scopre che la pornostar-donna è:

  • Bruna (solo il 32,7% delle attrici porno ha i capelli biondi, naturali o tinti),  circa il 39 per cento di loro ha i capelli castani, il 22,5 per cento ha i capelli neri, e solo circa il 5 per cento li ha di colore rosso.
  • Ha un seno relativamente piccolo (34B, rispetto alla 36C misura più comune per la donna americana).
  • E’ in genere magra (53 kg) rispetto ai 75 kg della donna media americana
  • Il nome più comune è Nikki

Gli uomini del porno:

  • Pesano in media 76 kg (contro gli 89 kg degli uomini medi americani) e sono dunque molto in forma rispetto alla media della popolazione americana, ampiamente in sovrappeso,
  • Il nome più comune è David

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Per quanto riguarda la ricerca sugli attori del porno è stata raccolta una quantità limitata di informazioni, che riguardano le relazioni personali (Lovelace & McGrady, 1980), casi di studio (Faludi, 1999), prove aneddotiche (Campbell, 1990; Gittler, 1999 ; Strossen, 1995; Wilkenson, 1994) e studi qualitativi con campioni di piccole dimensioni (Abbott, 2000; Stoller, 1991; Stoller & Levine, 1993). L’ostacolo principale per i ricercatori è stata la possibilità di accesso a questo gruppo di individui.
Evans-DeCicco e Cowan (2001) hanno suggerito che le descrizioni degli attori porno riflettono le idee pro o contro questo genere di produzioni: (i sostenitori dicono che le attrici sono donne libere e indipendenti, i contrari che sono persone sfruttate sessualmente).
Dworkin, (1989) e MacKinnon (1993) hanno affermato che le attrici pornografiche sono in condizioni disperate e lavorano perché sono costrette a farlo.
Strossen (1995) ritiene invece che la pornografia liberi le donne, consentendo loro di esplorare aspetti meno tradizionali della loro sessualità e respinge l’opinione che le donne siano costrette a entrare nel settore.

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Una serie di studi (Evans-DeCicco & Cowan, 2001; Polk & Cowan, 1996)  hanno esaminato il modo in cui gli studenti universitari percepivano gli attori della pornografia. Il primo studio (Polk & Cowan) ha riportato tre risultati rilevanti:

  • Le pornostar vengono considerate migliori delle prostitute, ma peggiori delle star del cinema e della donna media.
  • Le caratteristiche negative attribuite a queste attrici erano legate ad atteggiamenti negativi dei partecipanti nei confronti della pornografia.
  • Coloro che consideravano la pornografia pericolosa avevano maggiori probabilità di credere che le performer del porno fossero costrette a esibirsi e non amassero il loro lavoro, rispetto a chi non aveva un atteggiamento negativo nei confronti della pornografia.

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Uno studio di follow-up (Evans-DeCicco e Cowan) ha esaminato le differenze di genere sugli atteggiamenti nei confronti delle star della pornografia. I partecipanti di questo studio ritenevano che le attrici provenissero da contesti in cui erano comuni abusi sessuali e fisici ed erano fuggite da casa da adolescenti. Inoltre, queste donne erano valutate in modo maggiormente negativo rispetto alla donna media  (ad esempio, salute psicologica, autostima, malattie a trasmissione sessuale, ecc.).

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Questo studio ha anche cercato di valutare le percezioni degli studenti universitari su quali fossero le motivazioni primarie per entrare nel settore dell’intrattenimento per adulti. I risultati hanno riportato che le motivazioni, in ordine decrescente, sono:
  • il denaro,
  • il piacere del lavoro,
  • la coercizione,
  • la liberazione sessuale,
  • la mancanza di altre opportunità di lavoro.
Infine, è stata replicata la relazione che dimostra l’associazione tra atteggiamenti negativi nei confronti della pornografia e convinzioni negative nei confronti delle attrici che lavorano nella pornografia.

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Philaretou (2006) ha riassunto le motivazioni delle ballerine esotiche femminili, che sono:
  • Il guadagno,
  • Lavoro considerato interessante
  • Sentimenti illusori di potere femminile
  • Eccitazione sessuale
  • Sostegno sociale dei colleghi.

Altri ricercatori hanno studiato perché alcune donne erano entrate nella prostituzione e hanno indicato quattro possibili ragioni:

  • Il denaro. Brock (1998) ha suggerito che le donne con poche opzioni di lavoro praticabili percepiscono la prostituzione come una possibile opportunità.
  • La tossicodipendenza a fornire una motivazione ad entrare in questo mondo (Porter & Bonilla, 2000) per comprarsi la droga.
  • La conoscenza di altre persone coinvolte nella prostituzione e possono essere incoraggiate da loro a vendere i loro corpi in cambio di denaro (Raphael & Shapiro, 2002).
  • Combinazione di caratteristiche psicologiche (ad es. Sentimenti di inutilità) e crisi personali (ad es. Violenza sessuale) possono fornire una condizione per la quale le donne sono più suscettibili a iniziare a lavorare come prostitute (Cobbina & Oselin, 2011).


Ipnosi Clinica

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Sebbene siano state studiate le motivazioni per entrare nella danza erotica e nella prostituzione, le motivazioni per entrare nella pornografia non sono state al centro di molte ricerche. Al momento, si sa molto poco sulle reali caratteristiche della pornografia femminile.

Alcune informazioni provengono da singole attrici e sono di natura aneddotica (ad esempio, Campbell, 1990; Gittler, 1999; Wilkenson, 1994). Questo tipo di ricerche si concentrano solo sulle motivazioni delle attrici intervistate a fare questo mestiere e i loro dati vengono generalizzati.

Diversi studi qualitativi hanno tentato di ottenere una valutazione più obiettiva degli attori della pornografia. Stoller (1991) e Stoller e Levine (1993) hanno condotto studi etnografici utilizzando interviste su un campione molto piccolo di individui nel settore della pornografia (ovvero attori, produttori, scrittori).

PSICOLOGIA - SESSUOLOGIA
Come vivere bene anche se in coppiaCome vivere bene, anche se in coppia
Autori: Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta
Terapie Individuali e di Coppia

I risultati hanno suggerito che i partecipanti coinvolti nell’industria della pornografia sono:

  • Persone ostili o ambivalenti nei confronti delle convenzioni sociali,
  • Prive di opzioni di lavoro
  • Avevano subito abusi sessuali nell’infanzia.

Dati più estesi raccolti sulle attrici pornografiche femminili sono stati raccolti da Abbott (2000), che ha condotto interviste approfondite su 31 interpreti. L’obiettivo principale dello studio era sulle motivazioni per entrare nel settore dell’intrattenimento per adulti. Secondo Abbott, le cinque ragioni principali per cui le donne sono entrate nel settore della pornografia sono state:

  • il denaro,
  • la fama / il glamour,
  • la libertà / indipendenza,
  • l’opportunità / la socievolezza
  • desiderio di trasgressione/ fare sesso.

Sebbene abbia fornito uno strumento importante nella comprensione delle attrici pornografiche femminili, la dimensione del campione di questo studio era piuttosto piccola, per cui non è possibile classificare l’importanza delle varie motivazioni.

Griffith et al. (2012) hanno riproposto le domande sulla motivazione ad entrare in questo particolare mondo, coinvolgendo un numero maggiore di persone, 176 attrici del settore dell’intrattenimento per adulti, che hanno risposto a domande riguardanti i motivi per cui sono entrate nell’industria della pornografia, nonché i loro gusti e antipatie nei confronti del lavoro che svolgevano.

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Le ragioni più frequenti per entrare a far parte di questo settore erano:

  • Denaro,
  • Sesso
  • Desiderio di attenzione.

Su 176 persone, solo una ha dichiarato di essere stata costretta a diventare un’attrice porno. Gli aspetti più favorevoli del loro lavoro riguardavano:

  • Denaro,
  • Incontri con persone interessanti,
  • Sesso e libertà
  • Indipendenza,

Gli aspetti negativi del lavoro riguardavano:

  • Incontri con persone non piacevoli
  • Malattie a trasmissione sessuale
  • Sfruttamento.

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Per concludere questa breve rassegna, vorrei attrarre l’attenzione su questo aspetto, che è ancora meno studiato delle motivazioni ad entrare nel porn biz: i suicidi delle pornostar, come quello delle due attrici indicate nella foto di questo post (tratta da Vice).

Tra novembre 2017 e gennaio 2018, almeno cinque pornostar sono decedute a causa di presunte overdose di droga o per suicidio. Shyla Stylez, 35 anni, è stata trovata morta nella casa di sua madre, Yuri Luv, 31 anni, è morta nel sonno a causa di una overdose, August Ames, 23 anni, si è impiccata in un parco vicino a casa sua, in California, pochi giorni dopo essere stata molestata sui social media, la ventenne Olivia Nova è stata trovata morta in una proprietà privata a Las Vegas, per complicazioni dovute all’abuso di alcol, come rivelato dalla autopsia, Olivia Lua, 23 anni, conosciuta come Olivia Voltaire, è deceduta dopo aver esagerato con una combinazione di droghe e alcol in una struttura di riabilitazione della California.

Probabilmente capire meglio chi sono le pornostar aiuterebbe a salvare vite umane o, quanto meno, a migliorare la qualità della vita di molte di loro.

Dr. Walter La Gatta

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Fonti:

The Porn Myth: Uncovering the Truth about Sex Stars, LiveScience

WHY BECOME A PORNOGRAPHY ACTRESS? James D. Griffith et al., International Journal of Sexual Health, 24:165–180, 2012

Mental Illness Is Killing Porn Stars and the Industry Is Taking Action, Vice

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La scala Kinsey
La scala Kinsey: la sessualità oltre il binarismo
Ortoressia, l'ossessione per i cibi sani
Ortoressia, l’ossessione per i cibi sani

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  • 27 Mar 2020
  • Dr. Walter La Gatta
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