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Category Archives: Psicologia

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Franco Basaglia: una biografia

Franco Basaglia: una biografia

Franco Basaglia: una biografia


La conquista della libertà del malato deve coincidere con la conquista della libertà dell’ intera comunità: questo, in estrema sintesi, il pensiero rivoluzionario di Franco Basaglia, lo psichiatra cui si deve l’introduzione in Italia della legge 180 e la chiusura dei manicomi.

Nacque a Venezia, l’11 marzo 1924. Secondo di tre figli, trascorse un’adolescenza tranquilla ed agiata nel quartiere di San Polo. Dopo aver conseguito la maturità classica, si iscrisse alla facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università di Padova. In questo periodo cominciò a leggere alcuni classici della filosofia, fra i quali Husserl, Heidegger, Sartre, Merleau-Ponty.

Laureatosi nel 1949, si specializzò, nel 1953, in Malattie nervose e mentali. Lo stesso anno sposò Franca Ongaro, con la quale ebbe due figli e stabilì un’intensa collaborazione anche professionale, soprattutto nella stesura di libri e saggi.

Nel 1958 ottenne la libera docenza in Psichiatria. In quel tempo prestava la sua attività lavorativa a Padova, dove era assistente presso la Clinica di malattie nervose e mentali. Prorettore dell’ateneo padovano era all’epoca Massimo Crepet, pioniere della medicina del lavoro ed amico personale di Basaglia, che già allora veniva visto, in ambiente medico, come una ‘testa calda’ e per questo un po’ emarginato.

Nel 1961, questo stato di cose indusse Basaglia a rinunciare alla carriera universitaria e ad andare a Gorizia, dove aveva vinto un Concorso per la Direzione dell’Ospedale psichiatrico. In quella città si trasferì dunque con tutta la famiglia. L’impatto con la realtà del manicomio fu durissimo. Nel manicomio c’erano cancelli, inferriate, porte e finestre sempre chiuse; catene, lucchetti e serrature ovunque. Le terapie più comuni erano la segregazione nei letti di contenzione, la camicia di forza, il bagno freddo, l’elettroshock, la lobotomia (asportazione dei lobi parietali, cioè di una parte del cervello).

Clinica della Timidezza
Dal 2002 parole che curano, orientano e fanno pensare.

“Un malato di mente entra nel manicomio come ‘persona’ per diventare una ‘cosa’. Il malato, prima di tutto, è una ‘persona’ e come tale deve essere considerata e curata (…) Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e per ricordare di essere persone” – ripeteva il nuovo Direttore ai medici ed agli infermieri del suo manicomio.

Basaglia si era infatti avvicinato alle correnti psichiatriche di ispirazione fenomenologica ed esistenziale (Jaspers, Minkowski, Binswanger) cercando di seguire il modello della “comunità terapeutica“, di origine inglese, all’interno dell’ospedale. Per poter affrontare degnamente la malattia mentale dunque, Basaglia si convinse che ogni pregiudizio terapeutico doveva essere messo tra parentesi, sospeso. Solo in questo modo il malato poteva essere libero e raggiungibile su un piano di libertà.

I suoi riferimenti teorici furono Sartre, soprattutto per quanto riguarda il concetto di libertà, Foucault e Goffman per la critica all’istituzione psichiatrica.

Nel manicomio di Gorizia erano allora ricoverati 650 pazienti: con la direzione Basaglia cominciò, in questa istituzione, una vera e propria rivoluzione. Vennero ad esempio eliminati tutti i tipi di contenzione fisica e le terapie di elettroshock, furono aperti i cancelli, ponendo i malati nella condizione di essere liberi di passeggiare nel parco, di consumare i pasti all’aperto ecc. Per i pazienti non dovevano esserci più solo terapie farmacologiche, ma anche rapporti umani rinnovati con il personale della ‘comunità terapeutica’. I pazienti dovevano essere trattati come uomini, uomini ‘in crisi’, certo: una crisi esistenziale, sociale, familiare, che però non era più ‘malattia’ o ‘diversità’.

Sue sono queste parole sull’argomento: ‘Una cosa è considerare il problema una crisi, e una cosa è considerarlo una diagnosi, perché la diagnosi è un oggetto, la crisi è una soggettività’. Nel 1967 Basaglia curò il volume “Che cos’è la psichiatria?”, nel 1968 pubblicò “L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico”, che diffuse al grande pubblico l’esperienza dell’ospedale psichiatrico di Gorizia: un successo editoriale strepitoso.

Una intervista sulla violenza domestica

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Nel 1969 lo psichiatra lasciò Gorizia e, dopo due anni passati a Parma alla direzione dell’ospedale di Colorno, nell’agosto del 1971, divenne direttore del manicomio di Trieste, il San Giovanni, dove c’erano quasi milleduecento malati. Basaglia istituì subito, all’interno dell’ospedale psichiatrico, laboratori di pittura e di teatro. Molti ricordano che una macchina scenica, un cavallo costruito in legno e cartapesta, fu fatto sfilare in corteo per le vie di Trieste, seguito da medici, infermieri, malati ed artisti. Nacque anche la cooperativa dei pazienti, che così cominciavano a svolgere lavori riconosciuti e retribuiti.

Ma questa volta Basaglia sentiva il bisogno di andare oltre la trasformazione della vita all’interno dell’ospedale psichiatrico: il manicomio per lui andava chiuso ed al suo posto andava costruita una rete di servizi esterni, per provvedere all’assistenza della persone affette da disturbi mentali.

La psichiatria asilare, pensava Basaglia, doveva riconoscere di aver fallito il suo incontro con il reale, essendosi limitata a fare della “letteratura” (ovvero teorie ideologiche), mentre il “malato” si trovava a pagare le conseguenze di ciò, rinchiuso nell’unica dimensione ritenuta adatta a lui: la segregazione.

La psichiatria, che non aveva compreso i sintomi della malattia mentale, doveva cessare di giocare un ruolo nel processo di esclusione del “malato mentale “, voluto da un sistema politico convinto di poter negare ed annullare le proprie contraddizioni allontanandole da sé, rifiutandone la dialettica, per potersi riconoscere ideologicamente come una società senza contraddizioni.

Nel 1973 Trieste venne designata “zona pilota” per l’Italia nella ricerca dell’Oms sui servizi di salute mentale. Nello stesso anno Basaglia fondò il movimento Psichiatria Democratica.

Nel gennaio 1977, in una affollatissima conferenza stampa, Franco Basaglia e Michele Zanetti, presidente della Provincia di Trieste, annunciarono la chiusura del San Giovanni entro l’anno. L’anno successivo, il 13 maggio 1978, fu approvata in Parlamento la legge 180 di riforma psichiatrica.

Nel 1979 Basaglia fece un viaggio in Brasile, dove incontrò psichiatri, psicologi, infermieri, studenti, ai quali, attraverso una serie di seminari raccolti successivamente nel volume Conferenze brasiliane, riferì della propria esperienza nei manicomi.

Una Videoconferenza su Salute e Benessere

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“Il manicomio – diceva in queste conferenze – ha la sua ragion d’essere nel fatto che fa diventare razionale l’irrazionale. Infatti quando qualcuno entra in manicomio smette di essere folle per trasformarsi in malato, e così diventa razionale in quanto malato”.

La psichiatria democratica doveva allora andare oltre la chiusura dei manicomi ed affrontare quel disagio sociale attraverso il quale miseria, indigenza, tossicodipendenza, emarginazione, delinquenza, conducono alla follia.

Diceva: “La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’ essere”.

Nel novembre del 1979 Basaglia lasciò la direzione di Trieste e si trasferì a Roma, dove assunse l’incarico di coordinatore dei servizi psichiatrici della Regione Lazio. La situazione psichiatrica romana era allora rappresentata da un manicomio enorme e da innumerevoli case di cura private.

Nella primavera del 1980 però si manifestarono, per lo psichiatra, i primi sintomi di un tumore al cervello, che in pochi mesi lo portò alla morte, avvenuta il 29 agosto 1980, nella sua casa di Venezia.

E’ il caso di dire che le sue idee non sono morte con lui, anche se sempre più spesso la legge 180 (mai perfettamente applicata e sicuramente migliorabile) viene attaccata dalle nuove correnti della psichiatria organicista.

Dr. Giuliana Proietti

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Leggi anche su Psicolinea:

Franco Basaglia – Parte I -1924-1971 – La legge 180

Franco Basaglia – Parte II – Trieste 1971-1979 – la fine del manicomio

Franco Basaglia – Parte III – storia e memoria viste da Londra

Franco Basaglia – Parte IV – La legge Basaglia è stata un errore?

Giuliana Proietti
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Dr. Giuliana Proietti
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

Per appuntamenti:
347 0375949 (anche whatsapp)

mail: g.proietti@psicolinea.it

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Lobotomia e terapie chirurgiche per il tono dell'umore: la storia di Rosemary Kennedy

Lobotomia e terapie chirurgiche per il tono dell’umore: la storia di Rosemary Kennedy

Lobotomia e terapie chirurgiche per il tono dell’umore

Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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Nella famiglia politica più famosa d’America, i Kennedy, vi fu un caso psichiatrico molto controverso, quello di Rosemary Kennedy (1918-2005), sorella del futuro presidente americano ucciso a Dallas. Sin da bambina Rosemary aveva presentato un umore instabile, dovuto ad un parto difficile, che impensieriva il padre della ragazza, Joseph Kennedy. Il patriarca Kennedy si fece facilmente convincere che la lobotomia sarebbe stata il modo giusto per calmare la figlia.

Nel 1941, all’età di 23 anni, Rosemary subì dunque una lobotomia prefrontale. Andò male: infatti la Kennedy condusse da allora una vita istituzionalizzata, lontana dalla scena pubblica. Non fu più capace di esprimersi con chiarezza e di camminare senza un aiuto. Il neurologo che segnò il destino della giovane donna fu il dottor Walter J. Freeman.

La lobotomia era stata ideata dal medico e neurologo portoghese Antonio Egas Moniz nel 1936. Il suo metodo prevedeva la trapanazione in vari punti del cranio e la distruzione della sostanza bianca dei lobi frontali mediante iniezioni di alcol all’interno di essi. Moniz vinse il Premio Nobel per la medicina nel 1949 per questa tecnica. La procedura fu esportata negli Stati Uniti da Walter Freeman e James W. Watts che modificarono la tecnica e il nome: dall’originale leucotomia in lobotomia.

“Quello che fece Walter Freeman fu un lavoro grezzo, barbaro e nocivo in molti casi” ha sostenuto Jack El-Hai, nella sua biografia del 2005,  The Lobotomist, che ha come sottotitolo: “un genio medico indipendente e la sua tragica ricerca per liberare il mondo della malattia mentale”. Il dottor Freeman morì nel 1972, dopo aver presieduto a circa 3.500 lobotomie, dal 1936 al 1967.

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All’inizio l’operazione veniva eseguita materialmente dal neurochirurgo James W. Watts, ma la partnership fra i due medici si sciolse un decennio più tardi, quando il dottor Freeman abbracciò una nuova procedura, chiamata lobotomia transorbitale, che consisteva nel sollevare la palpebra superiore dell’occhio del paziente; un punteruolo veniva inserito e martellato fino a rompere il sottile strato osseo sopra l’occhio, per farlo penetrare nel cervello, con lo scopo di distaccare i lobi frontali dal talamo. L’operazione veniva eseguita in ambulatorio, spesso di fronte al pubblico.

Il dottor Watts, morto nel 1994, non volle seguire il collega in questa impresa, per cui Freeman, da solo, eseguì centinaia e centinaia di quelle che furono chiamate lobotomie col punteruolo da ghiaccio. (In un periodo di 12 giorni, Freeman operò 225 persone, durante una trasferta nella Virginia occidentale).

Il dottor Watts affermava che molti dei loro pazienti – uomini e donne con malattie gravi come la depressione, ma anche ansia e insonnia – mostravano risultati positivi dopo l’intervento, in ​​quanto erano capaci di condurre o riprendere una vita attiva. Ma non tutti hanno trovato sollievo grazie a questa tecnica chirurgica ed anzi alcuni pazienti sono addirittura  peggiorati. La Kennedy è probabilmente la paziente più famosa fra le persone operate che ebbero esiti infelici, ma non fu la sola. Fu così, ad esempio, anche per Helen Mortensen, una degli ultimi pazienti del Dr. Freeman, la quale morì di emorragia cerebrale tre giorni dopo l’operazione, a causa dell’erronea resezione di un vaso sanguigno.

Era il 1967. In quel periodo, le lobotomie erano cadute completamente fuori uso. Ormai vi erano dei farmaci psicoattivi come la Torazina, antenata del Prozac, che avevano mostrato di essere utili per modificare il tono dell’umore. Le lobotomie furono allora viste come mostruose e inaccettabili: si pensi al film di denuncia “Qualcun volò sul nido del cuculo“, tratto dal romanzo di Ken Kesey.

Naturalmente anche i farmaci non sono delle panacee, e spesso producono anch’essi effetti collaterali non graditi. Per questo oggi una nuova frontiera nella neuroscienza si sta dunque nuovamente affidando all’intervento chirurgico, ma in modo assai diverso dai metodi di Freeman.

Una procedura molto utilizzata è la stimolazione cerebrale profonda, o D.B.S (Deep Brain Stimulation): gli impulsi elettrici vengono inviati in una zona distinta del cervello ritenuta la causa del problema mentale di un paziente. Dal 2002 questa tecnica ha avuto l’approvazione della Food and Drug Administration americana per la cura dei sintomi di Parkinson e ora si sta studiando una sua possibile applicazione anche per i disturbi ossessivo compulsivi e per i problemi di obesità.

È stata inoltre esplorata come possibile metodologia per aiutare i soldati a curare i disturbi post-traumatici da stress. In tali situazioni di stress infatti, si attiva la parte del cervello denominata amigdala, che è la zona cerebrale che si occupa delle emozioni, tra cui la paura. L’auspicio è che l’invio di un segnale elettrico all’amigdala possa restituire al paziente uno stato di calma.



Queste nuove stimolazioni cerebrali non devono essere confuse con l’elettroshock, il quale non prevede interventi chirurgici e si basa solo su una potente scossa al cervello. La D.B.S. funziona invece attraverso l’installazione di elettrodi che producono flussi costanti di segnali a basso consumo energetico in una zona cerebrale specifica ritenuta la causa del problema. La differenza, in un certo senso, è paragonabile a quella che può esservi tra un defibrillatore e un pacemaker. E, come i pacemaker, gli stimolatori cerebrali sono ora abbastanza piccoli da essere inseriti chirurgicamente con relativo comfort. Si ritiene che oltre 125.000 persone in tutto il mondo vivano con dei dispositivi impiantati.

Ciò non significa che il metodo sia infallibile. Come in passato per le lobotomie, non tutti i pazienti ne hanno tratto risultati positivi. Alcuni hanno riportato effetti negativi come aumento della depressione e delle tendenze suicide. Del resto, il cervello è l’organo più complesso e più sconosciuto del corpo. Come ha detto il dottor Emad Eskandar, neurochirurgo presso la Harvard Medical School, “probabilmente sappiamo circa l’1 per cento di come funziona il cervello. Il cervello è incredibilmente complesso, ha 100 miliardi di neuroni, trilioni di connessioni. Quindi, specialmente quando si tratta di funzioni cognitive superiori, come sentimenti, pensieri e emozioni, siamo ancora lontani da una piena comprensione”.

Indubbiamente però la neurochirurgia psichiatrica dei tempi passati ha lasciato un’ombra dietro di sé, e non si può che guardare inizialmente con un certo pregiudizio a questi nuovi interventi, anche se sono all’avanguardia e non hanno nulla a che fare con quelli del passato (che è però un passato ancora troppo recente per essere dimenticato).

Dr. Walter La Gatta

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Fonte:
The Quest for a Psychiatric Cure, New York Times

Immagine:
Rosemary Kennedy

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Dr. Walter La Gatta

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Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia
ONLINE E IN PRESENZA (Ancona, Terni, Fabriano, Civitanova Marche)

Il Dr. Walter La Gatta si occupa di:

Psicoterapie individuali e di coppia
Terapie Sessuali
Tecniche di Rilassamento e Ipnosi
Disturbi d’ansia, Timidezza e Fobie sociali.

Per appuntamenti telefonare direttamente al:
348 – 331 4908
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  • 20 Apr 2017
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Meditazione e compassione nella pratica psicoterapeutica

Meditazione e compassione nella pratica psicoterapeutica

Meditazione e compassione nella pratica psicoterapeutica

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Christopher Germer è docente di psicologia ad Harvard e membro fondatore dell’ Institute for Meditation and Psychotherapy, una organizzazione non-profit dedicata alla istruzione e alla formazione dei terapeuti interessati ad integrare la meditazione nella pratica psicoterapeutica.

Ne parliamo perché ha pubblicato un  nuovo libro in lingua inglese, Wisdom and Compassion in Psychotherapy, scritto con lo psicologo Ronald Siegel, che si ispira alla conferenza tenuta ad Harvard dal Dalai Lama nel 2009, dal titolo Meditazione e Psicoterapia. In questo volume, esperti di meditazione e uomini di scienza, cercano di rispondere ad una domanda ambiziosa: è possibile coltivare la saggezza e la compassione nei terapeuti e nei loro clienti?

Il libro, di 407 pagine, probabilmente non diventerà mai un best seller (e forse non verrà neanche tradotto in italiano), ma contiene spunti di riflessione che possono essere utili a chi ha a che fare con la psicoterapia, come professionista o come paziente, e per questo vi sintetizziamo i contenuti di una sua intervista, rilasciata recentemente all’Huffington Post.

La persona “sapiente” è quella che conosce in profondità il vivere bene, mentre la persona “compassionevole” è quella che sa riconoscere la sofferenza ed ha il desiderio di alleviarla. La sofferenza può essere anche propria: in questo caso il desiderio di alleviarla è dato dall’auto-compassione. Quando invece la sofferenza riguarda gli altri e si prova il desiderio di fare qualcosa per alleviarla, allora si parla di compassione: cioè quando l’amore incontra la sofferenza, e rimane tuttavia amorevole. Di solito infatti l’amore si blocca di fronte alla sofferenza.

Una Conferenza sulla Paura

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C’è una espressione tibetana che definisce la compassione “idiota” (in verità un’espressione poco “compassionevole”, ammette Germer…): la compassione idiota è quella che spinge a comportarsi in modo neutro e accomodante, quando invece sarebbe giusto prendere una posizione ferma e decisa.  Quando qualcuno sta danneggiando un altro, e si empatizza con la vittima, ma non si fa nulla per evitare il danno,  la compassione è idiota. La cosa più compassionevole da fare in questo caso, sia per la vittima che per il carnefice, è quella di fermare il danno.

Un insegnamento che l’autore del libro sente di aver appreso dal Dalai Lama e dalla cultura tibetana, è che tutti gli esseri viventi nascono con il desiderio di essere felici e liberi dalla sofferenza. Per questo, quando siamo eccessivamente duri e critici con noi stessi, lo facciamo perché pensiamo, in modo sbagliato, che ciò ci porterà a qualcosa di positivo, ad esempio ad essere più felici e liberi dalla sofferenza. In realtà, poiché tutti nasciamo, secondo la cultura tibetana, con il desiderio di essere felici e liberi dalla sofferenza, è attraverso la pratica dell’auto-compassione , cioè il saper coltivare la buona volontà e le buone intenzioni, che possiamo riuscire a mettere in pratica questi aspetti profondi della nostra natura umana.

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La mindfulness meditation consiste nel saper guardare all’esperienza momento per momento, senza esprimere giudizi, e questa è da considerarsi la strada maestra per la saggezza. Fondamentalmente, attraverso questo tipo di meditazione, impariamo la natura delle cose, e da questo nasce la saggezza.

Molte persone fraintendono la mindfulness meditation, intendendola come una pratica di consapevolezza. In realtà non si può essere consapevoli, meditazione e compassionese non si è capaci di amare. Quando la consapevolezza raggiunge il suo massimo livello, essa è indistinguibile dall’amore. Allo stesso modo, quando l’amore si esprime al suo massimo livello, ciò ci rende pienamente consapevoli. Tuttavia, all’inizio, quando cominciamo a fare pratica, non siamo generalmente in grado di fare tutto questo allo stesso tempo. E’ come imparare a sciare su una pista difficile: impariamo una cosa, ne impariamo un altra, poi mettiamo tutto insieme, e alla fine riusciamo a sciare attraverso dossi e alberi, senza difficoltà.

Parlando di psicoterapia, l’autore osserva che gli psicoterapeuti possono avere molta compassione, ma poca saggezza. Oppure possono abbondare in saggezza, ma avere scarsa compassione. Se abbiamo molta saggezza, ma scarsa compassione, afferma Germer, possiamo capire un paziente, ma non essere effettivamente in grado di sentire la sua sofferenza ed empatizzare con lei/lui. Se siamo capaci di compassione, ma abbiamo in noi scarsa saggezza, potremmo empatizzare, ma non essere capaci di trasformare la sua sofferenza… Ciò che un terapeuta dovrebbe dunque avere in sé è la giusta combinazione di consapevolezza ed empatia, dal momento che i pazienti meritano entrambe le cose.

Come scegliere un terapeuta con queste caratteristiche? Le persone che scelgono un terapeuta, ricorda, di solito vanno a naso. Se sentono che il terapeuta ha almeno una conoscenza preliminare del loro problema, sentono di avere a che fare con una persona che ha un certo grado di saggezza e di compassione.

Relazione La sessualità femminile fra sapere e potere

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Convegno Diventare Donne
18 Marzo 2023, Castelferretti Ancona
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Ciò che Germer ci tiene a precisare è che la mindfulness meditation non va considerata importante per se stessa, ma in quanto serve ad alleviare la sofferenza: avere un livello elevato di consapevolezza porta con sé le qualità della saggezza e della compassione, che sono a loro volta capaci di alleviare la sofferenza.

Quando pratichiamo la consapevolezza e la compassione, in particolare l’auto-compassione, dobbiamo darci degli obiettivi di lungo termine. Ad esempio, quando un bambino ha l’influenza, che in genere dura cinque giorni, i suoi genitori non si aspettano che il bambino guarisca immediatamente ed aspettano con pazienza che l’influenza se ne vada: questo è quello che dobbiamo fare quando stiamo male.

Così come sappiamo offrire al bambino influenzato una quantità di cure e di attenzioni, sapendo che l’influenza non potrà andarsene immediatamente, dobbiamo imparare a trattare noi stessi: con compassione, proprio come faremmo con un caro amico o con un bambino.

Dr. Giuliana Proietti

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Dr. Giuliana Proietti

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Per maggiori informazioni sull’autore, visita il suo sito internet.

Fonte:

Self-Compassion Expert Chris Germer on Lessons Learned From the Dalai Lama, Huffington Post

Altri libri dell’autore, in inglese (nessun libro tradotto in italiano).

Chiedere aiuto è il primo passo!

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Leggi anche, su Psicolinea:

Meditazione e Benessere
Meditare camminando, o la meditazione camminata
La meditazione compassionevole
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Tutto sulla meditazione
Meditazione e compassione nella pratica psicoterapeutica

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  • 5 Mag 2012
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Beautiful Minds: Temple Grandin e l'autismo

Beautiful Minds: Temple Grandin e l’autismo

Beautiful Minds: Temple Grandin e l’autismo

Relazione sulle Coppie Non Monogamiche

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Per molti, Temple Grandin è il volto pubblico dell’autismo. La storia della Grandin ha notevolmente accresciuto la conoscenza delle malattie dello spettro autistico in tutto il mondo, permettendo anche una migliore informazione sulle caratteristiche positive della mente autistica. A tutto ciò ha contribuito sicuramente la Grandin, che è scrittrice, docente universitaria e stimata esperta nel settore dell’allevamento animale, oltre che soggetto autistico. La Grandin è stata considerata da Time Magazine come una delle 100 persone più influenti del mondo (nella categoria “Eroi”), e la storia della sua vita è stata portata recentemente sullo schermo da Claire Danes, nel film Temple Grandin.

La Grandin ha da poco pubblicato in inglese il libro The Autistic Brain: Thinking across the spectrum (Il cervello autistico: pensare attraverso lo spettro).

Riportiamo qui di seguito una sintesi dell’intervista che l’autrice ha concesso a Scientific American.

Uno degli interrogativi fondamentali nello studio del cervello umano è sapere quanto le capacità di una persona siano dovute a differenze innate nel cervello o all’apprendimento e alla pratica. Alcune persone che hanno letto il mio libro sul cervello autistico ritengono che io abbia messo troppa enfasi sulle abilità innate, o sui deficit congeniti. Sono al corrente dei molti studi che mostrano che la terapia e la pratica possano aumentare l’attività cerebrale in circuiti che appaiono deboli, ma io ipotizzo che le differenze innate nei circuiti cerebrali abbiano la meglio sulle capacità o le disabilità della persona.

Per esempio, alcuni bambini già alle elementari dimostrano di avere talento per la matematica, che poi possono approfondire alla scuola superiore. Un esempio di disabilità innata cronica è una persona con autismo che non impara mai a parlare, anche dopo essere stata sottoposta a terapia intensiva. Nel mio caso, il mio circuito connettivo, che doveva permettermi di ripetere quello che avevo ascoltato da altri, aveva un ridotto numero di fibre. Ho fatto molta terapia e a quattro anni ho imparato a parlare. Questo può essere un esempio della plasticità del cervello, che impara a rafforzare un circuito debole. Nel corso degli anni il mio parlare in pubblico è migliorato.

La gente mi dice che i miei discorsi a 60 anni sono migliori di quelli che facevo a 50 anni. Questo dimostra che, con il lavoro che ho fatto su di me, sono continuamente migliorata. Tuttavia, imparare l’algebra e la programmazione di un computer mi è stato impossibile. Ero molto motivata ad imparare a programmare un computer, ma era impossibile. Questo può essere dovuto ad un circuito mancante. La mia zona parietale sinistra è ricca di liquido cerebro-spinale. Altre analisi mostrano ampie connessioni per l’elaborazione visiva. Il disegno è stata la mia materia preferita sin dalle elementari e la mia carriera nella progettazione di impianti di allevamento del bestiame si basa sulle mie capacità visive. Mia madre mi ha cresciuto aiutandomi a sviluppare le mie capacità artistiche. Gli studenti con varie diagnosi, come autismo, dislessia, problemi di apprendimento o di ADHD tendono ad avere competenze non uguali a quelle degli altri. Lo sviluppo dei punti di forza non deve mai essere sacrificato, concentrando tutte le risorse didattiche verso la zona del deficit.

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Penso che l’autismo presenti condizioni diverse agli estremi opposti di un continuum. Ad un’estremità dello spettro, la persona è completamente “non-verbale” e può avere gravi problemi di comportamento. All’altra estremità dello spettro, la persona ha capacità di parlare fluentemente, ma è socialmente scomoda. Nel mio libro ho parlo di Tito e di Carly. Entrambi sono soggetti completamente “non-verbali” ma sono in grado di scrivere in modo indipendente. Entrambi descrivono un mondo sensoriale confuso. Carly scrive che trova molto difficile controllare i suoi movimenti corporei.

Potrebbe essere un’adolescente normale intrappolata all’interno di un sistema sensoriale disfunzionale con movimenti incontrollabili, sebbene appaia socialmente normale. All’altra estremità del continuum vi è la possibilità di parlare e questo può aiutare a superare la confusione sensoriale. Una scansione cerebrale sarebbe molto utile per la ricerca dei diversi circuiti cerebrali sensoriali e sociali in individui completamente “verbali” e “non verbali”.

Le persone con autismo sono sempre alla ricerca di informazioni. Personalmente ho un insaziabile desiderio di leggere e leggere, per avere maggiori informazioni. Una persona “non verbale” può apparire totalmente disimpegnata, ma può trattenere in realtà molte informazioni. Poiché sono una persona che pensa dal basso all’alto, per me riempire il mio database è importante per ottenere una migliore comprensione del mondo.

Per comprendere una situazione sociale che sta accadendo ora, devo capire il comportamento logico migliore da utilizzare. Faccio questa “ricerca” nella mia “banca dati”. Nei miei vent’anni, ero un’avida lettrice di Dear Abby su una rivista, perché desideravo imparare a comportarmi correttamente nelle interazioni sociali. Sia la lettura che le esperienze reali aggiungono continuamente informazioni al mio database. Aumentando la quantità di informazioni nei miei dati, le mie risposte sono migliorate.

Una intervista sulla Eiaculazione Precoce

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Io sono un soggetto abile nella visualizzazione. Quando penso, tutti i miei pensieri sono come realistiche immagini fotografiche. Se penso alla parola “antenna per telefoni celulari” vedo quelle specifiche che incontro sulla strada per l’aeroporto. Esse compaiono nella mia immaginazione come una sequenza di immagini fisse. Sono immagini specifiche, che ho visto in luoghi particolari.

Un visualizzatore spaziale è spesso bravo in ​​matematica e di solito vede le immagini meno distinte quando si tratta di oggetti comuni. Questo accade perché si attivano diversi circuiti nel cervello. Alcune persone, come me, sono abili nella visualizzazione di oggetti ed altre nella visualizzazione spaziale. Ho osservato, parlando con molte persone, che i visualizzatori di oggetti come me spesso sono davvero bravi nel disegno e nella realizzazione artistica. L’algebra è difficile per molti visualizzatori di oggetti. I visualizzatori spaziali eccellono invece in matematica, ingegneria e programmazione di computer. Nel mio libro cito numerosi riferimenti scientifici sui due tipi di visualizzatori. Molte persone sono inoltre un mix di visualizzazioni, di oggetti e spaziali.

Dr. Walter La Gatta

Le ossessioni sono capaci di motivare una persona. La mia ossessione per il bestiame mi è servita per iniziare la mia attività di progettazione di sistemi per la movimentazione del bestiame. Quando uno dei miei professori non approvò la mia tesi di master sul movimento del bestiame, la mia ossessione mi ha spinto comunque a continuare i miei studi su questo argomento. La mia ossessione mi ha permesso di avere successo nella progettazione di impianti per trattare gli animali. Dico ai genitori e agli insegnanti di attingere dalle ossessioni del bambino e ai suoi  interessi particolari, per motivarlo.

Se un bambino è ossessionato con le auto Ford, va bene utilizzare le automobili Ford per motivare i suoi impegni scolastici. In questo caso vanno utilizzate le automobili Ford per comprendere problemi di matematica e per imparare a leggere (la storia della Ford Motor Company). Gli interessi e le abilità in arte, matematica o scrittura dovrebbero sempre essere incoraggiate. Alla scuola elementare, io disegnavo ossessivamente teste di cavallo più e più volte, ma sono stata incoraggiata ad utilizzare la mia capacità artistica nello studio di altre materie. Se un bambino ha delle capacità in matematica, gli/le dovrebbe essere consentito di studiare una matematica più difficile. Le ossessioni, se correttamente indirizzate, possono portare alcuni bambini ad avere una carriera di successo.

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I genitori e gli insegnanti dovrebbero permettere di fare delle scelte e stare a casa tutto il giorno non dovrebbe essere una di queste scelte. I bambini con disturbi dello spettro autistico devono essere spinti a mettersi in gioco. Quando avevo quindici anni, ho avuto l’opportunità di visitare il ranch di mia zia. Avevo paura di andare. Mia madre mi ha dato la possibilità di andare per una settimana o per tutta l’estate. Ho finito per amare il ranch e stare lì tutta l’estate. Ci sono troppi bambini con diversi tipi di diagnosi psichiatriche che non riescono ad apprendere le competenze di base.

Non sanno come stringere la mano o ordinare del cibo in un ristorante. Hanno bisogno di essere portati al ristorante quando è semivuoto e imparare ad ordinare del cibo, per poi tentare ancora quando il ristorante è pieno. Quando si insegna un’attività, l’insegnante o il genitore deve porsi come modello. Sto vedendo troppi individui che diventano dei reclusi nella loro stanza. A causa della forte ansia, ho avuto anch’io la tendenza ad isolarmi quando ero un’adolescente. Questo non mi è stato assolutamente permesso. Dovevo essere a tavola in tempo e alzarmi la mattina. L’ansia per le nuove situazioni può essere ridotta attraverso l’esposizione graduale alle situazioni.

Secondo me la massima priorità per la ricerca sull’autismo è lo studio dei problemi sensoriali. Per molte persone nello spettro autistico, l’eccessiva sensibilità sensoriale può rendere estremamente difficile tollerare ambienti normali come ristoranti, supermercati o eventi sportivi. Questo è un problema per gli individui sia pienamente verbali che non verbali.

Una persona può avere più sensibilità visiva per le luci fluorescenti e un altro può essere eccessivamente sensibile ai rumori forti. Per studiare questi problemi, i soggetti dovranno essere studiati in base al loro particolare problema sensoriale. L’uso di una diagnosi di autismo da sola non funzionerà perché le “mele” e le “arance” dal punto di vista sensoriale non devono essere mescolate. Una terapia progettata per i sensibili all’udito non sarà utile per una persona che ha maggiore sensibilità visiva. Il trattamento per la sensibilità sensoriale renderà più facile a molte persone autistiche la possibilità di partecipare alle attività sociali.

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Fonte:
Intervista a Scott Barry Kaufman, Scientific American

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Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
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  • 29 Giu 2013
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Autismo: la teoria del mondo intenso

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Articolo datato

Un nuovo studio ha scoperto che il cervello dei bambini autistici produce, in media, il 42%  di informazioni in più rispetto ai bambini non autistici, quando è in stato di riposo (Velázquez & Galán, 2013).

Questo potrebbe spiegare perché i bambini con autismo tendono a ritirarsi nel proprio mondo interiore e ad isolarsi dagli altri.

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Uno degli autori dello studio, Roberto Fernández Galán, ha spiegato :

“I nostri risultati suggeriscono che i bambini autistici non sono interessati alle interazioni sociali perché il loro cervello genera informazioni anche in stato di riposo, cosa che noi interpretiamo come una maggiore introspezione, in linea con le prime descrizioni della malattia”.

Lo studio sostiene una teoria relativamente nuova di autismo chiamato “Intense Theory World”  (Markram et al., 2007).

Questa teoria suggerisce che l’autismo non sia un deficit mentale, ma un sovraccarico mentale. I bambini autistici reagiscono cercando di attenuare il mondo esterno a loro.

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I sostenitori di questa teoria affermano che l’autismo possa essere descritto come iper – percezione, iper – attenzione e iper – memoria.

Tutte le principali funzioni mentali sono impegnate ad un livello più elevato e forse questo spiega perché i bambini autistici evitano le interazioni sociali.

Piuttosto che essere disinteressati alle altre persone, i bambini autistici possono avvertire l’improvviso afflusso di informazioni provenienti dagli altri come eccessivo per essere da loro affrontato.

Una caratteristica tipica è la mancanza di empatia, descritta come una delle principali caratteristiche dell’autismo. Ma la teoria del mondo intenso suggerisce il contrario: in realtà l’autismo produce una maggiore sensibilità.

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Troppe informazioni

Il nuovo studio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Neuroinformatics ha esaminato i dati provenienti da bambini autistici e non autistici utilizzando la magnetoencefalografia (MEG), che misura le correnti elettriche nel cervello. Confrontando l’attività di entrambi i gruppi, i neuroscienziati hanno potuto concludere che …

” … Il cervello dei soggetti con autismo crea ulteriori informazioni nello stato di riposo. Proponiamo che la produzione eccessiva di informazioni in assenza di stimoli sensoriali pertinenti o di attenzione a stimoli esterni, sia alla base delle differenze cognitive tra individui con e senza autismo. ” (Velázquez e Galán , 2013) .

Gli autori ritengono che risultati simili si potranno ottenere analizzando i cervelli delle persone con schizofrenia.

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Se corretta, la teoria del mondo intenso potrebbe avere profonde implicazioni per il trattamento dell’autismo.

Suggerisce infatti che alcuni attuali trattamenti per l’autismo, che tentano di aumentare il funzionamento neuronale, non siano corretti. Invece, Markram et al. ( 2007) sostengono che i bambini con autismo debbano vivere in un ambiente rilassante. Così i loro veri punti di forza possono essere messi in grado di emergere:

“La sindrome del mondo intenso suggerisce che la persona autistica sia un individuo con notevoli capacità, di gran lunga superiori alla media, a causa di un maggior livello di percezione, attenzione e memoria . [ … ] E’ possibile che trattamenti di successo potrebbero consentire agli autistici di diventare persone veramente capaci e di grande talento . ” ( Markram et al., 2007) .

Dr. Jeremy Dean

Articolo originale:
Intense World: Autistic Brains Create 42% More Information at Rest, PsyBlog
Traduzione autorizzata, a cura di psicolinea.it. Tutti i diritti riservati.

Immagine:
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Dr. Jeremy Dean

Jeremy Dean
è un ricercatore presso lo University College London.
E’ laureato in legge e in psicologia. In precedenza ha lavorato anche nel mondo di Internet.

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  • 7 Feb 2014
  • Dr. Jeremy Dean
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