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Autismo e Menzogna

Autismo e menzogna

Autismo e menzogna

Dr. Walter La Gatta

ANCONA FABRIANO TERNI CIVITANOVA MARCHE E ONLINE

Tariffe Psicoterapia

La menzogna è un comportamento complesso che richiede sofisticate capacità cognitive e sociali, come la teoria della mente, ovvero la capacità di comprendere che altre persone hanno pensieri, desideri e credenze diverse dai propri. Per i bambini con disturbi dello spettro autistico (ASD), queste abilità possono essere significativamente compromesse, rendendo la menzogna un fenomeno interessante da studiare. Cerchiamo di saperne di più.

Cosa è la Teoria della Mente?

La teoria della mente (in inglese ToM) è spesso deficitaria nei bambini con ASD. Questo deficit rende difficile per loro comprendere e prevedere i pensieri e i sentimenti degli altri, un’abilità fondamentale per mentire efficacemente. Senza una piena comprensione di come gli altri possono percepire e reagire a ciò che viene detto, i bambini con autismo possono trovare difficile creare e mantenere menzogne credibili.

Una intervista sui rapporti familiari

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I bambini autistici sanno dire bugie bianche?

Le bugie “bianche” sono dette per evitare di ferire i sentimenti degli altri. Studi recenti indicano che, sebbene i bambini con autismo possano comprendere il concetto di bugia bianca, spesso non sono molto abili nel metterla in pratica. Ad esempio, una ricerca condotta dall’Università di Toronto nel 2021 (Lee, K., et al., Journal of Autism and Developmental Disorders) ha dimostrato che, mentre i bambini neurotipici erano in grado di dire bugie bianche più convincenti, i bambini con ASD tendevano a fornire giustificazioni meno plausibili per le loro bugie.

Le giustificazioni fornite dai bambini con autismo per le loro bugie erano, inoltre, meno dettagliate e coerenti, riflettendo le loro difficoltà con la teoria della mente.

Uno studio della University of Kent (Williams, D., et al., 2020) ha esplorato la frequenza e la natura delle menzogne nei bambini con ASD rispetto ai loro coetanei neurotipici. I risultati hanno indicato che i bambini con autismo mentono meno frequentemente, soprattutto quando si tratta di menzogne destinate a manipolare le percezioni altrui o a proteggere se stessi da conseguenze negative. Tuttavia, quando mentivano, le loro menzogne tendevano ad essere più facilmente smascherabili.

È fondamentale per genitori e insegnanti essere consapevoli delle differenze nelle capacità di menzogna dei bambini con ASD. Comprendere che le difficoltà nel mentire non sono segno di mancanza di intelligenza o di sforzo, ma piuttosto di differenze neurologiche, può promuovere una maggiore empatia e supporto.

Dr. Walter La Gatta

ANCONA FABRIANO CIVITANOVA MARCHE TERNI E ONLINE

Come vengono condotti questi studi sull’autismo e la capacità di mentire?

Facciamo un esempio: in uno studio della Queen’s University (Beth Kelley e Annie Li) che è stato uno dei primi studi scientifici sulla menzogna e l’autismo, ad alcuni bambini autistici veniva detto che stavano per ricevere un grande dono, quindi veniva consegnata loro una saponetta. Quando veniva chiesto loro se avessero gradito il dono ricevuto, essi rispondevano di sì, oppure facevano dei cenni con il capo, invece di dire no, di far capire che erano rimasti delusi.

I ricercatori hanno definito questo tipo di menzogna “pro-sociale” in quanto veniva detta per mantenere buone relazioni con gli altri.

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Dr. Walter La Gatta

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Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia
ONLINE E IN PRESENZA (Ancona, Terni, Fabriano, Civitanova Marche)

Il Dr. Walter La Gatta si occupa di:

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Disturbi d’ansia, Timidezza e Fobie sociali.

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Autismo: evoluzione di una diagnosi

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Da quanto tempo si parla di “spettro autistico” e perché?

Il DSM-IV, pubblicato nel 1994 e rivisto nel 2000, fu la prima edizione del DSM a classificare l’autismo come spettro autistico. Questa versione elencava cinque condizioni con caratteristiche distinte. Oltre all’autismo e al disturbo pervasivo dello sviluppo, aggiungeva il “disturbo di Asperger”, oltre al “Disturbo disintegrativo della fanciullezza (CDD)”, caratterizzato da gravi inversioni e regressioni dello sviluppo; e la sindrome di Rett, che influenzava il movimento e la comunicazione, principalmente nelle ragazze. In questa nuova visione l’autismo era collegato soprattutto alla genetica.

Nel corso degli anni ’90, i ricercatori speravano di identificare i geni che contribuiscono all’insorgenza dell’autismo. Dopo che il Progetto Genoma Umano fu completato, nel 2003, molti studi cercarono di trovare una lista di “geni dell’autismo”, ma con scarso successo. Divenne chiaro che non sarebbe stato possibile trovare basi genetiche e trattamenti corrispondenti per le cinque condizioni specificate nel DSM-IV. Gli esperti decisero allora che sarebbe stato meglio caratterizzare l’autismo come una diagnosi onnicomprensiva, per un disturbo che poteva essere da lieve a grave.

Allo stesso tempo, cresceva la preoccupazione per la mancanza di coerenza nel modo in cui i medici di diversi stati  arrivavano a una diagnosi di autismo, alla sindrome di Asperger o agli altri disturbi dello spettro. Un picco nelle diagnosi di autismo negli anni 2000 suggerì che i medici erano talvolta influenzati dai genitori, i quali facevano pressioni per una diagnosi particolare, al fine di ottenere dei sussidi o delle facilitazioni, o erano influenzati dai servizi disponibili nel loro luogo di residenza.

Con l’introduzione del DSM-5 nel 2013, tutti i sottotipi sono stati fusi in una sola categoria: Disturbo dello Spettro Autistico. Questo cambiamento ha portato a una comprensione più integrata delle diverse espressioni dell’autismo, riconoscendo la varietà dei sintomi e dei livelli di gravità.

La diagnosi è caratterizzata da due gruppi di caratteristiche:

  • compromissione persistente nella reciproca comunicazione e interazione sociale;
  • schemi di comportamento limitati e ripetitivi,

comportamenti entrambi presenti nella prima infanzia. Ogni gruppo include comportamenti specifici. Il manuale ha eliminato la sindrome di Asperger, il PDD-NOS e l’autismo classico, ma ha introdotto una nuova diagnosi di disturbo della comunicazione sociale per includere bambini con problemi linguistici e sociali. Il disturbo disintegrativo della fanciullezza e la sindrome di Rett sono stati rimossi dalla categoria di autismo.

Queste novità destarono preoccupazione: molti temevano che, dopo la loro diagnosi, sarebbero scomparsi essi stessi dal DSM, e cioè avrebbero perso servizi o copertura assicurativa. Coloro che si erano identificati come affetti da sindrome di Asperger, ad esemòpio, affermavano che la diagnosi aveva dato loro un senso di appartenenza e una spiegazione per i loro comportamenti; temevano che rimuovere la diagnosi fosse sinonimo di perdita della propria identità.

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Si può fare diagnosi anche con l’ICD, oltre che con il DSM?

Si. L’ICD (International Classification of Diseases) è uno strumento diagnostico usato a livello globale per classificare i disturbi, inclusi quelli dello spettro autistico. Nell’ultima versione, l’ICD-11, l’autismo è definito come Disturbo dello Spettro Autistico (ASD), riconoscendo una gamma di manifestazioni e severità.

Nella versione uscita negli anni ’90, venivano raggruppate malattie come autismo, Sindrome di Asperger, Sindrome di Rett, CDD e PDD-NOS tutte insieme in una singola sezione, “Disturbi pervasivi dello sviluppo”, proprio come nel DSM-IV.

L’ICD-11 – uscito nel maggio 2018 – rispecchia i criteri del DSM-5. Nell’ICD-11, i criteri di autismo passano a una nuova sezione dedicata al disturbo dello spettro autistico.

L’ICD-11 differisce tuttavia dal DSM-5 in diversi aspetti chiave. Invece di richiedere un numero fisso o una combinazione di funzioni per una diagnosi, esso elenca le caratteristiche identificative e consente ai clinici di decidere se i comportamenti di una persona coincidono con i criteri diagnostici. Poiché l’ICD è destinato all’uso globale, stabilisce anche criteri più ampi e meno culturalmente specifici rispetto al DSM-5. Ad esempio, mette meno enfasi sull’importanza dei comportamenti di gioco nei bambini. L’ICD-11 fa anche una distinzione tra autismo con e senza disabilità intellettiva e mette in luce il fatto che molti individui talvolta possono mascherare i loro tratti di autismo.

Quali sono le cause dell’autismo?

Le ricerche recenti hanno evidenziato che l’autismo è il risultato di una complessa interazione tra fattori genetici e ambientali. Studi genetici hanno individuato centinaia di varianti genetiche associate al rischio di autismo, molte delle quali influenzano lo sviluppo e la comunicazione delle cellule cerebrali. Ad esempio, il gene CHD8 è stato identificato come uno dei fattori genetici chiave legati all’autismo e risulta particolarmente rilevante in alcuni sottotipi dello spettro autistico.

Oltre alla genetica, anche l’ambiente gioca un ruolo nella predisposizione all’autismo. Fattori come l’esposizione prenatale a sostanze chimiche, l’inquinamento ambientale, e alcune complicazioni durante la gravidanza sembrano contribuire a un rischio maggiore di sviluppare la condizione. Tuttavia, non esistono ancora prove definitive che colleghino specifici eventi o fattori ambientali con certezza all’autismo, ed è probabile che tali influenze siano complesse e interdipendenti.

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A livello cerebrale cosa si è scoperto?

Le scoperte recenti hanno fatto luce sulle differenze nel cervello delle persone con autismo, con alterazioni rilevate in aree coinvolte nella comunicazione, nell’elaborazione sensoriale e nelle interazioni sociali. Grazie alla risonanza magnetica funzionale (fMRI), è stato osservato che il cervello autistico tende a presentare una “iperconnettività” in alcune regioni e una “ipoconnettività” in altre, suggerendo che vi siano modalità diverse di elaborare le informazioni e le emozioni.

Inoltre, un recente studio ha rivelato che l’autismo potrebbe non essere unicamente legato alla comunicazione sociale, ma potrebbe anche riflettere differenze di elaborazione sensoriale. Molte persone nello spettro autistico sperimentano una sensibilità intensa a luci, suoni e altri stimoli sensoriali, suggerendo che l’autismo non sia limitato alle sole interazioni sociali, ma coinvolga aspetti percettivi più ampi.

Quali sono le caratteristiche più evidenti della malattia?

La caratteristica più evidente è la tendenza a isolarsi, rifugiandosi in un mondo di fantasia, senza fornire adeguate risposte all’ambiente, né attraverso il linguaggio verbale, né attraverso i gesti. Spesso si assiste ad atti ripetitivi anomali, auto o etero-aggressivi, iperattività, tempi di attenzione brevi, impulsività, aggressività, autolesionismo, crisi di collera. Tipico dei soggetti autistici è il modo in cui essi vivono le sensazioni corporee. Ciò che può apparire normale o gradevole per una persona “normale” può infatti diventare insopportabile per un soggetto autistico, causandogli stanchezza, irritabilità e perfino dolore fisico.

Quali sono le loro esperienze sensoriali?

I soggetti autistici possono essere ipersensibili rispetto ad alcuni stimoli, oppure avere una sensibilità molto ridotta rispetto alla media degli individui. A volte essi hanno difficoltà di interpretazione (es. mancato riconoscimento di oggetti, persone, suoni, forme, odori già noti. Questo deficit intellettivo viene chiamato “agnosia”). Va detto che queste esperienze non comportano allucinazioni; le persone autistiche hanno un’esperienza sensoriale basata su esperienze reali, ma vi possono essere difficoltà nell’interpretare correttamente l’esperienza.

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Cosa possono produrre queste difficoltà di interpretazione sensoriale?

Possono produrre un senso di confusione, oppure insensibilità al dolore, per cui il soggetto non riesce a rendersi conto che un dato comportamento può essere autolesionistico. A volte l’ipersensibilità può riguardare le capacità uditive: per questo rumori che non preoccupano gli altri possono disturbare enormemente dei soggetti autistici, i quali possono a volte avere difficoltà nell’elaborazione dei suoni.

A volte il problema è la prosopoagnosia, cioè la difficoltà a riconoscere le facce delle persone, così come oggetti della vita quotidiana. Ciò significa che il riconoscimento può essere a volte assente, a volte molto lento, i volti tendono ad essere analizzati e non riconosciuti automaticamente; si può scambiare una forchetta per il coltello o un cappello per una scarpa.

Perché le persone autistiche non amano essere avvicinate e toccate?

Questo tratto caratteristico è di solito dovuto ad una ipersensibilità tattile, per cui anche un tocco delicato per la maggioranza delle persone autistiche può diventare una scossa elettrica.

Ci sono distinzioni relative al genere sessuale?

Si, normalmente l’autismo colpisce i maschi fino a quattro volte in più rispetto alle femmine.

Quali sono le relazioni sociali di un soggetto autistico?

Il soggetto autistico mostra anzitutto difficoltà nella comprensione dei simboli e delle convenzioni sociali. Alcuni possono avere problemi di aprassia (incapacità di compiere gesti coordinati e diretti a un determinato fine, sebbene siano mantenute inalterate la volontà del soggetto e la sua capacità motoria) o avere disturbi del linguaggio (afasie, cioè disturbi nella comprensione e/o nella produzione del linguaggio). Alcune persone autistiche possono essere mute, oppure occasionalmente possono perdere la capacità di parlare o avere bisogno di un tempo maggiore per l’elaborazione del linguaggio verbale o per formulare delle risposte. A volte essi possono ripetere le parole che hanno ascoltato (ecolalia).

Per tutto questo le relazioni sociali sono spesso ridotte al minimo: alcuni soggetti autistici possono non notare le persone, poiché profondamente assorbiti nei loro pensieri e nei loro rituali. Tuttavia, è un errore ritenere che queste persone siano incapaci di dimostrare affetto: è solo la mancanza di abilità nell’uso del linguaggio verbale e non verbale che può farli sembrare più distanti o emotivamente distaccati di quello che sono.

Dr. Walter La Gatta

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Perché gli autistici non amano i cambiamenti?

Molti soggetti autistici tendono a detestare i cambiamenti. Molti hanno forti attaccamenti agli oggetti, ai luoghi, alle abitudini e può essere per loro molto disturbante essere costretti a cambiare queste cose. A volte attribuiscono a certi aspetti dell’esistenza un enorme importanza e ciò che può sembrare irrilevante ad altri può essere invece molto importante per loro

Che tipo di interessi ha un soggetto autistico?.

La maggior parte delle persone con diagnosi di autismo ha pochi interessi, ma li manifesta in modo ossessivo, con abilità talvolta sorprendenti, ad esempio nell’apprendimento a memoria di orari dei treni, disegni, ecc.

Quali sono i comportamenti “strani” di un soggetto autistico?

Le persone autistiche possono fare cose strane, come dondolarsi avanti e indietro, agitando le mani davanti ai loro occhi, canticchiare, parlare a sé stessi ad alta voce, ripetere senza stancarsi alcune cose. A volte il parlare ad alta voce o il ridacchiare senza motivo apparente è spesso il risultato di un intenso sognare a occhi aperti.

A che età insorge l’autismo?

In alcuni bambini i disturbi sono presenti sin dalla nascita mentre altri cominciano a manifestare dei disturbi fra i 18 ed i 36 mesi: improvvisamente essi rifiutano il contatto e la vista delle persone, si comportano stranamente e spesso perdono il linguaggio e le abilità che avevano già acquisito.

Come si comporta un bambino autistico?

I bambini autistici vengono descritti dalle loro madri come insolitamente ‘tranquilli’ in tenera età: non chiedono nulla a nessuno, hanno poche manifestazioni, stanno bene da soli. Quando li si prende in braccio si ha la sensazione di sollevare un peso morto, quasi un sacco di farina e si rimane stupiti dal fatto che il bambino non sorride, non si spaventa, rimane indifferente. Nel secondo/terzo anno di vita l’autismo diventa evidente e la madre ha spesso la sensazione di non essere riconosciuta dal figlio: il suo sguardo è vuoto, assente, il contatto fisico viene rifiutato (ai bambini autistici non piace essere abbracciati).

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

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Come e quando si fa la diagnosi?

La diagnosi precoce dell’autismo è fondamentale per migliorare la qualità della vita delle persone nello spettro. Strumenti diagnostici sempre più sensibili stanno permettendo di riconoscere i segni dell’autismo già entro i primi due anni di vita, con test comportamentali e biomarcatori specifici che aiutano i clinici a identificare i segni di autismo già nella prima infanzia.

Quale è il decorso di questa malattia?

Solo una piccola percentuale di soggetti con questo disturbo riesce, nell’età adulta, a vivere e a lavorare in modo indipendente. In circa un terzo dei casi, è possibile un certo grado di indipendenza parziale. I soggetti adulti affetti da Disturbo Autistico con funzionamento più elevato continuano tipicamente a mostrare problemi nell’interazione sociale e nella comunicazione, oltre a una notevole ristrettezza di interessi e attività. Alcuni soggetti non imparano a parlare, mentre altri possono adattarsi bene in speciali ambienti favorevoli, o lavorando in ambiente protetto. Altri ancora sono del tutto indipendenti e autonomi, anche se sono una minoranza.

Chi sono gli autistici “sapienti”?

Sono coloro che appaiono sapienti in quanto conoscono a memoria interi testi. In realtà nella migliore delle ipotesi la loro intelligenza è normale, mentre molti soggetti possono essere anche ritardati o gravemente ritardati.

Ci sono trattamenti particolari per questa condizione?

Si, sono stati sviluppati trattamenti personalizzati e terapie che mirano a potenziare le abilità comunicative e sociali. Tra le tecniche emergenti vi è la terapia cognitivo-comportamentale adattata, che lavora sulle competenze sociali e aiuta a gestire le reazioni sensoriali, insieme a nuovi approcci come l’uso della realtà virtuale per insegnare abilità sociali in ambienti sicuri e controllati. Gli interventi farmacologici attenuano la sintomatologia e migliorano decisamente l’iperattivismo, il deficit d’attenzione ed i comportamenti autolesionistici.


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Perché si parla spesso di vaccini e autismo?

L’ipotesi sulla presunta causa vaccinale, avanzata da Andrew Wakefield, si è rivelata poi una frode scientifica, in quanto il suo studio, poi ritrattato dall’editore, era fondato sulla scorretta manipolazione di dati sperimentali. Wakefield, come riporta il British Medical Journal, percepì un compenso in denaro per asserire la falsa evidenza di una correlazione fra il disturbo e l’assunzione del vaccino trivalente (contro morbillo, parotite e rosolia).

La pubblicazione di Wakefield spinse ad avviare una serie di altri studi su una più ampia popolazione, per comprendere se realmente esistesse una correlazione o meno. Nessuna di queste ricerche ha mai confermato i dati di Wakefield.

La vicenda terminò con la ritrattazione di 10 fra i 12 ricercatori che avevano pubblicato lo studio manipolato del 1998.

Nel maggio 2010, al termine delle indagini del General Medical Council inglese, Wakefield è stato espulso dall’Albo dei Medici, per via del suo comportamento “disonesto, fuorviante e irresponsabile”, nel corso di “numerosi gravi episodi di cattiva pratica professionale” legati alle sue scorrette ricerche sull’autismo e Lancet ha definitivamente ritrattato lo studio erroneo che aveva pubblicato nel 1998.

Nel gennaio 2011, il British Medical Journal ha pubblicato un’ampia inchiesta sull’argomento, da cui emerge definitivamente il profilo fraudolento della falsa ipotesi vaccinale, e di come alcuni protagonisti della vicenda abbiano dichiarato il falso dietro compenso economico, realizzando, così, una fraudolenta campagna di raccolta fondi a scopo di lucro personale. (Tratto da Wikipedia).

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Sarebbe un errore molto grande dare per scontato che le relazioni tra studenti, o tra studenti e insegnanti, possano svilupparsi nei modi consueti, anche nella nuova realtà didattica, caratterizzata dall’insegnamento a distanza.

Gli esseri umani sono creature sociali e hanno un profondo bisogno biologico e neurologico di interazione: le relazioni svolgono un ruolo importante anche nella capacità degli studenti di imparare.

Infatti, si impara assai meglio quando ci si sente tranquilli e al sicuro; situazioni di ansia e di disagio ovviamente peggiorano le capacità di apprendimento. Per questa ragione è importante aiutare i ragazzi a sentirsi al sicuro e connessi con le persone con cui interagiscono.

Come possono gli educatori, quindi, costruire queste connessioni importanti con gli studenti, specialmente quando vi sono distanze fisiche? Ecco qualche suggerimento:

1. Mappare le relazioni degli studenti con gli adulti

Un approccio molto semplice è la mappatura delle relazioni, una strategia che aiuta le scuole a garantire che tutti gli studenti abbiano una relazione positiva e stabile con almeno un adulto a scuola.

Ogni studente dovrebbe avere qualche docente che conosca i propri interessi e i propri problemi e che sia pronto a supportarlo. La procedura può essere utilizzata anche al contrario, chiedendo agli studenti di identificare a quale docente si sentono più vicini, in modo da essere seguiti direttamente, attraverso conversazioni telefoniche o chat.

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2. Organizzare dei momenti di incontro informali

Ad esempio, un insegnante può dare il via a una lezione chiedendo agli studenti come stanno e ascoltando davvero le loro risposte. Il punto non è quello di guidare una terapia di gruppo, ma mostrare un genuino interesse per la vita e i pensieri degli studenti, il che stabilisce legami e sensazioni di fiducia.

Un altro modo potrebbe essere quello di condurre un sondaggio con domande aperte, in cui si chiede agli studenti di cosa sono preoccupati, cosa desiderano e cosa pensano che i loro insegnanti dovrebbero sapere su di loro.

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3. Costruire connessioni social per le classi

Gli studenti si connettono tra loro spontaneamente, ma le scuole dovrebbero adottare misure per facilitare i collegamenti tra i compagni di classe. A livello di scuola media e superiore, le scuole dovrebbero favorire un clima di comunità e uno spazio per sviluppare abilità sociali-emotive.

Per gli studenti che imparano da remoto può essere inoltre di aiuto stabilire dei piccoli gruppi di lavoro a rotazione, cui si possano affidare argomenti da sviluppare o altre richieste, al fine di favorire la socializzazione.

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4. Non dimenticare i genitori, né gli insegnanti

Anche i rapporti con i genitori possono essere cruciali e dovrebbero essere stabiliti in anticipo. I genitori vanno ascoltati su come hanno vissuto, a loro volta, le esperienze con la DAD. I sondaggi sono un altro potente strumento per connettersi con i genitori, ottenere i loro input e consolidare le relazioni con loro. Ciò è utile anche per individuare quali studenti hanno più bisogno di relazioni adulte di supporto a scuola.

Infine, non vanno dimenticati gli insegnanti: la pandemia sta esercitando un’estrema pressione sugli insegnanti, che hanno bisogno di relazioni di supporto per poter essere efficaci nei confronti dei loro studenti. A tal fine, i dirigenti scolastici dovrebbero considerare modi per aiutare il personale a rimanere in contatto e a ricevere supporto.

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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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gentile dottoressa lavoro in una scuola elementare e in una prima c’è un bambino, quindi di 6 anni, proveniente da una famiglia con delle difficoltà, che non sembra capace di accettare il rimprovero e sopportare piccole frustrazioni. Vuole sempre sembrare bravo a costo di copiare tutto dal vicino. Non accetta se gli si dice che ha sbagliato qualcosa, risponde all’adulto con insistenza che è giusto quello che ha fatto, fa dispetti ai compagni, loro si lamentano e lui subito “non è vero”..quando lo si rimprovera un po’ di più per qualche comportamento (ha rotto un oggetto, vuole correggere il voto dell’insegnante, litiga coi compagni..) a volte reagisce sbattendo il quaderno a terra e nascondendosi dietro ai cappotti in fondo all’aula, striscia a terra, una volta ha cercato di uscire dall’aula..e niente riesce a farlo tornare al banco al lavoro..quale può essere una strategia da usare? lo si lascia là ignorandolo per non rinforzare questi comportamenti che mi sembrano volti a venire compatito e fare l’offeso..? o cosa? grazie per l’attenzione

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Gentilissima,

Complimenti anzitutto per il suo interesse e la sua motivazione nel volersi impegnare a modificare gli atteggiamenti di questo bambino, che manifesta notevoli difficoltà di inserimento scolastico e di socializzazione. Credo però che lei non possa fare molto per lui se non coinvolge anche la famiglia, perché chiaramente questi comportamenti sono il sintomo di qualche malessere.

Occorrerebbe dunque capire meglio quali siano le reali condizioni di vita e i disagi familiari che vive attualmente il suo alunno, ma ancora più importante sarebbe comprendere se i genitori si rendono pienamente conto delle difficoltà del loro figlio a scuola e se siano o meno interessati a collaborare con lei per produrre qualche cambiamento.

La prima cosa da fare dovrebbe essere dunque quella di parlare con i familiari del bambino e cercare insieme a loro di mettere a punto un piano in cui scuola e famiglia possano fare ciascuno la propria parte. Per cominciare si potrebbe pensare a coinvolgere il bambino in un lavoro di gruppo, assegnandogli delle responsabilità, in modo che possa sentirsi amato ed apprezzato dall’insegnante e dai compagni di scuola ed accrescere così la sua autostima e le sue abilità sociali.

Dott.ssa Giuliana Proietti

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Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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  • 29 Dic 2008
  • Dr. Giuliana Proietti
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La sessualizzazione precoce dei bambini

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La sessualizzazione precoce dei bambini è un fenomeno preoccupante, che si riferisce alla tendenza di esporre bambini e adolescenti a contenuti, immagini e atteggiamenti di natura sessuale in modo prematuro e inappropriato. Questo fenomeno, amplificato dai media e dai social network, solleva interrogativi importanti sullo sviluppo psicologico, sociale e sessuale dei bambini, e su come tale esposizione possa influenzare la loro autostima, la percezione di sé e le loro relazioni interpersonali.

Quale è la differenza fra sessualità e sessualizzazione ?

  • La sessualità si sviluppa naturalmente, man mano che i bambini crescono, alimentata dalla curiosità e dall’auto-scoperta.
  • La sessualizzazione  riduce gli individui a meri oggetti sessuali, valutandoli esclusivamente per la loro apparenza fisica e l’aderenza a rigidi standard di bellezza (Collins et al, 2011).

Quando avviene la sessualizzazione?

L’ American Psychological Association afferma che la sessualizzazione avviene quando si verifica uno di questi quattro aspetti:

  • Il valore di una persona deriva esclusivamente dal comportamento sessuale o dal sex appeal, escludendo qualsiasi altra caratteristica;
  • Una persona è tenuta a uno standard specifico che identifica l’attrattiva fisica con l’essere sexy;
  • Una persona è sessualmente oggettivata (cioè valutata solo per l’uso sessuale altrui), invece di essere vista come qualcuno capace di agire in modo indipendente e prendere decisioni;
  • La sessualità è imposta a una persona in modo inappropriato, come nel caso della sessualizzazione dei bambini.

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Come avviene la sessualizzazione precoce dei bambini?

La sessualizzazione precoce dei bambini può avvenire in vari modi, tra cui l’esposizione a contenuti sessuali nei media, la rappresentazione dei bambini in abbigliamento o pose sessualmente suggestive, e l’introduzione prematura a discorsi o atteggiamenti adulti riguardanti la sessualità, come nei testi espliciti delle canzoni o nell’accesso illimitato alla pornografia su Internet.  

Vi sono state denunce di sessualizzazione dei bambini sui vari media?

Si. Diversi importanti tabloid e organi di stampa hanno dovuto affrontare accuse di sessualizzazione dei bambini. Ad esempio, un rapporto di Equality Now e End Violence Against Women (EVAW) ha monitorato 11 rinomati giornali nel 2012. Nel rapporto che hanno pubblicato di conseguenza, le organizzazioni hanno denunciato la copertura di un concorso di bellezza per bambini in molti tabloid, mostrando immagini inappropriate di giovani ragazze in bikini, costumi da bagno, trucco e tacchi (Cochrane, 2014).

Quali sono le cause della sessualizzazione precoce?

Tra i principali fattori che contribuiscono alla sessualizzazione precoce dei bambini vi sono:

  • Media e pubblicità: la costante esposizione a immagini sessualmente esplicite e stereotipi di genere in pubblicità, televisione e internet crea modelli di bellezza e comportamento per i bambini.
  • Social Media: data l’ampia diffusione dei social media, i bambini sono esposti a contenuti e messaggi che enfatizzano il valore dell’aspetto fisico e della sessualità.
  • Giocattoli: perfino i giocattoli possono avere un impatto sulla sessualizzazione dei bambini: le bambole, ad esempio, sono sempre più sessualizzate, con vestiti succinti e biancheria intima, oltre che trucchi per il make up.
  • Pressioni sociali e commerciali: il mercato della moda spesso propone ai bambini abbigliamento, accessori e prodotti con connotazioni adulte, favorendo l’idea di un’immagine sessualizzata anche tra i più piccoli. Gli effetti della pubblicità commerciale su bambini e adolescenti sono stati a lungo studiati e dimostrano come tale esposizione influisca sui valori e sulle aspettative sociali dei soggetti più giovani.

Cosa comporta la sessualizzazione precoce sul piano psicologico?

L’esposizione precoce a modelli sessualizzati può portare a una maggiore insoddisfazione corporea e a disturbi dell’immagine di sé, creando effetti collaterali come disturbi alimentari, scarsa autostima e depressione. Inoltre, la sessualizzazione precoce è stata associata all’auto-oggettivazione, ossia la tendenza a valutarsi principalmente in termini di apparenza fisica. Le ragazze, in particolare, sono vulnerabili a questa tendenza, che inizia spesso in età preadolescenziale. 

La sessualizzazione precoce può interferire con la sessualità?

Si. L’esposizione a contenuti sessualizzati può influenzare negativamente la comprensione della sessualità e delle relazioni intime, portando a una visione distorta delle dinamiche di potere e delle aspettative reciproche (APA Task Force on the Sexualization of Girls, 2007). Questa esposizione è preoccupante in quanto può influenzare negativamente lo sviluppo psicologico e la percezione delle relazioni, portando a visioni premature o distorte sulla sessualità.

Quali modelli di comportamento proposti dai media vengono considerati sessualizzanti?

Eccone alcuni esempi:

  • Indossare abiti che rivelano o espongono parti del corpo sessualizzate
  • Comportamenti di tipo animale (ad esempio, strisciare, fare le fusa)
  • Occupazione legata alla performance in cui l’aspetto è enfatizzato (ad esempio, ballerino di sottofondo, venditore di prodotti di bellezza)
  • Spostare, riposizionare, afferrare o altrimenti trattare fisicamente l’individuo come un oggetto piuttosto che come una persona
  • Toccamenti, baci, abbracci, carezze, ecc. di natura sessuale indesiderati.
  • Commenti su peso, perdita di peso, ingrassamento, ecc.

I bambini capiscono sempre questi messaggi?

No. Spesso i bambini non colgono gli elementi suggestivi a carattere sessuale che vengono presentati, ma possono comunque inconsapevolmente imitare i modelli appresi nella loro ricerca di approvazione, con il potenziale risultato di mettere in atto comportamenti inappropriati. Ad esempio, vestirsi in modo suggestivo per ottenere approvazione.

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Quali strategie utilizzare per prevenire questo fenomeno?

In primis è necessaria un’educazione sessuale che affronti in modo adeguato i temi della sessualità, dell’autostima e del rispetto reciproco. L’educazione sessuale deve essere orientata a rafforzare la capacità dei bambini di comprendere il proprio valore oltre l’aspetto fisico e a costruire relazioni sane.

Inoltre, è necessaria l’educazione dei giovani ai media, che porti a una comprensione critica della pubblicità e degli stereotipi di genere, il che può aiutare i bambini a sviluppare una visione più equilibrata di sé stessi.

È, infine,  importante promuovere modelli che valorizzino l’intelligenza, la capacità e le relazioni e non si fermino alla valutazione dell’aspetto esteriore. 

C’è una responsabilità anche dei genitori?

Si. Il sociologo canadese Richard Poulin, professore di sociologia presso l’Università di Ottawa ed autore di Sexualisation précoce et pornographie,  ha fatto giustamente osservare nel suo libro che se i ragazzi sono influenzati dalla pubblicità, dalle riviste, dalle celebrità, dal gruppo dei pari, dai social media ecc., tutto questo avviene anche perché i genitori lo permettono.

Infatti, nella società moderna, i bambini si comportano come adolescenti, gli adolescenti come adulti, mentre gli adulti sono spesso in piena crisi adolescenziale… Una grande confusione dei ruoli sociali e la completa perdita di punti di riferimento.

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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

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