Prima Conferenza sulla Psicoanalisi (1909)

Prima Conferenza sulla Psicoanalisi

Freudiana

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(Sopra: Worcester, 1909. In prima fila riconosciamo William James, terzo da sinistra e Jung e Freud, rispettivamente terzo e quarto da destra)

Premessa

Nel dicembre del 1908, il medico viennese Sigmund Freud (18561939) ricevette un interessante invito dallo psicologo americano G. Stanley Hall (18441924), che lo invitava a visitare la Clark University di Worcester, Massachusetts, e tenere una serie di conferenze che descrivevano le sue nuove teorie sulla psicologia.

L’invito era interessante per Freud, in parte perché proveniva da una delle figure più importanti e influenti della psicologia americana e un po’ perché era un’occasione irripetibile per spiegare le sue teorie ai migliori professori e studenti americani di psicologia e psichiatria.

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Freud tenne dunque cinque conferenze in cinque giorni consecutivi, da martedì 7 settembre a sabato 11. Le conferenze vennero tenute in lingua tedesca e senza alcun testo scritto.

Ogni mattina Freud faceva una passeggiata col suo collaboratore Ferenczi ed insieme decidevano gli argomenti di cui parlare. Nonostante queste apparenti limitazioni, le lezioni ebbero un grande successo. Il pubblico era multilingue in quanto molti medici avevano passato lunghi periodi in Europa per specializzarsi.

Nelle conferenze Freud rivelò pienamente la sua abilità di docente convincente e accattivante, infarcendo i suoi discorsi con piccole battute e riferimenti personali.

Le sue lezioni raccontavano la storia, in ordine più o meno cronologico, della sua teoria e tecnica. Esse furono pubblicate in tedesco nel 1910 in un piccolo volumetto che Freud dedicò a Stanley Hall, con sentita riconoscenza.

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PRIMA CONFERENZA

Sintesi

All’origine della psicoanalisi c’è il lavoro del dottor Josef Breuer sull’isteria. Freud ricorda che l’amico e collega Breuer scoprì che questa malattia, che la medicina tradizionale non poteva spiegare, aveva cause psichiche. Cita a testimonianza il famoso caso di Anna O. e ne descrive i sintomi. I primi sintomi della ragazza erano comparsi mentre era al capezzale del padre malato, in punto di morte. Breuer l’aveva sottoposta a ipnosi per farla parlare ( talking cure ). La ragazza soffriva di idrofobia, causata dalla vista di un cane che aveva bevuto da un bicchiere d’acqua e di disturbi agli occhi causati dalla ritenzione delle lacrime: Anna infatti non voleva essere vista da suo padre mentre piangeva. Freud conclude che “gli isterici soffrono di reminiscenze” e che “i loro sintomi sono residui e simboli di alcuni eventi (traumatici)” . I malati di isteria, si dice nel libro, sono prigionieri del loro passato, anche se hanno dimenticato le scene patogene all’origine della loro malattia.

Clinica della Timidezza

La prima conferenza si aprì con queste parole:

Signore e signori, provo una sensazione nuova e un certo turbamento nell’accingermi, nel Nuovo Mondo, a tenere una conferenza dinanzi a un uditorio attento e curioso. Suppongo di dovere questo onore soltanto al fatto che il mio nome viene collegato al tema della psicoanalisi, ed è quindi di psicoanalisi che mi propongo di parlarvi. Tenterò di presentarvi nel modo più conciso possibile una visione d’insieme dell’origine e del successivo sviluppo di questo nuovo metodo d’indagine e di cura. Se è un merito l’aver dato vita alla psicoanalisi, il merito non è mio. Non ho preso parte al suo primo avvio. Ero studente, impegnato nel dare gli ultimi esami, quando un altro medico viennese, il dottor Josef Breuer, applicò per la prima volta questo procedimento (dal 1880 al 1882) per curare una ragazza malata d’isteria. Ci occuperemo prima di tutto della storia di questo caso e del suo trattamento. La trovate diffusamente esposta negli Studi sull’isteria [1892-95], pubblicati più tardi da Breuer e da me.

Segue la descrizione del caso di Anna O.

Nel corso della sua malattia, protrattasi per oltre due anni, la paziente del dottor Breuer, una ragazza di ventun anni di elevate doti intellettuali, sviluppò una serie di disturbi somatici e psichici che ben meritavano d’esser presi sul serio. Ella presentava una paralisi da contrattura in entrambe le estremità del lato destro con insensibilità delle medesime; a intervalli la stessa affezione alle membra del lato sinistro; disturbi nei movimenti oculari e varie deficienze della funzione visiva; difficoltà nel portamento del capo; una intensa tosse nervosa; ripugnanza per il cibo e una volta, per parecchie settimane, incapacità di bere nonostante una sete tormentosa; riduzione della loquela, che giunse sino alla perdita della parola e della capacità di parlare o comprendere la propria madrelingua; infine stati di assenza, di confusione, delirio, alterazione di tutta la personalità, ai quali dovremo in seguito rivolgere la nostra attenzione.

A questo punto Freud, da bravo relatore, strizza l’occhio all’uditorio, per coinvolgerlo nella trattazione del caso, specificando che non si tratta di qualcosa che possano comprendere solo i medici (ed in effetti ad ascoltarlo in sala c’era solo una piccola minoranza di medici, come Freud ben sapeva).

Udendo parlare di un simile quadro clinico, sarete inclini a supporre, pur non essendo medici, che si tratti di un male grave, probabilmente del cervello, che offre scarse prospettive di guarigione e destinato a portare la paziente rapidamente alla fine. Tuttavia dovete essere pronti ad apprendere dai medici, che per una serie di casi, pure caratterizzati da manifestazioni patologiche così gravi, è giustificata una concezione diversa e di gran lunga più propizia. Se un quadro clinico di questo genere compare in una donna giovane dagli organi vitali interni (cuore, reni) normali all’esame obiettivo, la quale ha però subìto violente scosse emotive, e se i singoli sintomi, per certe caratteristiche particolari, divergono da ciò che ci si sarebbe aspettati, i medici sono inclini a non prendere il caso troppo sul serio. Affermano allora che non si tratta di una sofferenza organica del cervello, bensì di quello stato
misterioso, noto sin dai tempi della medicina greca come isteria, e che è in grado di simulare tutta una serie di immagini patologiche, tipiche di malattie anche gravi. Essi quindi non vedono in essa una minaccia per la vita e ritengono probabile il ristabilimento, anche completo, della salute. Non è sempre molto facile distinguere tale isteria da un grave male organico. Ma noi non abbiamo bisogno di sapere in che modo si operi una diagnosi differenziale di questo tipo; ci basti l’assicurazione che quello della paziente di Breuer è proprio uno dei casi in cui nessun medico esperto potrebbe fare a meno di diagnosticare l’isteria. A questo punto possiamo anche ricordare, dal resoconto clinico, che i suoi disturbi comparvero mentre curava il padre che amava teneramente, durante la grave malattia che lo portò alla morte, e che fu costretta ad abbandonarne l’assistenza in seguito alla propria malattia. Sino a questo punto ci è stato utile seguire i medici, ma fra poco ce ne separeremo. Infatti non dovete aspettarvi che le prospettive di un aiuto medico migliorino per il malato se la diagnosi d’isteria si sostituisce a quella di una grave affezione organica del cervello. Di fronte alle malattie gravi del cervello la scienza medica è, nella maggioranza dei casi, impotente; ma anche di fronte all’affezione isterica il medico non sa che cosa fare. Egli deve lasciare che la natura benigna decida quando e come la sua ottimistica prognosi si realizzerà.

Se il riconoscimento che si tratta di isteria non fa gran differenza per il malato, le cose cambiano invece molto per il medico. Possiamo notare come egli assuma di fronte al malato isterico tutt’altro atteggiamento da quello che assume di fronte al malato organico. Egli rifiuta di concedere al primo la stessa partecipazione che offre al secondo, perché pur essendo il suo male di gran lunga meno grave, sembra tuttavia avanzare la pretesa di essere preso altrettanto sul serio.

Vi sono però anche altre motivazioni. Il medico, che attraverso lo studio ha imparato a conoscere tante cose rimaste celate al profano, ha saputo crearsi intorno alle origini e alterazioni patologiche – per esempio riguardo al cervello di un malato colpito da apoplessia o da neoplasia – idee che fino a un certo grado non possono non corrispondere al vero, dal momento che gli consentono la comprensione delle singole particolarità del quadro clinico. Posto di fronte alle particolarità dei fenomeni isterici invece, tutta la sua scienza, tutta la sua preparazione anatomico-fisiologica e patologica non gli servono più a nulla. Non riesce a comprendere l’isteria, e di fronte ad essa è anch’egli un profano. Ora questo non garba certo a chi di solito fa tanto affidamento sulla propria scienza. Gli isterici dunque perdono la sua simpatia; egli li considera gente che trasgredisce le leggi della sua scienza, li guarda come i fedeli guardano gli eretici; li ritiene capaci di ogni sorta di malvagità, li accusa di esagerazione e di inganno intenzionale, di simulazione insomma; e li punisce sottraendo loro il suo interesse.

A questo punto della trattazione Freud spiega il trattamento che Breuer applicò alla sua paziente:

Si era notato che nei suoi stati di assenza, di alterazione confusionale della psiche, l’ammalata soleva mormorare fra sé alcune parole, le quali davano l’impressione di provenire da un contesto di pensieri che la teneva occupata. Fattosi dire queste parole, il medico traspose la paziente in una sorta di ipnosi, durante la quale le ripeteva di continuo le stesse parole per indurla ad allacciarvi qualcosa. L’ammalata acconsentì al tentativo e riprodusse così dinanzi al medico le creazioni psichiche che l’avevano dominata durante le assenze e che si erano tradite in quelle singole parole da lei pronunciate. Erano fantasie profondamente tristi, spesso poeticamente belle – noi le chiameremmo sogni a occhi aperti – che di solito avevano per spunto la situazione di una ragazza al capezzale del padre malato. Dopo aver raccontato un buon numero di tali fantasie, ella era come liberata e riportata alla vita psichica normale. Lo stato di benessere, che durava parecchie ore, cedeva poi il giorno dopo a una nuova assenza, che veniva eliminata nello stesso modo facendo pervenire a espressione le fantasie di recente formazione. Non ci si poteva sottrarre all’impressione che il mutamento psichico che si manifestava durante le assenze fosse una conseguenza del fascino che emanava da queste creazioni fantastiche colme di passione. La paziente stessa, che, stranamente, in quel periodo della sua malattia parlava e capiva soltanto l’inglese, diede a questo nuovo trattamento il nome di talking cure [cura della parola], definendolo anche, in modo scherzoso, chimney-sweeping [spazzare il camino].
Presto, come per caso, risultò che con siffatta pulizia della psiche si poteva ottenere ben più di una temporanea eliminazione degli stati di offuscamento psichico che si ripresentavano continuamente.

Era possibile altresì far scomparire del tutto alcuni sintomi del male, se si poteva far ricordare alla paziente sotto ipnosi, e con accompagnamento di espressione affettiva, in quale occasione e in virtù di quale connessione tali sintomi erano comparsi per la prima volta. “Eravamo in estate, vi era stato un periodo di caldo intenso, e la paziente aveva sofferto parecchio per la sete; infatti, senza che sapesse indicare un motivo, bere le era diventato tutto a un tratto impossibile. Prendeva in mano il bicchier d’acqua agognato, ma non appena lo avvicinava alle labbra, lo respingeva come un’idrofoba. Evidentemente, in quei pochi secondi, era in preda a un’assenza. Viveva soltanto di frutta, di meloni ecc., per mitigare la sete tormentosa.

Questo durava da circa sei settimane, quando avvenne che una volta in ipnosi ragionasse della sua dama di compagnia inglese, che non amava, e raccontò allora, visibilmente inorridita, che una volta era entrata nella sua stanza, e aveva visto il suo cagnolino, quella bestia ripugnante, bere da un bicchiere. Non aveva detto niente perché voleva essere gentile. Dopo avere poi ulteriormente sfogato energicamente la rabbia che le era rimasta dentro, chiese da bere, bevve senza inibizione una grande quantità di acqua e si svegliò dall’ipnosi col bicchiere alle labbra. Il disturbo con ciò era scomparso per sempre.”


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Freud interrompe la trattazione del caso di Anna O. per fare qualche considerazione sull’approccio clinico di Breuer.

Mi sia permesso d’intrattenervi per un momento su questa esperienza. Nessuno ancora aveva eliminato con simili mezzi un sintomo isterico ed era penetrato così a fondo nella comprensione della sua etiologia. Si sarebbe trattato di una scoperta ricca di conseguenze, ove fosse stato possibile confermare l’ipotesi che altri sintomi ancora, forse la maggioranza, erano sorti in tal modo nella malata e in tal modo potevano essere eliminati. Breuer non risparmiò alcuno sforzo per persuadersi di ciò, e ricercò da allora sistematicamente la patogenesi degli altri più gravi sintomi del male. Era realmente così: quasi tutti i sintomi erano sorti come residui – “sedimenti” si potrebbe dire – di esperienze cariche di affetto, che perciò più tardi abbiamo chiamato “traumi psichici”, e la loro singolarità trovava spiegazione nel rapporto con la scena traumatica che li aveva causati. Essi erano, per usare un termine tecnico, determinati dalle scene di cui rappresentavano i residui mnestici, e non era più necessario descriverli come produzioni arbitrarie o enigmatiche della nevrosi. Una sola deviazione dall’aspettativa dev’essere accennata. Il sintomo non era sempre il residuo di un’unica esperienza, perlopiù avevano cooperato a determinarlo moltissimi traumi ripetuti, spesso assai simili. Tutta questa concatenazione di ricordi patogeni doveva poi essere riprodotta in successione cronologica, e precisamente in successione inversa, l’ultimo per primo e il primo per ultimo, ed era del tutto impossibile inoltrarsi sino al primo trauma, spesso il più efficace, saltando quelli verificatisi in seguito.

Freud riprende la narrazione del caso clinico, aggiungendo dei particolari:

“Una volta si svegliò nella notte in grande angoscia al pensiero del malato con la febbre molto alta e nella tensione dell’attesa perché da Vienna doveva giungere un chirurgo per l’operazione. La madre si era allontanata per qualche tempo e Anna sedeva al letto del malato, il braccio destro appoggiato sullo schienale della sedia. Cadde in uno stato di dormiveglia e vide una biscia nera strisciare dalla parete avvicinandosi al malato per morderlo (è assai verosimile che nel prato dietro la casa ci fossero davvero delle bisce che avevano già in passato spaventato la fanciulla e che ora fornivano il materiale dell’allucinazione). Essa voleva respingere la bestia, ma si sentì come paralizzata; il suo braccio destro, pendendo dallo schienale della sedia, si era ‘addormentato’, era diventato anestetico e paretico, e nell’osservarlo le dita si trasformarono in serpentelli con tanti teschi (le unghie). È probabile che abbia cercato di scacciare le bisce con la mano destra, paralizzata, e che quindi l’anestesia e paralisi di questa si associassero con l’allucinazione dei serpenti. Quando la biscia scomparve, nel suo terrore cercò di pregare, ma ogni linguaggio le si rifiutava, non riusciva a parlare nessuna lingua, finché non trovò un versetto infantile inglese e poté allora pensare, e pregare, in tale idioma.”

A questo punto Freud parla di come lui applicava ai suoi pazienti le tecniche utilizzate dal Dr. Breuer.

Quando molti anni dopo cominciai ad applicare ai miei malati il metodo d’indagine e di terapia del dottor Breuer, feci esperienze che coincidevano perfettamente con le sue. Una signora di quarant’anni circa presentava un tic, un suono singolarmente schioccante ch’ella emetteva ad ogni emozione e anche senza motivo palese. Esso derivava da due esperienze, il cui elemento comune era stato il suo proponimento di non fare in quel momento alcun rumore e il fatto che proprio allora, come per una specie di controvolontà, quel rumore aveva rotto il silenzio in entrambe le occasioni: la prima, quando una volta era infine riuscita con fatica a far addormentare la sua bambina malata, dicendosi che doveva stare in assoluto silenzio per non svegliarla, e la seconda quando, durante una passeggiata in carrozza con i due figli, i cavalli si erano imbizzarriti durante un temporale, ed ella aveva voluto evitare accuratamente qualsiasi rumore per non spaventarli ancora di più.

Con il ricordo di questa scena nell’ipnosi venne eliminata anche la paralisi da contrattura al braccio destro, esistente dall’inizio della malattia, e il trattamento terminò.

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Freud comincia, a questo punto del discorso, a trarre le sue prime conclusioni:

Signore e signori, se mi consentite la generalizzazione, inevitabile del resto in un’esposizione così concisa, possiamo racchiudere le conoscenze sinora acquisite nella formula: i nostri malati isterici soffrono di reminiscenze.
I loro sintomi sono residui e simboli mnestici di determinate esperienze (traumatiche).

Essendo un appassionato di storia e di opere d’arte, anche in questo discorso di tipo medico-psicologico, fa le sue citazioni storiche, introducendo il concetto di simbolismo mnestico.

Un confronto con altri simboli mnestici in altri campi ci porterà forse a una comprensione più profonda di questo simbolismo. Anche le opere d’arte e i monumenti di cui adorniamo le nostre grandi città sono simboli mnestici di questo genere. Passeggiando per Londra trovate dinanzi a una delle maggiori stazioni della città una colonna gotica riccamente decorata, la Charing Cross. Nel tredicesimo secolo uno dei vecchi re Plantageneti fece trasferire a Westminster la salma della sua amata regina Eleonora, erigendo una croce gotica a ciascuna delle stazioni in cui la bara era stata deposta per terra; Charing Cross è l’ultimo dei monumenti destinati a perpetuare il ricordo di quel corteo funebre.

In un altro punto della città si può vedere un’alta colonna, di costruzione più recente, chiamata semplicemente “il monumento”. Essa sta a ricordare il furioso incendio che divampò in quella zona nel 1666, e che distrusse gran parte della città. Questi monumenti sono appunto simboli mnestici: e fin qui il paragone ci sembra giusto. Ma cosa pensereste di un londinese, oggi, che se ne stesse con aria triste davanti al monumento funebre della Regina Eleonora, invece di accudire ai suoi affari con quell’affaccendamento tipico della moderna condizione industriale o di spassarsela con la reginetta del suo cuore?
O di un altro, che davanti al “Monumento” gemesse sull’incendio della sua amata città, che da tempo è ormai ricostruita più splendente di prima? Ora, gli isterici e tutti i nevrotici si comportano proprio come questi due sprovveduti londinesi, non solo perché ricordano le tristi esperienze di un passato ormai lontano, ma anche perché ne sono profondamente affetti. Essi non possono sottrarsi al passato e, per esso, trascurano la realtà del presente. Tale fissazione della vita psichica al trauma patogeno è una caratteristica essenziale, e in pratica la più significativa della nevrosi.

Ancora una volta Freud si richiama direttamente all’uditorio, cercando di prevenire le possibili obiezioni di chi stava ascoltando le sue teorie.

Sono pronto ad ammettere l’obiezione che probabilmente state ora per formulare, ripensando alla storia clinica della paziente di Breuer. Infatti i suoi traumi risalivano al periodo in cui ella curava il padre malato e i suoi sintomi possono essere interpretati soltanto come segni mnestici della malattia e della morte di lui. Essi corrispondono dunque a un lutto, e una fissazione al ricordo del defunto a così breve distanza dalla sua morte non ha certamente nulla di patologico, corrisponde piuttosto a un normale processo sentimentale.

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Finora, dice Freud, abbiamo spiegato soltanto il rapporto fra i sintomi isterici e la biografia della malata; da altri due elementi dell’osservazione di Breuer però si possono desumere indicazioni sul modo in cui si dovrebbero interpretare il processo della malattia e della guarigione. E spiega:

In primo luogo occorre rilevare che in quasi tutte le situazioni patogene la malata di Breuer doveva reprimere un forte eccitamento, anziché permetterne il deflusso attraverso i segni d’affetto, le parole e le azioni adeguate. Nell’episodio del cane della sua dama di compagnia, per riguardo a questa, ella aveva represso ogni manifestazione della sua intensissima ripugnanza; mentre vegliava al capezzale del padre, era costantemente preoccupata di non far trapelare al malato nulla della sua angoscia e del suo doloroso scoramento.
Quando più tardi riprodusse le stesse scene dinanzi al suo medico, l’affetto inibito a quell’epoca comparve con particolare violenza, come se fosse stato tenuto in serbo sino a quel momento. Anzi, il sintomo che era sopravvissuto a questa scena acquistò la sua massima intensità mentre ci si avvicinava all’esperienza che lo aveva originato, per scomparire dopo che questa fu completamente chiarita. D’altra parte si poté sperimentare che il ricordo della scena alla presenza del medico rimaneva senza efficacia se per una ragione qualsiasi esso veniva riprodotto senza sviluppo di affetti. Il destino di questi affetti, che si potevano considerare come grandezze spostabili, era dunque determinante sia per la malattia sia per la guarigione. Ci si vedeva spinti a supporre che la malattia fosse insorta perché agli affetti sviluppati nelle situazioni patogene era sbarrata una via d’uscita normale, e che l’essenza della malattia consistesse nel fatto che questi affetti “incapsulati” sottostavano ora a un impiego abnorme. In parte essi continuavano a sussistere come oneri permanenti della vita psichica e fonti di continuo eccitamento per la stessa; in parte subivano una trasposizione in innervazioni e inibizioni somatiche inconsuete, che si presentavano come i sintomi somatici del caso. Per quest’ultimo processo abbiamo coniato il termine di “conversione isterica”. Una certa parte del nostro eccitamento psichico è del resto già normalmente indirizzata sulle vie dell’innervazione somatica, e produce ciò che conosciamo come “espressione delle emozioni”. Ora, la conversione isterica esagera questa parte del deflusso di un processo psichico affettivamente investito; essa corrisponde a un’espressione molto più intensa delle emozioni, avviata su nuove vie. Quando il letto di un fiume si divide in due canali, se la corrente di uno dei due incontra un ostacolo si avrà immediatamente un soverchio riempimento dell’altro.

Ed eccolo arrivato al punto: l’isteria è una malattia psicologica, non organica.

Come vedete, stiamo per giungere a una teoria puramente psicologica dell’isteria, in cui assegniamo il primo posto ai processi affettivi.

E veniamo alla terapia ipnotica e agli stati di coscienza:

Ponendola in ipnosi, era possibile, con l’impiego di una considerevole fatica, richiamare alla sua memoria quelle scene e mediante tale lavoro di rievocazione eliminare i sintomi. Interpretare questo dato di fatto sarebbe molto imbarazzante se gli esperimenti e le ricerche dell’ipnotismo non ci avessero indicato la via. Attraverso lo studio dei fenomeni ipnotici ci siamo abituati alla concezione, inizialmente sorprendente, che in uno stesso individuo sono possibili più raggruppamenti psichici, i quali possono rimanere abbastanza indipendenti tra loro, “nulla sapendo” gli uni degli altri e impadronendosi alternativamente della coscienza. Casi del genere, che si definiscono di double conscience [doppiacoscienza], giungono ogni tanto all’osservazione anche spontaneamente.
Quando in una simile scissione della personalità la coscienza rimane legata costantemente a uno dei due stati, chiamiamo questo stato psichico conscio,quello che è staccato da esso, inconscio. Nei noti fenomeni della cosiddetta suggestione postipnotica, in base ai quali un ordine dato nell’ipnosi si fa imperiosamente valere nello stato normale successivo, abbiamo un ottimo esempio degli influssi che lo stato conscio può subire per opera dello stato che per esso è inconscio; è appunto seguendo questo modello che riusciamo a sistematizzare le esperienze sull’isteria. Breuer si decise ad ammettere che i sintomi isterici fossero sorti in siffatti stati psichici particolari, ch’egli definì ipnoidi. Gli eccitamenti che sopravvengono in simili stati ipnoidi diventano
facilmente patogeni, perché questi stati non offrono le condizioni di un normale deflusso dei processi d’eccitamento. Dal processo d’eccitamento nasce dunque un prodotto insolito, il sintomo appunto, e questo irrompe
come un corpo estraneo nello stato normale, al quale viene perciò a mancare la conoscenza della situazione patogena ipnoide. Dove esiste un sintomo, ivi si trova pure un’amnesia, una lacuna mnestica, e colmare questa lacuna significa eliminare le condizioni d’insorgenza del sintomo.

Ancora una strizzatina d’occhio all’uditorio non medico:

Temo che questo brano della mia esposizione non sia parso molto trasparente. Siate però indulgenti, si tratta di concezioni nuove e difficili che forse non possono essere chiarite molto meglio; il che prova che non siamo ancora molto progrediti nelle nostre conoscenze.

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Sebbene, fino a questo punto, Freud abbia indicato Breuer come suo maestro, ecco il passo in cui lui e la sua psicoanalisi vengono affrancati da questo ingombrante marchio d’origine:

Del resto l’enunciazione breueriana degli stati ipnoidi si è rivelata paralizzante e superflua ed è stata lasciata cadere dalla psicoanalisi odierna. Udirete in seguito, almeno per accenni, quali influssi e quali processi vi fossero da scoprire dietro la barriera degli stati ipnoidi eretta da Breuer. A buon diritto avrete inoltre avuto l’impressione che la sua indagine non abbia saputo offrire se non una teoria molto incompiuta e una spiegazione insoddisfacente dei fenomeni osservati; ma le teorie perfette non cadono dal cielo e a maggior ragione diffiderete di chi, sin dall’inizio delle sue osservazioni, pretende di offrirvi una teoria priva di lacune e completa in ogni sua parte. Tale teoria sarà di certo solo parto della personale speculazione di chi la espone e non il frutto di un’indagine spregiudicata dei dati di fatto.

A cura di Dr. Giuliana Proietti

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Ma veniamo alla seconda conferenza, del giorno dopo.

Fonti:
Donn L., Freud e Jung, Leonardo
Ellenberger, La scoperta dell’inconscio, Boringhieri
Freud, Cinque Conferenze sulla psicoanalisi, Boringhieri


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