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Quando Jung spiegò cosa lo differenziava da Freud

Quando Jung spiegò cosa esattamente lo differenziava da Freud

Quando Jung spiegò cosa esattamente lo differenziava da Freud

Freudiana

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Io non sono un oppositore di Freud, benché sia stato presentato sotto questo aspetto dalla sua miopia e da quella dei suoi allievi. Nessun psicoterapeuta esperto può negare di aver incontrato almeno dozzine di casi che corrispondono esattamente alle descrizioni di Freud. Con la confessione di quanto ha scoperto in se stesso, Freud ha collaborato alla nascita di una grande verità umana. Egli ha dedicato la sua vita e la sua energia alla costruzione di una psicologia che è la formulazione del suo essere stesso.

Il nostro modo di considerare le cose è condizionato a ciò che siamo: gli individui di diversa costituzione vedono diversamente le cose e diversamente esprimono se stessi. Adler, uno dei primi allievi di Freud, ne è un esempio. Lavorando con lo stesso materiale di Freud, egli raggiunse un punto di vista totalmente diverso. Il suo modo di vedere è almeno altrettanto convincente quanto quello di Freud, poiché egli pure rappresenta un tipo psicologico ben conosciuto. So bene che i seguaci di entrambe le scuole asseriscono apertamente che io sono nell’errore, ma spero che la storia e tutte le persone assennate mi daranno ragione.

Relazione La sessualità femminile fra sapere e potere

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Convegno Diventare Donne
18 Marzo 2023, Castelferretti Ancona
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In ogni caso, la psicologia di Freud non è una psicologia sana, ed inoltre – e questo è sintomo di morbosità – è basata su una visione del mondo inconscia, che non è stata sottoposta ad una critica esauriente, il che porta a restringere notevolmente il campo dell’umana esperienza e comprensione. È stato un grande errore da parte di Freud, il volgere le spalle alla filosofia. Non critica mai le sue premesse, e neppure le ipotesi che sono alla base del suo punto di vista personale; e questo proviene da quanto ho espresso nelle mie precedenti osservazioni, poiché se egli avesse esaminato con senso critico le sue ipotesi, non avrebbe mai messo in luce, come ingenuamente ha fatto nel suo libro Interpretazione dei sogni, il suo particolare atteggiamento mentale.

Comunque si sarebbe fatto un’idea delle difficoltà con le quali io mi sono incontrato. Io non ho mai rifiutato l’agrodolce bevanda della critica filosofica, ma l’ho sorseggiata con precauzione un poco alla volta. Troppo poco, diranno i miei oppositori; anche troppo, per conto mio. Troppo facilmente l’autocritica avvelena la spontaneità, inestimabile ricchezza o, per meglio dire, dote indispensabile ad ogni mente creativa. In ogni modo, il criticismo filosofico mi ha aiutato a rendermi conto che ogni psicologia, la mia inclusa, ha il carattere di una confessione soggettiva. Ma io debbo impedire ai miei poteri critici di distruggere la mia capacità creativa.

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So bene che ogni parola che pronunzio porta in sé qualcosa di me stesso, del mio unico e particolare Io, con la sua particolare storia e col suo particolare mondo. Perfino quando tratto dati empirici, necessariamente mi trovo a parlare di me stesso. Ma solo accettando ciò come cosa inevitabile posso servire la causa della conoscenza dell’uomo sull’uomo, la causa che anche Freud desidera servire, e che, malgrado tutto, ha servito.

La conoscenza poggia non solo sulla verità, bensì anche sull’errore. Io mi rendo conto del carattere soggettivo di ogni dottrina psicologica prodotta dalla mente di un uomo; e questo è forse il punto di più netta separazione tra Freud e me. Un’altra differenza tra noi mi sembra consista in questo, che io cerco, nella mia concezione del mondo, di liberarmi da ogni premessa incosciente e quindi non criticabile. Dico “io cerco”, poiché chi può liberarsi da tutte le sue ipotesi inconsce? Cerco di difendermi, almeno, dai più grossolani pregiudizi e sono perciò incline a riconoscere tutti i possibili “credo”, purché agiscano sulla psiche umana.

Non dubito che gli istinti naturali siano forze di propulsione nella vita umana, sia che li chiamiamo “libido”, sia che li chiamiamo volontà di potenza: ma neppure dubito che questi istinti urtino contro lo spirito; ché essi sono continuamente in conflitto con qualche cosa, e questo qualche cosa perché non dovrebbe chiamarsi spirito? Sono ben lungi dal sapere che cosa sia lo spirito per se stesso, ed altrettanto lontano dal sapere che cosa siano gli istinti.

L’uno è per me un mistero, tanto quanto gli altri, e quindi sono incapace di spiegare l’uno come un errore degli altri; perché non è un errore il fatto che la terra ha solo una luna. Non vi sono errori nella natura; essi si trovano solo in quel regno che l’uomo chiama intelletto. Istinti e spirito sono in ogni caso al di là della mia comprensione. Sono termini che noi usiamo per esprimere forze potenti, la cui natura ci è sconosciuta.

Come si può constatare, io attribuisco un valore positivo a tutte le religioni, nei cui contenuti dottrinali riconosco quelle figure che già ho incontrato nei sogni e nelle fantasie dei miei pazienti.

Nella loro morale scorgo uno sforzo analogo a quello fatto dai miei pazienti, quando, guidati dalla loro intuizione o dalla loro ispirazione, cercano il modo adeguato per trattare le forze della loro psiche. Cerimonie e funzioni, riti, iniziazioni e pratiche ascetiche, in ogni loro forma e varietà, mi interessano come metodi e tecniche per venire in contatto con queste forze.


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Per la stessa ragione attribuisco un valore positivo alla biologia e all’empirismo delle scienze naturali in genere, poiché in esse vedo uno sforzo erculeo fatto allo scopo di comprendere la psiche umana, accostandosi ad essa dal mondo esterno.

Considero le religioni gnostiche imprese altrettanto prodigiose compiute in direzione opposta: cioè, come un tentativo di raggiungere la conoscenza del cosmo per via interiore. Nella mia visione del mondo vi è un vasto regno esteriore, ed un altrettanto vasto regno interiore; tra questi due, rivolto ora all’uno, ora all’altro, sta l’uomo, che secondo il suo stato d’animo o la sua disposizione considera ora l’uno ora l’altro come verità assoluta, negando o sacrificando l’uno a favore dell’altro.

Questo quadro è un’ipotesi, certo, ma un’ipotesi cosí preziosa che non vi rinuncio. È verificabile a parer mio euristicamente ed empiricamente; e per di piú è sostenuto dal consensus gentium. Questa ipotesi, certamente, mi viene da una fonte interiore, anche se io immagino di esservi giunto per mezzo dell’esperienza. Da essa sono stato condotto alla teoria dei tipi ed anche alla conciliazione di punti di vista tanto diversi, come i miei propri e quelli di Freud.

Vedo in ogni avvenimento il gioco degli opposti, e da questa concezione deriva la mia idea sulla energia psichica. Ritengo che l’energia psichica provenga da coppie di contrari, cosí come l’energia fisica presuppone differenze di potenziale, cioè coppie di contrari quali il caldo e il freddo, l’alto e il basso, ecc.

Freud cominciò a rappresentare la sessualità come l’unico potere psichico che anima l’uomo, e solo dopo la mia rottura con lui egli concesse uguale importanza anche alle altre attività psichiche. Da parte mia, sotto questo concetto di energia, ho racchiuso i vari impulsi e le varie forze psichiche allo scopo di evitare l’arbitrarietà di una psicologia che tratti soltanto di impulsi. Perciò parlo non di impulsi e forze separate, ma di “intensità di valutazione”.

Ma, come ho detto, non penso di negare l’importanza della sessualità nella vita psichica benché Freud ostinatamente sostenga che io l’abbia negata. Ciò che cerco, è di frenare la troppo estesa terminologia sessuale, che minaccia di viziare ogni discussione sulla psiche umana; desidero porre la sessualità al suo posto giusto. Il senso comune ci riporterà a vedere nella sessualità soltanto uno degli istinti della vita, soltanto una delle funzioni psico-fisiologiche, per quanto essa sia, senza dubbio, una delle piú estese ed importanti. Che avverrebbe, se non potessimo piú mangiare? Indubbiamente v’è oggi un evidente disordine nel campo della vita sessuale ed è cosa nota che, quando abbiamo un forte mal di denti, non possiamo pensare ad altro se non ad esso.

La sessualità che Freud descrive è certamente quell’ossessione sessuale che si incontra ogni qualvolta il paziente ha bisogno di essere liberato o distolto da un’attitudine o situazione errata. Si tratta di una specie di sessualità ingorgata, che però si riduce subito a proporzioni normali, non appena le venga aperta una via di esplicazione.

Essa si trova nei vecchi rancori verso i genitori ed i parenti ed in certi opprimenti legami affettivi dovuti a determinate situazioni familiari, che spesso ostacolano le energie vitali. Ed è proprio questo l’ostacolo, che si nota infallibilmente in quel tipo di sessualità che è detto infantile. Non è una vera e propria sessualità, ma uno sfogo non naturale di tensioni che appartengono completamente ad un’altra sfera della vita.

Il desiderio sessuale nella donna infertile
Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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Ciò posto, quale utilità v’è nello sguazzare per questi pantani? Sicuramente, avendo una giusta visione delle cose, bisogna ammettere che è assai piú utile aprire dei canali di drenaggio. Mutando la nostra attitudine o assumendo nuovi modi di vita, noi dobbiamo trovare quella differenza di potenziale che la suddescritta energia richiede. Se ciò non si ottiene, verrà a crearsi un circolo vizioso, ed è questa in vero la minaccia che presenta la psicologia freudiana. Essa non indica nessuna via che conduca al di là del ciclo inesorabile degli eventi biologici.

Tale disperata situazione porterebbe ad esclamare con Paolo: “Miserabile uomo che sono, chi mi libererà da questo corpo di morte?” Qui l’uomo intellettuale si avanza scuotendo la testa, e dice con le parole di Faust: “Tu sei conscio solo di un unico impulso”. Cioè del legame carnale che risale al padre e alla madre, o discende ai figli nati dalla nostra carne; incesto col passato, incesto col futuro, il peccato originale si perpetua nella situazione familiare.

Nulla v’è che possa liberarci da questo legame, se non quella esigenza vitale che sta agli antipodi: lo spirito. Non sono i figli della carne ma i “figli di Dio”, che conoscono la libertà. Nel tragico romanzo di Ernesto Barlach sulla vita familiare, Der tote Tag, il demone materno dice alla fine: “La cosa strana è che l’uomo non vuole apprendere che Dio è suo padre”.

Questo è ciò che Freud e coloro che condividono il suo punto di vista non vogliono apprendere, o tutt’al piú bisogna ammettere che essi non trovano la chiave che li porta a tale conoscenza.

La teologia non aiuta coloro che cercano tale chiave, poiché la teologia richiede la fede e la fede non si può creare; essa è nel senso piú vero della parola, un dono della grazia. Noi moderni ci troviamo ad affrontare la necessità di riscoprire la vita dello spirito, dobbiamo farne in noi stessi nuovamente l’esperienza. Cosí soltanto possiamo rompere l’incanto che ci lega al ciclo degli eventi biologici.

La mia posizione, a questo riguardo, rappresenta il terzo punto di divergenza tra Freud e me. Ed è per essa che mi accusano di misticismo. Ma non sono io il responsabile del fatto che l’uomo abbia, ovunque e sempre, spontaneamente sviluppato forme religiose, e che, da tempi immemorabili, idee e sentimenti religiosi abbiano pervaso l’anima umana. Chi non vede questo aspetto dell’anima umana è cieco, e chi vuol liberarsene con una spiegazione razionale non ha il senso dei fatti.

Oppure dobbiamo scorgere, nel complesso paterno che è evidente in tutti i membri della scuola freudiana come anche nel suo fondatore, una prova convincente, degna di essere menzionata di una liberazione dall’inesorabile situazione familiare?

Questo “complesso paterno”, fanaticamente difeso con tanta caparbia ipersensibilità, è una malintesa funzione religiosa, è una forma di misticismo, espresso nei termini della biologia e dei rapporti familiari. In quanto all’idea di Freud sul super-Io, essa è un tentativo nascosto di mascherare, con l’abito della teoria psicologica, l’immagine di Dio. In tal caso sarebbe meglio parlare apertamente.

Da parte mia preferisco chiamare le cose col nome sotto il quale sono sempre state conosciute. Non dobbiamo fare girare la ruota della storia in senso inverso e non dobbiamo disconoscere l’avanzare dell’uomo verso la vita spirituale, che cominciò colle primitive iniziazioni.

È concesso alla scienza di dividere il suo campo di ricerca e di fare ipotesi limitate, giacché la scienza deve lavorare in questo modo; ma la psiche umana non deve essere divisa in piccole parti. Essa è un tutto unico che abbraccia la coscienza ed è origine e condizione della coscienza. Il pensiero scientifico, che è soltanto una delle sue funzioni, non può soddisfare tutte le possibilità della vita.

Il medico dell’anima deve evitare di guardare esclusivamente attraverso le lenti della patologia, non deve mai dimenticare che l’anima malata è ciò non di meno un’anima umana, e che, nonostante la sua malattia, essa è incoscientemente parte della complessiva vita psichica dell’umanità. Egli deve persino giungere ad ammettere che l’io è malato, per la precisa ragione che esso è tagliato fuori dall’insieme della psiche, ed ha perso il suo rapporto sia con l’umanità che con lo spirito.

Dr. Giuliana Proietti Tel 347 0375949
Dr. Walter La Gatta   Tel 348 3314908

L’io è invero il “luogo del timore”, come dice Freud nel Das Ich und das Es; ma solo fino a quando esso non è tornato al “Padre” e alla “Madre”. Freud naufraga sulla questione di Nicodemo: “Può un uomo rientrare nel grembo materno e rinascere?”

Volendo confrontare cose piccole con cose grandi potremmo dire che la storia qui si ripete sotto l’aspetto di una disputa nel campo della moderna psicologia. Per migliaia di anni i riti iniziatici ci hanno insegnato la rinascita spirituale, eppure, cosa abbastanza strana, l’uomo dimentica sempre nuovamente il senso della divina procreazione; il che evidentemente non dimostra una forte vita spirituale, ma la pena di tale incomprensione è grave, poiché consiste nientemeno che nel decadimento nervoso, nell’inasprimento, nell’atrofia e nella sterilità. È facile scacciare lo spirito fuori dalla porta, ma allora la vita diviene insulsa, la Terra perde il suo “sale”.

Fortunatamente abbiamo la prova che lo spirito rinnova sempre la sua forza, per il fatto che l’insegnamento fondamentale delle antiche iniziazioni è tramandato da generazione a generazione. Ci sono ancor sempre esseri umani i quali comprendono cosa s’intenda per Dio nostro padre. L’equilibrio della carne e dello spirito non è andato perso nel mondo.

Il contrasto tra Freud e me risale alle differenze essenziali delle nostre premesse fondamentali. Le premesse sono inevitabili, e perciò è erroneo il far credere di non averne. Ecco perché ho trattato problemi fondamentali; solo prendendo questi come punto di partenza, si possono meglio comprendere le molteplici e dettagliate differenze tra i nostri due punti di vista. (1929)

A cura di Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
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Carl G. Jung, Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, Einaudi

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Leggi anche, sulla fine del rapporto fra Freud e Jung:

Jung: quando e perché decise di allontanarsi da Freud
1912 Freud soffre per l’allontanamento di Jung
1912: secondo svenimento pubblico di Freud
Quando Jung spiegò cosa esattamente lo differenziava da Freud
Freud-Jung: ultima corrispondenza di fuoco
Quando Freud fu abbandonato da Adler, Stekel e Jung
Le differenze fra Freud e Jung

 

Giuliana Proietti
Dr. Giuliana Proietti

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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

Per appuntamenti:
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Interventi psicoterapeutici via Internet

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Articolo datato

Negli ultimi anni sono molto aumentati i trattamenti psicoterapeutici condotti via Internet ed è stata effettuata anche molta ricerca, per cercare di capire se queste terapie online sono realmente efficaci e se producono risultati simili alla tradizionale terapia faccia-a-faccia.  (Barak, Hen, BonielNissim & Shapira, 2008; Spek et al., 2007).

La ricerca ci dice che i disturbi psicologici riguardano il 47,4% della popolazione, ma che solo una piccola percentuale di persone ricevono effettivamente un trattamento (Kessler et al., 2009). Si spera dunque che attraverso l’uso delle nuove tecnologie sarà possibile pensare a degli interventi per un numero maggiore di persone, in modo flessibile e facilmente accessibile. Molte persone infatti non possono curarsi per carenza di terapeuti qualificati per il proprio problema, lunghe liste di attesa, o il fatto di vivere in zone rurali.

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I trattamenti via Internet comportano peraltro anche una riduzione dei costi e un livello inferiore di ansia nell’approccio con il terapeuta, il che è particolarmente vantaggioso per disturbi come la fobia sociale, che è caratterizzata da una combinazione di elevata prevalenza e scarsa richiesta di trattamento (Kessler, 2003; Newman, Erickson, Przeworski, & Dzus, 2003).

I trattamenti basati su Internet devono anzitutto essere distinti fra quelli in cui  Internet è utilizzato per comunicare o per fornire informazioni. Esistono infatti:

(A)  programmi non guidati di auto-aiuto basati sul Web che utilizzano Internet come mezzo di somministrazione,
(B) approcci guidati di auto-aiuto basati su Internet, in cui la presentazione di un programma di auto-aiuto via Web si combina con contatti regolari con un terapeuta,
(C) terapie basate su Internet, come e-mail, chat o videoconferenze, in cui Internet viene utilizzato solo per scopi di comunicazione.

Gli interventi che si svolgono via Internet e che includono il contatto con il  terapeuta possono essere ulteriormente divisi in quelli che si svolgono in tempo reale (ad esempio, faccia a faccia, chat, video, telefono) o in differita (ad esempio, e-mail).

La maggior parte dei trattamenti psicoterapeutici via Internet si basano su modelli cognitivo-comportamentali (Andersson, 2009), ma sono stati valutati anche altri approcci come quelli psicodinamici (Andersson et al, 2012;. Donker et al. 2013;. Meyer et al, 2009).

Il desiderio sessuale nella donna infertile
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Un recente sviluppo è l’uso di trattamenti di transdiagnostica che affrontano il problema della comorbilità  (Titov et al, 2011; Johansson et al, 2012; Berger, Böttcher, e Caspar, 2014)  e che hanno l’obiettivo di trovare elementi comuni nelle diverse patologie. Vi sono poi i trattamenti su misura, che non utilizzano lo stesso protocollo per tutti i pazienti, ma adattano individualmente il materiale di auto-aiuto per la sintomatologia presente in uno specifico paziente.

La maggior parte delle ricerche si è occupata di trattamenti di auto-aiuto guidati, in cui la componente principale dell’intervento era un programma di auto-aiuto via Web. Tali programmi sono in genere organizzati in una serie di lezioni o moduli che includono esercizi e compiti a casa. Mentre i pazienti si impegnano nel seguire il programma, i terapeuti li assistono e li sostengono.

La quantità di contatto tra pazienti e terapeuti  varia da un progetto ad un altro. Tuttavia, la maggior parte degli interventi riguarda scambi limitati col terapeuta, spesso via e-mail, per abbreviare il tempo delle sedute faccia-a-faccia. Spesso, questi interventi consistono in una osservazione settimanale dei pazienti per valutare i loro comportamenti e i loro progressi nel programma di auto-aiuto. I terapeuti cercano di motivare e rafforzare il lavoro indipendente dei pazienti e di fornire loro un riferimento temporale che corrisponda più o meno alla programmazione settimanale della terapia faccia a faccia.


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Molti studi  hanno dimostrato l’efficacia di questi trattamenti rispetto ai gruppi di controllo, soprattutto per i disturbi d’ansia e di depressione (Hedman, Ljótsson, e Lindefors, 2012.), fobia sociale (Andersson et al., 2006; Berger, Hohl, e Caspar, 2009a; Botella et al., 2010; Carlbring, Bohman, et al, 2006a.; Carlbring, Furmark, et al., 2006b; 2007; Titov, Andrews, Schwencke, Drobny e Einstein,
2008C; Titov, Andrews & Schwencke, 2008), disturbo da attacchi di panico (Carlbring, Bohman, et al, 2006;. Carlbring, Ekselius, e Andersson, 2003; Carlbring, Furmark, et al, 2006b.; Klein & Richards, 2001; Klein, Richards, e Austin, 2006), disturbo  post-traumatico da stress (Hirai & Clum, 2005; Knaevelsrud & Maercker, 2007; Lange, van den Ven, Schrieken, e Emmelkamp, 2001; Lange et al., 2003), e disturbo d’ansia generalizzato (Robinson et al., 2010). Nella maggior parte di questi studi, si è proceduto a somministrare ai pazienti un programma computerizzato, in cui erano previsti brevi ma regolari contatti con il terapeuta.

Per quanto riguarda i disturbi d’ansia, varie modalità di trattamento hanno dimostrato la loro efficacia, indipendentemente dal fatto che vengano somministrate via Internet (cioè con un programma di auto-aiuto web-based e supporto via e-mail aggiuntivo attraverso un terapeuta) o con mezzi più tradizionali di comunicazione (vale a dire, con un libro di auto-aiuto e telefonate aggiuntive da parte di un terapeuta) come è stato recentemente confermato anche in una meta-analisi (Cuijpers, Donker, van Straten, e Andersson, 2010) o con la sola, tradizionale, terapia faccia a faccia (Andersson et al, 2013; Hedman et al, 2011).

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Negli approcci guidati l’importanza e la necessità del sostegno dato dal terapeuta meritano particolare attenzione. I risultati di una meta-analisi di Spek et al. (2007) (confermata  da Richards & Richardson, nel 2012) ha suggerito infatti che i programmi di auto-aiuto, tra cui gli interventi di sostegno, sono sempre più efficaci dei programmi senza sostegno. Inoltre, si è constatato che negli interventi senza sostegno, l’abbandono è notevolmente superiore agli interventi con il sostegno psicologico e che vi è scarsa aderenza al trattamento (Spek et al., 2007).

Una recente review sistematica degli interventi via Internet per curare la depressione ha concluso che qualsiasi contatto con il terapeuta, ivi compreso un contatto prima del trattamento, può migliorare i risultati (Johansson & Andersson, 2012). I terapeuti peraltro possono essere molto utili nell’aiutare i pazienti ad accedere ad altri servizi necessari, come i servizi di pronto intervento, o ad altre forme di trattamento (ad esempio la terapia faccia-a-faccia; Andersson & Titov, 2014) .

Un’importante limitazione di questi studi è che essi per la maggior parte sono stati condotti in contesti di ricerca universitari, con i partecipanti reclutati fra gli studenti. Tuttavia, in una recente review si è visto che il risultato resta confermato anche quando il trattamento viene trasferito in ambienti clinici regolari (Andersson & Hedman, 2013).

Un altro limite è che la comunicazione basata su Internet non è mai completamente sicura.

Diversi studi hanno valutato l’alleanza terapeutica negli interventi di psicoterapia via Internet. Dalle indicazioni fornite dai pazienti si può dire che i trattamenti via Internet tendono a generare una forte alleanza terapeutica. Tuttavia, i risultati sulla associazione della alleanza terapeutica e l’esito sono meno consistenti: Ci sono alcuni studi in cui l’Alleanza online ha predetto risultato efficaci (ad esempio Wagner, Schulz, e Knaevelsrud, 2012) e altri in cui non è stato trovato alcun rapporto tra alleanza terapeutica e efficacia del trattamento  (ad esempio, Andersson et al., 2012).

Una Conferenza sulla Paura

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Un recente studio si è occupato degli effetti collaterali negativi di un intervento via Internet per il disturbo d’ansia sociale (Boettcher et al., 2014). In questo studio 19 (14%) su 133 partecipanti hanno segnalato effetti negativi successivi al trattamento, con l’emergere di nuovi sintomi. Anche se la maggior parte degli effetti collaterali descritti ha avuto solo un effetto temporaneo, la ricerca deve tenere molto in conto questi effetti negativi, che devono essere studiati sistematicamente.

I  temi che la ricerca dovrebbe ulteriormente indagare riguardano:

(A) come funzionano i trattamenti via Internet e su chi,
(B) come i trattamenti via Internet possono e devono essere diffusi e implementati nelle cure sanitarie regolari,
(C) come gli interventi via Internet possono essere combinati con i trattamenti faccia a faccia per migliorarne l’efficacia

La ricerca dovrebbe quindi passare da una fase di legittimazione (Il trattamento via Internet funziona?) a una prescrittiva (in quali casi sono indicati gli interventi via Internet? Come funzionano? Come dovrebbero essere attuati ?)

Un dato interessante emerso finora è che l’attività on-line e il tempo trascorso nel programma di auto-aiuto durante la prima settimana di trattamento sembrano essere significativamente associati con l’esito del trattamento (Berger et al., 2011).

Il trattamento via Internet può riguardare anche un approccio di cura graduale (ad esempio, i pazienti possono iniziare con un intervento via Internet per poi passare a terapie faccia a faccia  se il trattamento via Internet non mostra effetti soddisfacenti).

Anche l’accesso ad un forum di discussione online può essere efficace. Infatti, la condivisione di esperienze di dare e avere con altri partecipanti può compensare il limitato intervento terapeutico (Berger & Caspar, 2008).

E’ probabile che in futuro i terapeuti trascorreranno dunque sempre maggiore tempo per condurre i loro interventi terapeutici on-line, pur continuando naturalmente a svolgere le tradizionali sedute di terapia faccia a faccia.

Dr. Walter La Gatta



Fonti:

Thomas Berger  Franz Caspar, Robert Richardson, Bernhard Kneubühler,
Daniel Sutter, Gerhard Andersson, Internet-based treatment of social phobia: A randomized controlled trial comparing unguided with two types of guided self-help,  Behaviour Research and Therapy 49 (2011)

Berger, T. (2014, Ottobre). Internet-based psychotherapy treatments. [Web article]. Retrieved from: http://societyforpsychotherapy.org/internet-based-psychotherapy-treatments

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Dr. Giuliana Proietti Tel 347 0375949
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Giuliana Proietti
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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Articolo datato

Lasciamo online questi articoli ormai obsoleti sulle nuove tecnologie, per permettere lo studio dell’evoluzione dei Social.

Il miglioramento della tecnologia wireless e le capacità in evoluzione di Internet hanno avuto un impatto molto forte sul modo in cui ci si scambiano informazioni, sia private che pubbliche (Boyd, 2007; Zur, 2008). Uno dei cambiamenti più notevoli è la nascita di siti di social networking, che diventano sempre più popolari nel mondo (esempio: Facebook, Linkedin, Twitter, Instagram, ecc.)

Ellison, Steinfeld, e Lampe (2006) descrivono le reti sociali online come spazi in cui gli individui possono presentarsi e stabilire o mantenere interazioni con altri individui. Questi siti permettono ai membri di pubblicare informazioni personali, di condividere immagini, e di connettersi con altri utenti con interessi simili.

La condivisione di molte informazioni online tuttavia ha spesso degli effetti negativi e i professionisti non sono immuni dai possibili danni che possono derivarne, quando questi social vengono usati in modo irresponsabile.

L’uso irresponsabile della rete ha prodotto infatti preoccupazioni etiche e professionali per quanto riguarda la professione degli psicologi (Boyd, 2007), ma altre ricerche si sono occupate dei medesimi problemi anche per quanto riguarda altre professioni sanitarie, come per gli infermieri, i medici, i farmacisti (Cain, 2008; Cain, Scott, e Akers, 2009; Guseh, Brendel, & Brendel, 2009; McBride & Cohen, 2009; Witt, 2009).

L’uso dei social media non è spesso contemplato nei codici etici delle varie associazioni di psicologia nel mondo e per questo vari autori hanno tentato di analizzare la problematica, al fine di permettere di costruire delle linee guida, cui altri si possano ispirare.

In genere i codici deontologici invitano i terapeuti a non fornire informazioni al paziente sulla propria vita privata. Tuttavia, a causa dell’uso attualmente prevalente delle reti sociali online, vanno prese in considerazione anche le auto-rivelazioni che possono essere fatte non direttamente, ma via Web (Zur, 2008).

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Poiché le reti sociali online sono essenzialmente dei forum attraverso i quali poter trasmettere informazioni personali, l’utilizzo di questi siti aumenta la probabilità che i terapeuti facciano rivelazioni involontarie. Utilizzando le risorse online che sono ormai comuni nella maggior parte delle famiglie, i pazienti sono ora in grado di trovare molte informazioni sui loro terapeuti (Zur, 2008;. Zur et al, 2009), il che in genere non è auspicabile.

Nella maggior parte dei casi le ricerche online del paziente non hanno altro obiettivo che quello di soddisfare alcune comprensibili curiosità, ma non va sottovalutato il potenziale uso malevolo dei social media da parte del paziente, che ad esempio può richiedere l’amicizia online al proprio terapeuta utilizzando uno pseudonimo (Zur et al., 2009).

I pazienti molto curiosi e invadenti possono aderire ai social network sotto falso nome, chiedendo l’amicizia con il professionista, e venendo a conoscenza di molte informazioni personali e private che lo riguardano, all’insaputa del terapeuta (Zur et al., 2009).

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Luo (2009), che ha studiato la cosa dal punto di vista psichiatrico, è dell’opinione che queste auto-comunicazioni fatte dai terapeuti on-line abbiano anche il potenziale di danneggiare i pazienti stessi, in quanto compromettono la relazione terapeutica, impedendo il necessario transfert.

Questo problema moderno ribadisce la necessità di una consapevolezza da parte del terapeuta, che non può fingere di non sapere che tutti i messaggi on-line possono essere visualizzati da tutti, ivi inclusi i propri pazienti e le loro famiglie, e che tali messaggi possono rimanere online, in una qualche forma, per sempre (Hoser & Nitschke, 2010; Zur et al, 2009), in quanto è tutt’altro che facile cancellarli.

Un consiglio utile che viene dato a questo proposito è quello di cercare periodicamente il proprio nome su Google, per capire quali informazioni vi sono associate (Taylor, McMinn, Bufford, & Chang, 2010; Zur, 2008; Zur et al., 2009).

Inoltre, Taylor et al. (2010) suggeriscono che i terapeuti stabiliscano delle strategie di comportamento online facendo anche degli auto-monitoraggi. Questi autori affermano che l’intenzionalità debba essere considerata il migliore metodo che i terapeuti hanno a disposizione per proteggere se stessi e i loro pazienti dai danni che possono derivare dalle informazioni messe on-line. In altre parole, tutti i messaggi postati dovrebbero essere intenzionali e in linea con i comportamenti che richiede la professione.

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Infatti, durante una seduta psicologica è ovvio che i terapeuti ascoltino i pazienti, li sostengano, mostrando empatia e apertura mentale (Neukrug & Schwitzer, 2006) ma non è scontato che, al di fuori della seduta, nella vita privata, i professionisti dimostrino atteggiamenti o comportamenti in linea con questi standard.

Ad esempio, i professionisti possono, nella loro vita personale, usare ironia, sarcasmo, avere il gusto della battuta spinta, esprimere idee politiche, o addirittura coltivare pregiudizi (Neukrug & Schwitzer, 2006).

Se questi comportamenti della vita privata diventano pubblici, questo va in primis ad influire sulla credibilità professionale. Da ciò ne consegue che se i consulenti si impegnano in un comportamento simile nel contesto di un social network on-line, le conseguenze negative non si limitano ai membri della propria comunità, ma vengono allargate al vasto numero degli utenti di Internet.

La preoccupazione circa l’uso inappropriato dei social media riguarda anche il mondo accademico (Cain, 2008), della salute (McBride & Cohen, 2009; Witt, 2009), della farmacia (Cain et al., 2009). Questi autori condividono la comune convinzione che la mancanza di professionalità nel social networking online possa avere effetti deleteri significativi sulla carriera di un professionista.

Cain et al. (2009) ricorda che l’ “e-professionalism”, comporti la tutela della propria immagine professionale, la quale può essere gravemente compromessa dall’espressione di opinioni e commenti inopportuni, oppure per l’adesione a dei gruppi sociali di scarsa affidabilità sociale.
I professionisti infatti dovrebbero tenere conto non semplicemente del loro comportamento sul posto di lavoro, ma anche dal comportamento e dei valori che dimostrano di avere nella loro vita personale.

Anche se si partecipa ai social media online si fa in primo luogo per motivi personali e di intrattenimento, è bene sapere che ormai molti datori di lavoro usano le informazioni pubblicate on-line per esprimere valutazioni di natura professionale (Cain et al., 2009; Witt, 2009).

Lehavot, Barnett, e Powers (2010) raccomandano dunque la consapevolezza, in modo da non intraprendere mai azioni online che possano superare il confine professionale.

Poiché i terapeuti sono al corrente di molte informazioni intime che riguardano i loro pazienti, essi devono rispettare complessi obblighi etici per mantenere queste informazioni riservate (Corey et al., 2011). La necessità dei professionisti di onorare e mantenere la riservatezza nella loro pratica clinica si basa su principi che riflettono il fondamento stesso della professione (Schulz, Sheppard, Lehr, e Shepard, 2006).

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Oltre che a non rivelare informazioni su di se i terapeuti dovrebbero fare attenzione a non rivelare informazioni di cui sono venuti a conoscenza nella loro professione. McBride e Cohen (2009) citano a questo proposito un caso che ha avuto luogo nel Wisconsin, dove due infermiere hanno pubblicato la foto di una lastra a raggi x di un loro paziente su Facebook. L’atto di pubblicazione di informazioni riservate, anche quando i nomi non vengono citati, può portare notevoli problemi e questo è comune per tutte le professioni di aiuto (McBride & Cohen, 2009; Witt, 2009), dal momento che è possibile identificare i pazienti basandosi sulle sole descrizioni della malattia, dell’ospedale in cui questi pazienti sono curati, o altre informazioni (Witt, 2009). Nel caso sopra descritto, è stata sporta denuncia all’FBI per valutare l’eventuale violazione dell’ Health Insurance Portability e Accountability Act (HIPAA).

Anche da parte dei pazienti occorrerebbe osservare dei limiti ed evitare di chiedere o pretendere informazioni da parte del terapeuta. Peraltro, una falsa “amicizia” su Facebook può portare una persona depressa ed isolata a sopravvalutare l’ “amicizia” online con il proprio terapeuta,  e desiderando che la loro relazione diventi più profonda. Questo può avvenire ovviamente anche al di fuori del mondo di Internet, ma è intuibile che l’uso del social può distorcere più facilmente le percezioni.

L’atto di accettazione di una richiesta di amicizia on-line da parte di un paziente può essere recepito dal paziente come un invito ad entrare nella vita personale del terapeuta e nel regno delle sue molteplici relazioni. Witt (2009) mette in guardia gli operatori sanitari contro questi comportamenti: accettare di essere “amici” nel mondo online, infatti porta facilmente una confusione tra ruoli personali e professionali (Witt, 2009).

Come suggerito da Younggren e Gottlieb (2004) e delineato da Corey et al. (2011), le domande da farsi sono le seguenti:
• Sto entrando in un rapporto che si aggiunge a quello professionale e lo reputo necessario,
o potrei evitarlo?
• Questo rapporto aggiuntivo può causare danno al mio paziente?
• Esiste il rischio che questo rapporto disturbi la relazione terapeutica?
• Riesco a valutare oggettivamente questo problema? (Corey et al., 2011)

Nella maggior parte dei casi, entrare in rapporto online con un paziente è sia inutile che evitabile.
L’unico motivo per cui la relazione terapeutica potrebbe beneficiarne è se il terapeuta sentisse il bisogno di offrire una comprensione al suo paziente delle sue limitazioni personali e professionali.

Qualora si decidesse di aprire un profilo sui social media è dunque importante conoscere e impostare bene le impostazioni sulla privacy. Facebook, ad esempio, consente agli utenti di regolare chi può (a) consultare il profilo, (b) chi può entrare in contatto ed ottenere le informazioni, (c) chi può ricercare il proprio profilo utilizzando Facebook o altri motori di ricerca  (d), con chi si può interagire su Facebook. Le impostazioni sulla privacy vanno sempre impostate al massimo livello consentito.

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Occorre poi avere la consapevolezza che Facebook è di natura pubblica e che le proprie dichiarazioni devono essere fatte solo se e quando sono accettabili anche per la persona più scomoda che si conosce nella propria comunità (prima di scrivere si dovrebbe immaginare che a leggere lo scritto sia il proprio capo, il proprio formatore, uno dei pazienti più difficili e le loro famiglie, ecc.)  Come scritto in letteratura, è importante ricordarsi di “pensare prima di postare” (Witt, 2009) evitando così la condivisione delle informazioni con i pazienti della propria vita di tutti i giorni.

Se un paziente chiede l’ “amicizia” va dunque chiaramente spiegato che non si possono accettare questi inviti, anche per rispetto del proprio paziente, il quale ricava dei benefici dall’astensione del terapeuta alla partecipazione delle relazioni online (Corey et al., 2011).

Una potenziale alternativa per i terapeuti è quella di creare profili online appositamente costruiti per l’utilizzo professionale. includendovi solo le informazioni rilevanti per la pratica professionale nei propri profili, evitando il rilascio di informazioni non intenzionali e mantenendo i contatti con i pazienti
sul piano strettamente professionale.

Riconoscendo i vantaggi e gli svantaggi dell’utilizzo delle reti sociali online, i terapeuti possono creare un giusto equilibrio fra vita professionale e vita personale.

Dr. Giuliana Proietti

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Fonte: William Bratt, Ethical Considerations of Social Networking for Counsellors, Canadian Journal of Counselling and Psychotherapy /  ISSN 0826-3893 Vol. 44 No. 4 2010

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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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La privacy personale è ormai in rapido declino nell’era di Internet (Quilici-Gonzalez, Kobayashi, Broens, e Gonzalez, 2010) ed anche la privacy degli psicoterapeuti che usano i social media è stata al centro di numerosi studi, che l’hanno analizzata (Lehavot, Barnett e Powers, 2010; Myers, Endres, Ruddy, e Zelikovsky, 2011;Nicholson, 2011; Taylor, McMinn, Bufford, & Chang, 2010; Tunick, Mednek & Conroy, 2011; Zur & Donner, 2009; Zur, Williams, Lehavot, & Knapp; 2009).

Si è osservato che la pervasività di Internet nella vita quotidiana sta di fatto annullando il confine tra il personale e il professionale (Behnke, 2008; Zur & Donner, 2009) ed anche gli psicoterapeuti sembrano aver perso il controllo sul livello di loro informazioni private che diventano pubbliche (Tunick et al., 2011).

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Il risultato è l’inevitabile trasparenza di informazioni private riguardo gli psicoterapeuti (Barnett & Russo, 2009; Zur & Donner, 2009) che aggiungono “una nuova dimensione alla professione “ (Zur & Donner, 2009).

I potenziali pazienti hanno una maggiore probabilità di imbattersi nelle informazioni personali sui loro terapeuti, il che può essere negativo per il buon esito della terapia (Barnett & Russo, 2009; Woodhouse, 2012). Ad esempio, un professionista che è personalmente impegnato in politica, potrebbe avere scambi di opinioni con i membri della sua comunità. In genere, nessun terapeuta si avventurerebbe in discussioni politiche con i propri pazienti, ma questi scambi di battute online possono portare alla luce le proprie opinioni politiche, creando problemi alla terapia.

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I professionisti sono sempre più coinvolti nelle attività professionali on-line: si è assistito alla proliferazione di siti web e dell’uso dei social media (ad esempio, Twitter, LinkedIn e Facebook), dove essi partecipano a discussioni e commenti, nello stesso tempo in cui promuovono la loro attività professionale,offrendo consulenza.

Le ricerche condotte mostrano che i dati personali sugli psicoterapeuti sono ampiamente disponibili online (Barnett & Russo, 2009; Vartabedian, Amos, e Baruch, 2011; Zur, 2009). Lehavot et al. (2010) hanno scoperto che più di due terzi di 302 specializzandi in psicologia usavano i loro nomi reali sui social media, e più di un terzo di loro ha dichiarato che avrebbe preferito che i propri pazienti non avessero letto queste informazioni, una volta iniziata la professione.

McDonald, Sohn, e Ellis (2010) hanno cercato le pagine personali su Facebook di 338 terapeuti della Nuova Zelanda che si erano laureati presso l’Università di Otago. Due terzi di loro aveva un account sui social media; di questi, un terzo non aveva usato le impostazioni per la privacy, e quasi altrettanti avevano parlato di questioni personali sulle loro pagine di social networking.

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Zur e Donner (2009) e Zur et al. (2009) suggeriscono che i potenziali pazienti potrebbero impegnarsi in una serie di possibili ricerche online, dalla semplice ricerca di informazioni sui siti web professionali, all’uso di Google per cercare informazioni private che riguardano i terapeuti, oppure iscriversi con una falsa identità ai loro siti e, in rari casi, anche praticare pirateria informatica alla ricerca di informazioni non condivise.

Le ricerche mostrano che un gran numero di clienti ottiene informazioni sulla vita privata degli psicoterapeuti (Nicholson, 2011;. Myers et al, 2011;. Taylor et al, 2010; Zur e Donner), anche se è impossibile quantificare la natura e la frequenza del fenomeno.

I pochi studi che sono stati condotti sulle ricerche online effettuate dai clienti non sono specifiche per i professionisti della salute mentale. I Pew Foundation’s Internet and American Life surveys (Fox, 2006; 2013) hanno scoperto che tra il 72% (2013) e l’80% (2006) degli statunitensi adulti ha
cercato su Internet per ottenere informazioni sulle attività svolte dal terapeuta negli ultimi anni.

In uno studio su specializzandi in psicologia tuttavia, Lehavot et al. (2010) hanno scoperto che i partecipanti hanno riportato che solo il 7% dei loro pazienti aveva parlato apertamente con loro della ricerca di informazioni che avevano fatto online (per avere notizie sul terapeuta). Questo studio però si rivolgeva ai terapeuti e a ciò che essi stessi sapevano delle ricerche online effettuate dai loro pazienti.

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Indagini specifiche dirette per chiedere ai pazienti che tipo di informazioni avessero cercato online sui terapeuti non esistono (Zur & Donner, 2009), se non per un recente studio (Keely Kolmes, Daniel O. Taube,, 2016), in cui si è chiesto direttamente ai pazienti che cosa avessero cercato online sui loro terapeuti e l’impatto che la ricerca di tali informazioni avesse avuto sulla loro idea del terapeuta e sull’esperienza psicoterapeutica.

Si tratta di uno studio condotto online per esplorare le esperienze dei clienti che hanno intenzionalmente cercato, o accidentalmente trovato, informazioni personali sul loro psicoterapeuta o dati del professionista su Internet. L’annuncio per il reclutamento era il seguente: “Per essere eleggibili per lo studio, si deve essere maggiorenni, attualmente (o in passato) in psicoterapia, e aver trovato o cercato informazioni sul proprio terapeuta su Internet. “

I ricercatori hanno chiesto ai professionisti di diffondere questo annuncio sui vari siti di social media, blog, Twitter, Facebook, forum di consulenza per la salute mentale e listservs (liste e-mail chiuse create per offrire sostegno alle persone in psicoterapia per varie questioni). E’ stata anche creata una pagina Facebook per promuovere il reclutamento.

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Lo studio è stato costruito per sapere di più su come e dove si verifica questo tipo di  ricerca online, ciò che ha portato i pazienti a condurre le loro ricerche, e come essi hanno scoperto le informazioni su Internet, nonché le influenze che tutto questo ha avuto sulla loro visione del terapeuta e dei suoi trattamenti.

Il campione ha contato 488 persone intervistate, di cui solo 349 hanno completato il questionario (tasso di completamento 71,5%). Sono state poi filtrate le risposte per includere solo coloro che avevano dichiarato di aver trovato le informazioni personali e professionali del loro terapeuta on-line, il che ha portato il numero totale a 332 partecipanti.


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Risultati:

I risultati di questo studio supportano la convinzione per cui la privacy dello psicoterapeuta può essere compromessa su Internet e che i confini personali e professionali stanno diventando sempre più tenui.

Questi risultati confermano anche la perdita di controllo sulla comunicazione di informazioni personali on-line e l’incapacità di mettere un limite a queste rivelazioni, come si potrebbe fare quando si rilascia volontariamente una dichiarazione, facendo molta attenzione ai termini utilizzati, in vista dell’impatto che essi potrebbero avere su uno specifico paziente.

I pazienti sono a conoscenza di molti dati personali sugli psicoterapeuti. Spesso queste scoperte sono il risultato di ricerche intenzionali di informazioni sullo psicoterapeuta.

Non ci sono state differenze statisticamente significative tra coloro che cercavano questi dati online, in termini di genere sessuale, età, anni su Internet, e quasi tutte le altre dimensioni misurate. Si è notata tuttavia una maggiore probabilità di scoperta di informazioni online per quanto riguarda i partecipanti alle terapie di gruppo, i quali hanno cercato notizie anche sugli altri partecipanti al gruppo.

Il tipo di informazioni più comuni riguardavano la composizione della famiglia del terapeuta. Tali risposte sottolineano la necessità per gli psicoterapeuti di prendere in considerazione non solo ciò che condividono online, ma anche le informazioni condivise dai loro familiari, e come queste potrebbero influenzare i loro pazienti.

Queste potenziali conseguenze possono consigliare agli psicoterapeuti di: (a) non utilizzare i loro nomi completi per attività non professionali connesse ai social networking; (b) prendere in considerazione anche i collegamenti con i membri della propria famiglia, dal momento che questo può portare i clienti curiosi ai profili dei membri della famiglia del terapeuta.

La ragione principale per la ricerca di informazioni è stata la curiosità, ma un piccolo gruppo ha cercato informazioni specifiche che non sono state poi riferite allo psicoterapeuta.

Queste risposte evidenziano che sta diventando molto difficile per i professionisti che desiderano essere una tabula rasa per i loro pazienti. I terapeuti dovrebbero comprendere questo cambiamento fondamentale nel controllo sulle loro informazioni personali e anticipare questo tipo di ricerca. Essi dovrebbero anche capire che i pazienti possono scegliere se iniziare, o continuare una terapia, anche sulla base di ciò che viene rivelato loro da queste ricerche.

Quasi tre quarti di coloro che hanno cercato informazioni personali non raccontano al terapeuta cosa hanno cercato. I dati qualitativi suggeriscono che ciò è dovuto a vergogna o imbarazzo, preoccupazioni per la rabbia del professionista, o altre reazioni negative, e il sentirsi vulnerabili a interpretazioni negative di questo comportamento.

Anche se alcune delle scoperte sembrano aver avuto un impatto negativo sulla figura del terapeuta e sul suo metodo di cura, la maggior parte delle persone ha riferito impatti neutri o addirittura positivi.

Più di un terzo dei partecipanti che ha smesso di cercare informazioni lo ha fatto perché riteneva di aver superato il limite, e più di un quarto si è fermato a causa di un personale disagio con questo tipo di ricerca. I pazienti devono dunque essere incoraggiati a portare in terapia tutto quello che sanno del terapeuta e gli eventuali disagi provati dopo aver letto informazioni personali sul terapeuta che non erano a loro conoscenza, perché questo rafforza l’alleanza terapeutica.

Un esempio è la politica sociale dei media creato da Kolmes (2010) che indica una serie di situazioni che si possono verificare tra psicoterapeuta e paziente, in modo da facilitare atteggiamenti e conversazioni. In alternativa, gli psicoterapeuti potrebbero indicare delle regole di comportamento: “Così come possiamo incontraci al di fuori del mio studio professionale, lei può imbattersi nei miei post su Internet. Se vede qualcosa e vuole parlarne, è invitato a parlarne durante le nostre sedute”.

Tra i pochi che hanno condiviso le loro scoperte con gli psicoterapeuti, le risposte qualitative hanno suggerito che lo hanno fatto anche per consigliare gli psicoterapeuti ad una migliore protezione della loro privacy. Questo aspetto è un interessante fenomeno contemporaneo su come i pazienti possano dimostrare protezione e cura per i loro terapeuti. Tradizionalmente ciò accadeva quando i terapeuti erano notoriamente malati o in difficoltà, ma l’attenzione per la privacy violata del clinico è un modo più moderno per i pazienti in psicoterapia di mostrare protezione per il terapeuta.

E’ importante “normalizzare” la curiosità dei pazienti facendo loro notare quanto sia naturale provare curiosità e fare ricerche online: questo rafforza l’alleanza terapeutica e permette ai pazienti di comprendere ed esplorare il loro comportamento. C’è dunque un motivo in più per introdurre politiche sull’uso dei social media all’inizio del trattamento e di fare in modo che i mezzi di comunicazione sociale non si sovrappongono durante il trattamento.

I casi di ricerca ossessiva di informazioni sui terapeuti è molto rara. Per ulteriori informazioni su stalking e psicoterapeuti, vedere Sandberg, McNiel, e Binder (2002).Per la maggior parte dei partecipanti, la ricerca di informazioni on-line sul clinico era o neutra o capace di migliorare le proprie credenze sugli atteggiamenti del terapeuta. Un quarto degli intervistati, tuttavia, ha riferito angoscia e disagio e una parte minore ha notato che queste conoscenze hanno interferito negativamente sulla terapia.

Alcuni partecipanti hanno indicato che Internet sta diventando una via per evitare conversazioni imbarazzanti. Ad esempio un paziente ha cercato di capire se un terapeuta era un membro della stessa chiesa: questo è un esempio di conversazione utile, che potrebbe però creare disagio, se discusso apertamente.

I clinici devono dunque capire meglio come gestire la loro presenza online in modo da ridurre al minimo intrusioni evitabili nella loro privacy. Alcuni modi per farlo sono: corsi di formazione che affrontino gli aspetti clinici, etici e tecnici di una presenza online; l’assunzione di un consulente tecnico capace di controllare le impostazioni sulla privacy per i siti di social media.

E’ una buona idea chiedere ai propri familiari di essere più selettivi nella condivisione di foto che espongono altri membri della famiglia, tra cui lo psicoterapeuta. E’ assolutamente indispensabile evitare richieste di amicizia da parte di sconosciuti.

Un altro suggerimento è chiedere ai pazienti nella fase iniziale del trattamento quale è il loro uso dei social media e riconoscere che ci si può leggere reciprocamente sui social networking, in modo che queste informazioni non diventino un tabù.

E’ consigliabile chiedere ai pazienti come sono venuti a sapere del terapeuta e chiedere se hanno visitato il sito web del clinico.

Va da sé che un terapeuta che parla su Twitter di argomenti attinenti alla professione fa un altro effetto rispetto ad un altro terapeuta che conversa su Twitter con il servizio clienti del suo operatore telefonico.

Dr. Giuliana Proietti

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Fonte:

Keely Kolmes, Daniel O. Taube, Client Discovery of Psychotherapist Personal Information Online, University San Francisco CA, 2016

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Chi erano i sessuologi Masters e Johnson

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Virginia Johnson è venuta a mancare lo scorso 25 luglio, all’età di 88 anni: era considerata una delle scienziate più influenti del secolo scorso, in quanto fu la prima donna ad interessarsi di sessuologia a livello scientifico, insieme al marito e collega William Masters. I due studiosi crearono infatti le basi su cui poté nascere la “rivoluzione sessuale” negli anni sessanta, cioè quell’evento socio-culturale che riuscì a modificare le abitudini sessuali in tutto il mondo occidentale.

Prima di loro si era distinto nella ricerca sessuologica solo il lavoro di Alfred Kinsey, svolto negli anni Trenta e Quaranta. Kinsey, per studiare la sessualità, si era servito solo di questionari, mentre Masters e Johnson fecero un salto di qualità, studiando l’attività sessuale in situazioni di laboratorio, attraverso l’uso di strumenti tecnologici per misurare le reazioni fisiologiche durante l’orgasmo. I dati sulla sessualità non venivano più dunque semplicemente riferiti dagli interessati, ma essi venivano studiati attraverso l’osservazione diretta, nel coito e nell’autoerotismo (circa 10.000 osservazioni cliniche della fase orgasmica, su 382 donne e 312 uomini fra i 18 e gli 89 anni).

Attraverso un poligrafo venivano registrati numerosi dati, come il battito cardiaco, l’attività cerebrale e il metabolismo. Vennero anche creati strumenti tecnologici ad hoc per compiere le ricerche, come nel caso del fallo mobile in plexiglas con telecamera incorporata, chiamato “Ulisse”. Queste loro ricerche durarono in tutto circa 11 anni.

Una intervista sull'anorgasmia femminile

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Se Kinsey aveva dunque turbato i suoi lettori raccontando che anche le donne si masturbavano, Masters e Johnson stupirono i loro, spiegando che il livello massimo di eccitazione sessuale femminile lo si raggiunge durante la masturbazione e non durante il coito, dal momento che l’organo principale del piacere nella donna è il clitoride e non la vagina (anche se la vagina è un organo sensibile che risponde alla stimolazione sessuale e che, insieme al clitoride, consente la risposta sessuale femminile).

I due studiosi spiegarono che:

“la femmina umana spesso non è soddisfatta di una sola esperienza orgasmica negli episodi di automanipolazione del clitoride. Se non vi è una tensione psicosociale che viene a reprimere l’eccitazione sessuale, molte donne mature possono godere di tre, quattro esperienze orgasmiche, prima di raggiungere un apparente senso di appagamento”..

La sessualità femminile dunque, in seguito a queste osservazioni, risultava essere, per le potenzialità orgasmiche e la complessità degli organi interessati al piacere, superiore o quanto meno uguale a quella maschile. Questo concetto fu utilizzato dalle femministe per rivendicare il loro diritto alla sessualità e al piacere sessuale. (Peraltro, la stessa definizione di risposta sessuale “umana” implicava un riconoscimento di parità fra i generi).

Nella terapia sessuale, Masters e Johnson enfatizzarono il possibile trattamento dei sintomi, superando così la visione freudiana, teorica e clinica, che riteneva i disturbi sessuali come una conseguenza di uno sviluppo psicosessuale problematico.


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I due sessuologi non avevano la stessa formazione di base. Masters infatti era un ginecologo (si interessava di terapia ormonale sostitutiva nelle donne in post menopausa) presso la Washington University, a St Louis, mentre la Johnson non aveva titoli accademici, ma solo intelligenza, spigliatezza e buona volontà.

William Masters aveva iniziato i suoi studi sull’attività sessuale negli anni cinquanta, osservando il comportamento di persone (uomini e donne) dedite alla prostituzione. Il suo interesse nasceva dal fatto che la funzione sessuale era all’epoca l’unica a non essere stata ancora studiata.

Ad un certo punto però il Dottor Masters sentì l’esigenza di avere una collaboratrice donna per continuare le sue ricerche (anche a causa di una sua introversione, che non gli permetteva di relazionarsi positivamente con le persone che intendeva studiare). La sua scelta cadde dunque su Virginia Johnson, la quale lo colpì per la sua intelligenza, maturità ed estroversione.

La Johnson, quando incontrò Masters, si era appena iscritta alla facoltà di sociologia ed era pluridivorziata (aveva sposato un politico del Missouri, matrimonio che durò due giorni, poi un avvocato più anziano di lei ed infine, nel periodo 1950-1956, George Virgil Johnson, da cui prese il cognome, un musicista dal quale ebbe due figli). In passato la Johnson era stata pianista e cantante di musica Country, con il vero nome di Virginia Eshelman, o con il nome d’arte di Virginia Gibson.

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Da collaboratrice, nel senso di segretaria, in poco tempo la Johnson divenne collaboratrice scientifica del Dr. Masters e poi sua moglie (nel 1971). La leggenda vuole che i due abbiano fatto sesso insieme, subito dopo aver iniziato la collaborazione, su richiesta di lui, “per comprendere meglio tutto quello che poi avrebbero appreso durante l’osservazione”.

L’esperienza sessuale, secondo la ricerca di Masters e Johnson, consta di 4 fasi: fase di eccitazione, fase di plateau, orgasmo e risoluzione; questi risultati cominciarono ad essere pubblicati su riviste scientifiche nella metà degli anni Sessanta, ma la notorietà arrivò con il libro “La risposta sessuale umana” (1966), scritto in freddo linguaggio medico e pubblicizzato solamente fra gli addetti ai lavori, ma che divenne subito un best seller, vendendo più di 500.000 copie in pochi mesi.

Nel 1970 i due ricercatori pubblicarono un secondo libro: “Inadeguatezza sessuale umana” in cui si occupavano di disfunzioni sessuali, maschili e femminili (in particolare l’eiaculazione precoce e la disfunzione erettile nell’uomo e l’anorgasmia nelle donne), creando così le basi per la moderna scienza sessuologica.

Il merito principale di queste ricerche è stato indubbiamente quello di rendere l’aspetto fisico della sessualità un argomento di studio, di cui si poteva parlare apertamente; il secondo merito è stato quello di aver approfondito la conoscenza della sessualità femminile, dimostrando che anche le donne hanno desiderio e eccitazione sessuale e che non aveva fondamento scientifico la concezione freudiana dell’orgasmo clitorideo come “immaturo” rispetto a quello vaginale, che era invece quello “normale”.

PSICOLOGIA - SESSUOLOGIA
Come vivere bene anche se in coppiaCome vivere bene, anche se in coppia
Autori: Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta
Terapie Individuali e di Coppia

Il lavoro dei due sessuologi è stato anche molto criticato, specialmente quando la coppia rivolse le sue osservazioni alla sessualità omosessuale e alle relative terapie messe a punto nel periodo 1968-1977 presso il Masters and Johnson Institute, di cui erano fondatori e co-direttori. I due sessuologi definirono infatti un programma per rendere eterosessuali dei soggetti omosessuali (strano, ma vero, la famigerata “terapia di conversione” l’hanno inventata loro!)

Queste teorie furono pubblicate nel libro Omosessualità in prospettiva, un libro criticato sia dal punto di vista etico che clinico. A questo flop ne seguì un altro: il libro di Masters e Johnson sull’epidemia di AIDS, di cui si sapeva ancora pochissimo, Crisi: Comportamento eterosessuale al tempo dell’AIDS (1988) fu giudicato inaccurato ed eccessivamente allarmista. A questo punto la comunità medica sembrò rivoltarsi contro i due pionieri della sessuologia e, di conseguenza, anche i pazienti cominciarono a diminuire, mettendo in crisi il Masters and Johnson Institute ed anche la loro vita di coppia.

Il loro matrimonio terminò infatti nel 1992, quando Masters decise di lasciare Virginia per sposare una vedova che lui, a seguito di un flirt estivo avvenuto nel 1938, considerava l’unico vero amore della sua vita. Altre ricostruzioni dicono che la Johnson fosse stanca di pensare sempre al lavoro e che, al contrario del marito, preferisse godersi la famiglia e il tempo libero. I due rimasero sempre in buoni rapporti e continuarono a collaborare insieme, ma la loro separazione fu sicuramente clamorosa: dopo aver condotto personalmente terapie di coppia a tantissime coppie con problemi sessuali, dopo aver formato schiere di terapeuti della coppia, ora anche Masters e Johnson si separavano… Come dichiararono in un’intervista, i due sessuologi si divertirono molto al pensiero che la gente potesse pensare che loro stessi avessero avuto un problema sessuale.

Il Masters and Johnson Institute fu chiuso (1994), e Virginia Johnson si mise in proprio nel Virginia Johnson Masters Learning Center a Creve Coeur, nel Missouri, nel quale continuò a studiare le disfunzioni sessuali.

William Masters morì nel 2001, a 85 anni dopo essersi ammalato di Parkinson. La coppia ha avuto anche due figli (uno dei quali è stato recentemente protagonista di uno squallido fatto di cronaca).

A parte le luci e le ombre su questi due scienziati, di una cosa possiamo essere comunque certi: se oggi parliamo con disinvoltura di disfunzioni sessuali, di clitoride e di orgasmi, è solo grazie al lavoro di William Masters e Virginia Johnson.

In America, nel prossimo mese di Settembre, verrà trasmesso uno special sulla più famosa coppia di sessuologi del mondo, dal titolo “Master of sex“: speriamo di poterlo vedere presto anche in Italia.

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

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Immagine:
Ezio Peterson/Bettmann/Corbis, The Guardian

Pubblicato anche su Huffington Post

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Giuliana Proietti
Dr. Giuliana Proietti

Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

Per appuntamenti:
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